L’identità dimenticata nei mutamenti della società contemporanea

La società contemporanea sta vivendo un momento di grave smarrimento. Capita periodicamente di dover ridisegnare modelli e valori di riferimento per adeguare l’essere umano alla nuove esigenze del vivere civile, della morale corrente, degli scambi relazionali. Cambiamenti immediati e improvvisi che non lasciano il tempo di adeguare le diverse sensibilità e sconvolgono, nel profondo, consuetudini già consolidate.

La percezione di un comune senso delle cose ci permetteva, quando confrontati ad un dato avvenimento, di tenere atteggiamenti e di trovare soluzioni accettate da tutti perché consolidate da giudizi di valore identici, da una costruzione societaria comune basata su scelte condivise.

Questa società contemporanea, evitando la facile equazione tra progresso e conservazione e le ovvie e automatiche dicotomie, fingendo di non essere confrontata a cambiamenti epocali, esprime atteggiamenti di sufficienza preoccupante, si presenta alla realtà con soluzioni improvvisate, elabora reazioni approssimative quando sarebbero necessarie risposte meditate e consapevoli.

Tutto cambia: convenzioni e consuetudini accettate nel tempo vengono rimosse da nuove esigenze e da nuove sensibilità societarie. Per esempio il recente matrimonio reale inglese che ha infiammato le cronache rosa dei più seguiti quotidiani mondiali. Non è stata solamente una cerimonia religiosa ma si è trattato di un avvenimento identitario che ha imposto a quell’austera corte reale un cambio radicale nella percezione di una nuova realtà.

La celebrazione solenne di una diversità – una volta inconcepibile – in quelle sale consuete a Re Artù, Riccardo Cuor di Leone o Giorgio V, questa volta non più accompagnata dal suono delle cornamuse o delle marce nunziali di Wagner o Mandelshon ma dalle note di “Stand by me” una canzone d’amore, ma anche l’inno delle marce dei movimenti per i diritti civili. Ben lontana dal compiere un’operazione anodina, l’ex signorina Meghan Markle, ora principessa reale, ha scelto di premiare le sue origine africane in maniera frontale, un’operazione di propaganda modernista, il cambio dei tempi che conferma come ogni militarismo anti-europeo sia un simbolo dell’accelerazione della guerra totale contro l’Europa, contro la resistenza dei suoi popoli, ai cambiamenti necessari per adeguarsi ai tempi, ma compiuti in maniera del tutto innaturale.

In linea con un rapporto del 2009 del Commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa, dal titolo” Diritti umani e identità di genere” – che indicava le linee politiche per contrastare la discriminazione e l’esclusione di quelle persone di sesso non ben definito, nel mercato del lavoro, nell’educazione e nel sistema sanitario – una direttiva del rettorato dell’Università di Lilla prescrive di riconoscere con uno pseudonimo o un soprannome di comodo lo studente la cui identità sessuale psichica non corrisponde alla sessualità biologica, praticamente decide di riconoscere amministrativamente le “trans-identità”.

Presentata come metodo per lottare la discriminazione di cui sarebbero vittime i “transgender, la decisione dell’Università di Lilla dischiude più dubbi di quelli che avrebbe voluto invece dipanare: si può oggi alienare l’immutabilità del nome proprio di una persona attraverso una semplice decisione di servizio di un’istituzione amministrativa? Quali principi giuridici autorizzerebbero tale decisione e in generale quale utilizzo potrebbe farsi dell’uso di un nome diverso da quello registrato dallo stato civile?

Ricorrere come giustificazione poi al principio di non discriminazione non implicherebbe invece una deriva libertaria che mette fuori gioco la legge a vantaggio solo dell’apparenza?

La rivoluzione francese aveva autorizzato la pratica di cambiare nome liberamente e solo il diritto del XIX secolo definì l’immutabilità del nome come mezzo per verificare l’identità dell’individuo. Una situazione che perdurò fino alla seconda guerra mondiale quando si decise di autorizzare il cambio del nome per obbedire alle esigenze delle adozioni, a quel tempo numerose. Ormai da secoli gli uomini sono frutto di un determinismo storico, geografico, religioso, culturale e sociale. Un’eredità genetica che ha origine dagli antenati più vicini (i romani lo manifestavano attraverso il culto domestico dei Lari) e da quelli più lontani, sempre per i romani, i Mani, tutti gli antenati in generale.

L’essere umano nasce da una famiglia, cellula base della società presso la quale cresce e forma la sua personalità. E’ancora l’erede di un cognome, di uno o più nomi, di un legame di parentela, di una famiglia, di una lingua detta materna, di una religione, di un patrimonio e di tradizioni familiari. Questa eredità iscrive l’uomo in una genealogia a cui non può sottrarsi. In seno alla cellula familiare l’uomo occupa la posizione che gli è riservata e riceve in eredità i valori di verità, di bontà e di bellezza che non sono altro che “ll bello e l’antico” (kalos e agatos) degli antichi greci. Questa esistenza tradizionale permette all’uomo di trovare un equilibrio tra la ragione, l’affettività e gli istinti, un equilibrio psicologico che gli permette di consolidare la propria personalità.

La società contemporanea libertaria invece è portatrice di una concezione dell’essere umano radicalmente differente da quella finora prevalente. La mercificazione del mondo richiama un consumismo esasperato e evidenzia un individuo di genere nuovo: l’individuo-massa. Questo tipo d’uomo, sconosciuto alle società tradizionali è il prodotto della dottrina egualitaria che privilegia i diritti individuali che favoriscono il consumismo. Ognuno quindi ha diritto di accesso a tutti i prodotti in commercio, diritto alle vacanze, ai divertimenti, ai piaceri, alla casa, alla felicità.

Una molteplicità di innumerevoli diritti che avviene a discapito dei diritti più elementari come il diritto alla solidarietà, alla fedeltà, al senso civico. Giocattolo della manipolazioni pubblicitarie, schiavo delle mode, l’individuo -massa non giudica più in riferimento ai valori naturali e reagisce in maniera pavloviana agli stimoli destinati esclusivamente al consumatore sfrenato. Ogni seppur minimo capriccio deve venire soddisfatto pena la frustrazione e l’insoddisfazione che originano le turbe psicologiche. L’individuo massa si costruisce e si ricostruisce a misura di un ego smisurato, oggetto della mercificazione del mondo e del potere fine a se stesso.

Per l’individuo massa, privato dalle sue radici familiari e discepolo di un relativismo distruttore dei valori di verità, bontà e bellezza, il nome non è che un bene ricevuto tra tanti altri, che deve, a questo punto, poter essere cambiato per i motivi più banali come, ad esempio, quando non corrisponde più all’immagine che l’individuo massa si fa di se stesso.

Praticamente la decisione dell’università di Lilla autorizza la concezione edonista dell’apparire mentre dovrebbe essere portatrice di ben altri valori. Ad esempio quelli del rispetto ai genitori, i grandi assenti dal dibattito sul tema dell’uso di un nome. E anche se parliamo del malessere, sempre molto relativo, che l’individuo potrebbe soffrire nel portare un dato nome, poco alla moda o poco appariscente, non immaginiamo minimamente di evocare il dolore che potrebbero risentire i genitori quando il loro figliolo rifiuta quel nome, quella parte di loro stessi che con la loro vita e il loro amore hanno inteso donargli.

Eugenio Preta