L’agonia demografica dei Paesi europei
La decrescita delle popolazioni è un problema preoccupante che affligge l’Europa tutta. Un fenomeno contagioso che sta falcidiando capitali e ricche città europee tra l’indifferenza dei governi ormai rassegnati.
La Lettonia, ad esempio, è passata dai 2,5 milioni di abitanti degli anni ’90 ai 1,9 milioni attuali, anche a causa dell’emigrazione massiccia verso l’ovest; l’Estonia e la Romania dai 19 ai 22 milioni di abitanti, mentre nell’est, solo la Russia dimostra una ancor debole crescita grazie alle politiche a favore della famiglia volute dal presidente Putin.
Per il Cia World Facebook la nazione europea col maggior tasso di natalità risulta oggi la Francia, paese con molti cittadini d’origine straniera e africana, al 160mo posto nel mondo con 12,38 nascite per ogni mille abitanti. Per trovare altre nazioni dell’Ue bisogna scendere al 171° posto del Belgio (11,41 nascite ogni mille), al 173° del Lussemburgo e al 180° dei Paesi Bassi, mentre sono fanalino di coda l’Italia, al 213° (appena 8,74 nati su mille), la Grecia al 214°, la Germania al 217° e la Slovenia al 218°, Paesi che stanno vivendo un vero e proprio inverno demografico che rischia di portarle praticamente all’estinzione.
Le popolazioni europee non si riproducono più e, quel che è peggio, contano sull’immigrazione, in prevalenza musulmana, col rischio reale di un’islamizzazione della società, ormai avvenuta nei fatti. Oltre che per la denatalità, l’Europa muore anche per la de-cristianizzazione, un processo di mutilazione demografica che sta permettendo all’islam radicale di vendicarsi delle sconfitte subite nel 732 a Poitiers, a Lepanto nel 1571, e a Vienna nel 1683, così come per la loro espulsione dalla Spagna nel 1492.
Negli anni ’70 un gruppo di scienziati, il famoso “Club di Roma”, ipotizzava la bomba demografica della sovra-popolazione come un pericolo immanente per le nostre società e per scoraggiare le nascite, aveva addirittura proposto di tassare i prodotti per l’infanzia.
L’individualismo occidentale, oggi, sembra ignorare il collettivo e la nozione di capitale culturale e persegue politiche de-natali perché si è imposto di ignorare le nozioni di famiglia e di Stato, senza immaginare che la posta in gioco sarà la futura scomparsa dei popoli. Tale attitudine si ritrova soprattutto nelle classi dirigenti mentre i popoli reagiscono per ribellione, come di fronte alle migrazioni di massa o per una specie di autodifesa, un’operazione individuale piuttosto che un atteggiamento collettivo.
Il mondo occidentale che ha inondato di confort e di risorse le proprie società, ora è a corto di “figliolanza“, energia indispensabile per il suo avvenire. Così, si è calcolato, che nel 2050 il 60% degli italiani non avrà più fratelli né sorelle, né cugini, né zie o zii.
E’ evidente che il declino demografico sia coinciso con la perdita di valori tradizionali consolidati e, primo fra tutti, con l’abbandono del cristianesimo: le chiese sono sempre più vuote, i praticanti diminuiscono e cresce il numero delle conversioni a religioni alternative, specialmente all’islam. Esemplare appare la situazione della Francia dove per anni, sia a destra che a sinistra, la classe dirigente ha rifiutato ogni dato scientifico sulla componente etnico-religiosa della società, in nome della superiorità del proprio modello sociale, finendo per creare un vuoto religioso e culturale, che è stato prodromico a quello demografico
Anni fa, il presidente algerino Boumédiène, dalla tribuna dell’ONU aveva preannunciato al mondo la grande marcia delle popolazioni dell’emisfero sud verso l’emisfero nord per conquistarlo e popolarlo con i loro figli. Ora quella profezia è diventata realtà. Poiché la natura rifugge dal vuoto, automaticamente si è avviata la sostituzione delle antiche popolazioni con ceppi stranieri; un tradimento delle nazioni che avviene con la complicità delle loro stesse classi dirigenti.
La Commissione esecutiva di Bruxelles, dominata dall’ideologia laica, non presenta infatti alcun serio progetto di politica familiare e ancor meno di incentivi alla natalità e anzi recepisce famiglia e natalità come la sopravvivenza di arcaiche credenze ormai superate, dimenticando però che, nei loro secoli di esistenza, le religioni sono state tutte nataliste ed hanno perseguito come fine principale proprio quello della ri-trasmissione della vita.
I paesi che hanno osservato un rinnovamento religioso con il benestare dello Stato, come avvenuto in Russia, oggi sono i soli a conoscere un aumento della loro popolazione. Qui lo Stato, alla nascita del secondo figlio elargisce un aiuto finanziario di 6.500 euro per riadattare la casa alla nuova presenza ed incoraggiare poi l’educazione del bambino. Un esempio eclatante è quello riguardante gli aborti, nella stessa Russia scesi dai 4 milioni degli anni ’90 al milione del 2014, ai 548.000 del 2015. Una diminuzione progressiva dovuta proprio allo Stato che, divulgando i valori del patriottismo e della religione ortodossa, senza imporre alcun divieto, ha inteso cambiare il clima politico esistente.
Una prova di buona gestione della politica che dimostra, contrariamente a quanto pretende la tecnocrazia giuridica europea, che non tutto quello che si ottiene attraverso obblighi della legge sia necessariamente positivo e che per salvare il futuro non si debba solo ricorrere a fredde norme giuridiche ma, il più delle volte, è importante far leva sui sentimenti che si ritrovano solo nel racconto popolare della Nazione, suffragato dalla Storia.
La denatalità che si sta imponendo oggi agli europei, nella più assoluta indifferenza delle sue istituzioni, rappresenta l’agonia del Continente: un subdolo attentato contro il futuro dei popoli e delle nazioni.
Eugenio Preta