Le analogie della Storia : gilets jaunes e “Commune” di Parigi

Sabato scorso i “gilet jaunes” – il movimento di rivolta popolare che infiamma la Francia – hanno manifestato non soltanto a Parigi ma anche in altre città della provincia. Vandali professionisti e dimostranti stanchi di non essere ascoltati, hanno scatenato lo scenario di una vera rivolta popolare, un risentimento che cresce nel Paese e potrebbe sfociare in una vera e propria rivolta se il governo continua ad ostinarsi nelle misure proposte, ritenute lontane dalla realtà.

Il sostegno, che i partiti di opposizione hanno portato al movimento dei “gilets jaunes”, non è semplicemente politico, ma la dimostrazione della loro condivisone ad una ribellione popolare che porta in scena il rifiuto del presente e l’inquietudine del futuro. Sarebbe opportuno, a questo punto, cercare di spiegare quello che succede in Francia prendendo spunto proprio dalla Storia del paese.

La prima considerazione è chela Storia della Francia non può essere sostituita da quella dell’Europa; la seconda, più importante, riguarda il divario netto tra alcuni strati della classe mondializzata oggi al potere e la piccola e media borghesia, causa di un conflitto latente. A differenza dei riferimenti scontati e sempreverdi agli anni ’30, (riferimenti che ritornano in queste circostanze e che risultano veramente fuori tema) il movimento dei giubbotti gialli ricorda la “Comune di Parigi” quel governo rivoluzionario, popolare e operaio, istituito dai parigini nella capitale francese, dopo la sconfitta a Sedan, anche se in questo caso, una Comune al rovescio.

Nel 1871 una Parigi operaia e rancorosa insorge contro il governo eletto da un’assemblea in maggioranza monarchica, pacifista e ritenuta un’assemblea di provinciali. Il governo lascia Parigi e si installa a Versailles, disegnando di fatto una vera rottura tra la capitale e il resto della Francia, una contrapposizione che diventerà molto presto insanabile e tragica. Oggi si defila una nuova contrapposizione tra Parigi e la provincia, ma in senso inverso. Una Parigi “école-progressista”, rappresentata dai giovani dirigenti alla moda, che approfittano della mondializzazione ed i cui interessi si oppongono a quelli degli abitanti delle regioni decentrate, zone dove l’occupazione è minacciata e precaria, piccole città provinciali.

Mentre la classe borghese a Parigi si è arricchita – il più piccolo degli appartamenti acquistato trenta o quarant’anni or sono ha moltiplicato il suo valore per un coefficiente di gran lunga superiore all’inflazione in atto – la famiglia della provincia, che vive invece nel suo spazio lottizzato, la cui occupazione diventa sempre più vulnerabile a causa delle fusioni societarie, delle delocalizzazioni o delle vendite fallimentari, che dipende dalla propria autovettura per ogni incombenza quotidiana e che lavora duro, non può comprendere i cittadini che dimostrano di ignorare le esigenze delle zone rurali.

Quaggiù le volpi scannano ancora le galline, i corvacci sono dannosi, i topi mangiano i fili dell’elettricità, gli attivisti vegani sembrano dei marziani che proprio in questi luoghi potrebbero conoscere seri guai. Quaggiù, le reazioni dei vacanzieri che non riescono più a sopportare il suono delle campane o il canto del gallo, non fanno più sorridere, anzi esasperano gli animi: tutto si oppone tra queste due France come nel 1871, e nessuno può oggi prevedere come finirà questo antagonismo.

Macron, ripetendo di non essere disposto a cederee contando piuttosto sull’esaurimento della voglia di rivendicazione, al contrario provoca i francesi e li spinge a rivoltarsi ulteriormente.

Di ritorno dall’Argentina, si è recato a visitare i commercianti che hanno subito la furia dei manifestanti, perdendo l’occasione di valorizzare la propria immagine solo se avesse avuto una parola di conforto per quei manifestanti. La grandezza di un presidente si misura anche dalla capacità di ascoltare il popolo, non basta essere capo di casta e di partito.

Un collettivo dei gilet gialli ha pubblicato un appello in cui si propongono come portavoce di quella che chiamano una collera costruttiva e hanno presentato un certo numero di rivendicazioni: stati generali della fiscalità, adozione dalla proporzionale alle elezioni legislative e, nell’immediato, il blocco dell’aumento delle tasse sui carburanti. Ma al di là del prezzo dei carburanti e delle tasse sempre in aumento, la maggioranza dei francesi non si sente più rappresentata da un‘Assemblea nazionale dominata da un gruppo di deputati eletti con uno scrutinio iniquo e che, nel migliore dei casi, si presenta solo come la cassa di risonanza delle decisioni governative.

Lo scioglimento dell’Assemblea reclamato da alcuni gruppi di rivoltosi, insieme alla richiesta di un sistema elettorale proporzionale, sono misure che incontrano un vero favore nel paese. Finché Macron non avrà capito che questa ribellione, sostenuta dalla maggioranza della popolazione, è molto di più di una semplice protesta contro misure incomprese, non sarà in grado di risolvere il problema.

Il movimento dei gilet gialli traduce in realtà la crisi del sistema politico, la crisi della democrazia. Se il movimento dovesse venire ancora sottovalutato, il paese si troverà nel mezzo non di una semplice sommossa ma di una vera e propria ribellione.

Eugenio Preta