Fenomeni e noumeni della violenza verso le donne

La nostra società liberale e liberista vive la triste realtà dei femminicidi e delle aggressioni violente sempre più numerose nei confronti delle donne. Non basta deplorare la mancanza di prevenzione, l’insufficienza dei mezzi a disposizione della magistratura e della polizia sopraffatte dalla recrudescenza delle violenze. Non serve più a nulla continuare a perdersi nei piagnistei e lasciarsi illudere dagli hashtag dei vari #MeToo, senza poi avere il coraggio di attaccare il problema in maniera frontale.

Continuare nelle commiserazioni e non comprendere l’inutilità di intervenire soltanto sugli effetti del fenomeno – ciò che appare – è segno di debolezza e d’ipocrisia, sarebbe opportuno, invece, insistere sul noumeno – ciò che è(Kant) – sulle cause legate ai tabù della violenza maschile che attestano solo la deplorevole giungla ambientale del nostro quotidiano.

La famiglia e la scuola, nuclei primari di formazione, sono fortemente imbarazzati da una pressione sociale lassista sempre crescente. Invece di perdersi nella “confusione dei generi” sarebbe giusto che insegnassero il valore aggiunto vicendevole per l’uomo e la donna e l’esaltazione di una alterità altrimenti meravigliosa.

L’insegnamento del maggio ’68 ci ha lasciato una prospettiva fondata sul piacere senza fine, sul divieto di proibire, sulla voglia di ritrovare le sabbie negli acciottolati delle strade, tanto che oggi la decadenza morale non disturba più, non fa più testo nell’atmosfera televisiva e pubblicitaria, consacrata ormai alla volgarità, alla pornografia e alla sconfessione di valori ritenuti obsoleti destinati a cambiare ad ogni costo.

La valorizzazione delle coppie eterogenee, il silenzio colpevole delle organizzazioni femministe ormai rassegnate alla sistematica degradazione dell’immagine della donna, contribuiscono a distruggere ogni riferimento al rispetto e alla cortesia da sempre riservate alla condizione femminile. Abbiamo persino accettato la sorte imposta dall’Islam alla donna, ridotta in schiavitù coranica, senza gridare né la nostra condanna né quella di coloro che pretendono di difendere la dignità femminile soltanto a parole e nella totale sottomissione al pensiero unico dettato dall’ideologia imperante. Ci siamo anche abituati alle immagini che veicolano i media, tanto che non ci meravigliamo neanche se i migranti, accolti a migliaia, corrispondano, in gran parte, al genere di gente che arriva alla scoperta di un nuovo modo da vivere senza vincoli identitari né legami familiari. Da ciò, la necessità di avviare una politica globale, intesa a favorire il ritorno ai fondamenti della nostra vecchia società civilizzata.

Le emozioni a comando, legate all’assegnazione del premio Nobel ad una antica schiava martire dello Stato islamico, non sono altro che i mormorii del vento, solo ipocrisie di una società che si vuole avanzata ad ogni costo che cerca di mettere una pezza colorata sugli strappi laceranti della veste femminile, che va rispettata al di là degli attestati postumi o dalle leggi deidicate. Sicuramente Montesquieu aveva visto giusto nel dire che quando si vogliono cambiare usi e costumi non bisogna farlo attraverso le leggi, ma attraverso la pratica virtuosa.

E’ abbastanza evidente che la macchinazione che tende alla distruzione dei valori, sia diventata eccessivamente spavalda ed è ormai ridicolo lamentarsi della decadenza di una società se non si è avuto mai il coraggio di intervenire sulle cause che l’ha determinata, dimostrando addirittura di assecondarla e accettarla.

Eugenio Preta