Accordi UE Canada

CETA, tra libertà di circolazione e necessità di protezione.

Una disgrazia non arriva mai da sola e dopo la cancellazione del Tafta, da parte di un “pessimo” Trump, il Parlamento europeo ha ratificato i termini capestro che si sono studiati per i popoli dell’Europa del trattato di libero scambio tra l’UE e il Canada, il CETA, tanto contrastato soprattutto nella regione belga della Vallonia.

La regione ha cercato di provare che la sovranità deriva dai popoli sovrani e liberi di determinare il proprio destino, ed ha cercato di opporsi alla ratifica parlamentare tanto che la Commissione europea ha tacciato la Vallonia di “ paese in guerra con l’ordine economico mondiale” , dimostrando peraltro la sua incoerenza.

Il Parlamento europeo perciò , raggiunto l’accordo dei parlamenti nazionali, ha ratificato il CETA che, purtroppo, sarà propedeutico proprio d quel trattato transatlantico , TAFTA ,momentaneamente sotto osservazione da parte dell’amministrazione Trump.

Il Ceta, a prima vista , non sembrerebbe un accordo catastrofico per l’Europa perché prevede l’abbassamento dei diritti di dogana e una serie di misure tecniche di accompagnamento come da una parte l’aumento delle quote di importazione di carne canadese verso l’Europa o dall’altra la protezione delle denominazioni di origine europee in Canada.

In realtà pero’ rappresenta il cavallo di legno che entra nella fortezza europea, e la conseguente discesa negli inferi dell’integrazione economica tra Canada, Stati Uniti ed Europa.

In cauda venenum… questa trattato avrebbe dovuto essere bocciato in nome dei popoli europei perché non è ammissibile che in nome della libertà di circolazione di tutto (d’altronde cosa sarebbe diventata oggi l’Europa se non una grande area di libera circolazione di persone, merci, capitali, servizi e criminalità?) si sia data la possibilità alle multinazionali, ad esempio, di poter trascinare gli Stati Nazione davanti ai tribunali privati per qualsiasi inosservanza. Il diritto pubblico sovrano degli Stati dovrebbe avere la primazia per principio non negoziabile sugli interessi economici delle industrie.

Probabilmente una liberalizzazione totale degli scambi e dei movimenti di capitale dovrebbe avvenire in un contesto regionale che riunisce paesi economicamente e politicamente associati, con sviluppo economico e sociale similare. Ma la politica del libero scambio mondalisfta perseguita da Bruxelles oggi distrugge le industrie quando invece avrebbe dovuto premiare la preferenza comunitaria , una volta dogma, oggi scomparsa con l’entrata in gioco dell’organizzazione mondiale del commercio, dopo Maastricht

Oggi la mondializzazione impone delle regole che possono portare addirittura ad una forma di protezione delle produzioni nazionali, la vecchia preferenza comunitaria ormai ritenuta necessaria nel marasma della confusione totale esistente.

Lo scopo di una auspicabile dottrina della preferenza comunitaria sarebbe quello di stabilire che per ogni prodotto o gruppi di prodotti, una percentuale minima del consumo comunitario debba e possa essere assicurata dalle produzioni comunitarie. Il valore minimo percentuale potrebbe essere dell’80%, rendendo in tal modo il sistema piu’ duttile . Consentendo ad ogni prodotto di poter raggiungere l’ 80% della produzione comunitaria si eviterebbe la disparizone totale o parziale di determinati settori di attività.

D’altronde, permettendo ad ogni prodotto un’ importazione del 20% del consumo comunitario, si consentirebbe l’esercizio effettivo della concorrenza internazionale, senza gridare a protezionismi o populismi vari.

Un tasso medio di protezione stabilito al 20% per ogni settore non sarebbe assolutamente protezionismo cosi’ come viene inteso dai paladini del libero scambio mondialista anche perché oggi, il rapporto valoriale delle importazioni extra-comunitarie rispetto al prodotto interno mercantile europeo si aggira attorno al 12% , raggiungendo il 15% negli Stati Uniti.
E proprio a queste statistiche dovremmo rapportare il livello suggerito del 20% in ogni settore, e questo per evitare la fuga delle eccellenze e la perdita di occupazione in molti settori. In pratica queste cifre rappresenterebbero la differenza che risiede tra un liberalismo intelligente e lo stupido lascia fare ; la differenza tra un’Europa aperta e un’ Europa offerta.

Un sistema di contingenti rappresenterebbe il solo mezzo per assicurare una protezione ragionevole alle produzioni europee. Fissati i contingenti e vendute all’asta le licenze d’importazione corrispondenti, l’economia di mercato troverebbe la sua piena applicazione nel grande mercato comunitario.

Anche nel settore agricolo, uno spazio economico sufficientemente importante per beneficiare delle economie di scala, il sistema di protezione contingentata potrebbe restare identico a quello degli altri settori economici, con la possibilità effettiva di abbassare al 10% le importazioni, vista l’importanza che riveste il settore agricolo continentale .

Oggi in materia di protezionismo bisognerebbe bandire ogni populismo vero o semplicemente presunto ed agire da buon padre di famiglia che , secondo le temperature esterne, chiude, socchiude o lascia completamente aperte le finestre. Come si dovrebbe poter fare anche in uno spazio economico talmente esteso da poter determinare importanti economie di scala.

Eugenio Preta