Può definirsi democratico un dibattito che impone certi argomenti e ne vieta altri?

Emmanuel Macron tenta di avviare il confronto con i francesi con una lettera che propone un grande dibattito nazionale. La lettera, però, inizia escludendo alcuni temi controversi, in genere i punti salienti della protesta dei gilet gialli e ad includere argomenti sicuramente politici ma non di convincente interesse.

Il potere sembra così voler limitare la libertà d’espressione e decidere a priori argomenti “biodegradabili”. Un’impostazione discutibile in un paese che si vorrebbe patria delle libertà e modello di democrazia. La classe politica francese oggi al governo, è senza’altro progressista e detiene la verità rivelata, quindi la rivisitazione di quelle riforme liberali-libertarie già decise dal governo – lo dice Macron stesso nella sua lettera – e non in discussione. Questa impostazione dimostra però, che alcuni valori non sopportano il dibattito, in genere quelli dell’ideologia del “politicamente corretto”, ammirazione per le minoranze oppresse e pentimento imposto alla maggioranza oppressiva.

Le misure societarie decise da questa nuova classe politica vengono bandite dal dibattito. Ad esempio l’interruzione volontaria della maternità, considerata come una conquista delle donne forzatamente oppresse da un potere patriarcale, non si può discutere. Come non si può discutere il garantismo penale, perché i criminali ormai sono ritenuti vittime di una società repressiva e non può più mettersi in discussione il matrimonio omosessuale, considerato una sorta di liberazione rispetto alla morale tradizionale.

Nel nuovo governo di Macron ci sono tanti socialisti che hanno rinnegato il proprio ideale per convertirsi al liberalismo ed hanno contribuito a cambiare il vecchio paradigma: gli operai, forza rivoluzionaria della vecchia utopia, sono stati sostituiti dagli immigrati, nuova forza rivoluzionaria che prefigura l’avvento del mulriculturalismo. Oggi non vogliono più il paradiso comunista e abbracciano la nuova utopia di sostituzione: la società multiculturale e i francesi dovranno pagare di loro tasca le stravaganze dei cittadini del mondo.

Ormai è di moda la caccia all’effetto serra, i provinciali subiscono gli aumenti delle tasse sul gasolio perché sono costretti ad utilizzare la loro vecchia automobile per andare a lavorare o portare i figli a scuola. I cittadini “ecologisti” non hanno bisogno di vettura perché possono utilizzare i servizi pubblici. A risentirne di queste stravaganze sono certamente i rurali e non c’é da meravigliarsi se questi si ribellano.

Dopo la censura, la repubblica “macroniana” si incammina verso la “democratura” perché utilizza marchingegni democratici per imporre la sua utopia a tutti i cittadini. Che la rifiutano però, come dimostra la crisi dei gilet gialli. Oggi Macron, con la sua lettera, invita i francesi ad esprimere la loro opinione su vari argomenti con un grande dibattito, che si vuole nazionale. E’ una lettera però che arriva con 14 anni di ritardo da quella data fatidica del voto del referendum sulla Costituzione europea che fece credere ai francesi, e a tutti gli europei in attesa di quel risultato, che la decisione della gente sarebbe stata decisiva tanto relativamente alle proposte di Bruxelles, da venire ignorata solo due anni dopo.

La vera frattura tra il popolo e le elites autoproclamate dal potere dei media, è da attribuire al rigetto del referendum, votato dal 54,67% dei francesi e di contro la sua accettazione – due anni dopo per via parlamentare – quando Sarkozy appose la firma della Francia al trattato di Lisbona, che riprendeva quasi interamente gli argomenti della Costituzione europea rifiutata invece dal popolo. Un vero vulnus della democrazia, che se non fosse stato ignorato, avrebbe impedito probabilmente la grave crisi istituzionale che attraversa l’Unione europea. Ed oggi, in un certo qual modo i gilet gialli sono gli eredi di quel tradimento di Lisbona.

La tendenza popolare che traspare attraverso le reti sociali, relativamente al grande dibattito proposto da Macron, è quella del rifiuto in blocco, un rifiuto di principio nonostante la presa di responsabilità che dovrebbe portare alla partecipazione e a rispondere, pur nella diversità delle opinioni, alle domande della politica.

E’ abbastanza chiaro che il potere sta cercando una pausa nel conflitto che l’oppone ai gilet gialli: questo non può impedire ai cittadini di rispondere ai quesiti sul tavolo, di entrare in qualche modo nel dibattito. I cittadini sono stati chiamati ed esprimersi sul funzionamento del Paese. Se non lo faranno, si prenderanno la responsabilità di non aver voluto rispondere e la colpa del fallimento della democrazia.

Eugenio Preta