L’insediamento di Jair Bolsonaro, nuovo Presidente del Brasile

In questi giorni si sono accesi i riflettori sulla scena politica brasiliana per Jair Bolsonaro, ufficialmente investito della carica di Presidente della Repubblica. La sua elezione è stato un vero terremoto politico che ha sconvolto la scena brasiliana anche se, vista la situazione catastrofica del Paese – regno di demagogia e di corruzione – tutto poteva essere perfettamente prevedibile

Una disoccupazione record, una fragile ripresa e soprattutto un Capo di Stato che applicava ciecamente il mantra ultra-liberista, una frattura sociale drammatica. Da Roma a Brasilia tante sono le somiglianze nell’ondata nazionalista che soffia sulla scena politica. Le stesse cause sembrano produrre gli stessi effetti. Per oltre 13 anni la sinistra del partito dei lavoratori ha governato il paese ed in questa epoca, benedetta da tutti, il gotha della sinistra europea si precipitava al Forum sociale di Porto Alegre per celebrare la fine imminente del capitalismo. Ma erano soltanto i turisti entusiasti del carnevale di Rio, che rifiutavano di vedere invece, che il Brasile si radicalizzava nella violenza e nella corruzione e che nelle favelas si uccideva senza sosta, al punto che il PIL era stato sostituito dal PIC (prodotto criminale lordo).

In Brasile, la criminalità è una piaga molto più drammatica della disoccupazione e della povertà e tocca direttamente la povera gente delle favelas, mentre i ricchi, nei loro quartieri esclusivi presidiati da guardie del corpo armate, ne sono esenti.

La sinistra brasiliana paga per il suo campione, Lula, icona della sinistra europea, oggi in carcere per corruzione e per la sua delfina Dilma Roussef, destituita per le stesse ragioni. E’ la povera gente sfiduciata e affamata che ha eletto, Jair Bolsonaro figlio di emigrati italiani, discutibile innamorato delle dittature militari che hanno insanguinato gli anni 80, eppure eletto perchè ha impostato la sua campagna elettorale sul ritorno all’ordine e sulla promessa di modificare la legislazione sulle armi per consentire ad ogni brasiliano di potersi difendere: una promessa che molti brasiliani in effetti aspettavano e che ha fatto trasalire le imbelli democrazie di Bruxelles, votate al pacifismo e alla resa incondizionata alla criminalità.

Una sola motivazione nell’elezione di Bolsonaro: l’interesse superiore nazionale che ha trasceso le differenze etniche e sessuali. Colui infatti che si definisce un “pragmatico responsabile” difende il diritto dell’uomo del popolo alla sicurezza, in un paese che elencava nel 2016, 63.000 omicidi, il 14 % di quelli compiuti nel mondo intero; diritto al lavoro, a fronte di un tasso di disoccupazione stagnante da anni al 12% e il 62% dei giovani che sogna di espatriare; diritto di vivere in uno stato sovrano fiero della sua identità. Ma questo per i nostri Soloni è solo populismo o peggio, estremismo di destra.

Prima di giudicare ciò che il Presidente eletto sarà capace di fare, è opportuno sottolineare l’ondata di proteste che, come reazione, ha invaso i media europei. Tutto questo è emblematico ed inquietante e dà la dimensione di un grave vulnus dei media: quello della mancanza di pluralismo e della preminenza del pensiero unico.

Il political correct, l’orientamento quasi totalitario dei media e dei presentatori dei talk show si sono scatenati senza riserve. Il colmo è stato raggiunto da Euronews – il canale ufficiale dell’oligarchia di Bruxelles – che ha osato giustificare persino l’attentato subito da Bolsonaro in campagna elettorale, come una giusta indignazione contro le idee e la divisione reale del paese che l’allora candidato sosteneva. Altre fonti di informazione si sono permesse di parlare di elezione “inquietante”, di sorprendente entusiasmo della folla all’annuncio del risultato ed hanno sottolineato le caratteristiche del nuovo Presidente: razzista, omofobo, anti-abortista; hanno insistito sul suo passato militare che lo dipinge come un nostalgico del potere militare, trascurando invece e volutamente che Bolsonaro è stato deputato dal 1988, sempre rieletto, con una fedina penale pulita, caratteristica rara in questo Paese.

La grave crisi economica e l’aumento della violenza, spiegano largamente la vittoria di colui che ha promesso di rilanciare l’economia con una politica liberale, come quella riuscita in maniera durevole oggi in Cile e in Colombia, e ristabilire l’ordine e la sicurezza sociale. Le classi medie, fragilizzate dalla crisi, i delusi del vecchio partito dei lavoratori hanno costituito il popolo che ha ritrovato il suo slancio patriottico e conservatore ed ha votato in massa per il nuovo Presidente. E’ perlomeno strano che i nostri commentatori svelino la loro ideologia opponendo ancora una volta contro il populismo tutte le minoranze che il nuovo eletto minaccerebbe: i neri, le femministe e gli omosessuali, senza però dimostrare di capire che il popolo non è una somma di comunità ma una nazione che vuole vivere e vivere meglio.

Jair Bolsonaro è coniugato ed ha cinque figli; le folle che lo sostengono comprendono moltissime donne che probabilmente non pensano che l’aborto possa rappresentare il sommo dei loro diritti e della loro libertà. Quello che invece dovrebbe far riflettere è la deriva delle nostre democrazie, l’ineguaglianza di trattamento che impongono all’informazione le classi giornalistiche, formate alla scuola del potere e che occupano in maniera permanente le redazioni. Si parla del “capitano” Bolsonaro e del ritorno dei militari, ma si dimentica che nel ricco Venezuela vicino, è stato un militare, Chavez, ad instaurare il regime socialista attualmente al potere. Certo, il risultato di un’elezione popolare, ma avvenuta dopo un tentativo di colpo di stato. Il suo erede, Maduro ha fatto del paese un eldorado, un paese delle cuccagne grazie ai fondi delle riserve petrolifere, ma in verità un inferno da dove gli abitanti fuggono, una vera vergogna per tutta l’America latina.

A questo punto non possiamo che constatare la clemenza dei media verso questo regime, parente di quello di Cuba o di quello del Nicaragua, di cui per anni hanno celebrato gli eroi, in verità gestori pericolosi del bene pubblico e complici oggettivi di autocrati senza scrupoli.

In Brasile, comunque, si conclude un ciclo. Per molto tempo il vento della storia ha soffiato a sinistra, oggi soffia in senso contrario e siccome soffia in aria di tempesta, farà sicuramente molti danni. Senza illusioni ricordiamo soltanto che Bolsonaro non è un nuovo venuto: suo padre si chiama “Lula” e sua madre “Dilma Roussef”… E non dimentichiamo che anche in Europa abbiamo le nostre “favelas”.

Eugenio Preta