Elezioni europee: un voto per turare la falla

In un mondo in cui si affermano mastodonti demografici, economici, militari e commerciali è abbastanza facile capire come nessun singolo Paese europeo abbia una dimensione tale da consentirgli di immaginarsi, da solo, un futuro libero, indipendente e prospero. Un’Europa unita, e politica, è dunque una necessità.

Ma unita fino a dove? Gli Stati europei esistono come esistono le Nazioni europee, non sempre identificabili strettamente agli Stati, e queste Nazioni hanno una storia, modi di vivere, costumi e tradizioni spesso differenti. Voler uniformizzare tutto ad uso esclusivo di ben 500 milioni di abitanti sembra una vera utopia e, oltretutto, non appare oggi strettamente necessario. Che la forma delle zucchine o la dimensione delle finestre debbano essere standardizzate non può e non deve rimanere la sola preoccupazione europea.

Quello che unisce gli europei è uno zoccolo culturale di valori derivati da un lungo passato non sempre omogeneo, venutosi a creare lentamente con il contributo della religione cristiana, di quella giudea e del pensiero liberale, sul ceppo delle tradizioni greche e latine, del mondo e delle istituzioni romaniche.

L’islam, oggi così presente ed immanente all’Europa, per tanti anni è stato tenuto, con tanta difficoltà, ai margini di questi confini ideali da dove ha fatto spesso irruzione con il ferro e con il fuoco, sempre rigettato, però, come a Lepanto, a Vienna o a Poitiers. I suoi valori non possono essere considerati quelli dell’Europa.

Nonostante le sue imperfezioni, le lotte sanguinose, gli abusi del passato che si devono tutti agli uomini e mai ai testi scritti, al contrario di quello che succede per l’Islam, proprio dal Cristianesimo sono derivati per l’Europa, la legge, la democrazia e quei diritti dell’uomo che costituiscono oggi la base della nostra civiltà millenaria.

L’Europa è una frontiera geografica e culturale, dagli Urali alle rive dell’Atlantico, e la Russia ne è sicuramente parte intrinseca, al contrario della Turchia che, con una religione come l’islam che rifiuta la legge degli uomini sulla terra, non può esserne parte, neanche se si dovesse essa stessa obbligare ad un futuro, improbabile, aggiornamento.

Il sistema politico al potere che proclama di volere un’Europa protettrice ci imbroglia, è in contraddizione con i suoi atti e le sue dichiarazioni. Incoraggia, in verità con perseveranza, l’invasione migratoria di popolazioni afflitte da endemici malanni, tutte musulmane, predica bene ma parla con lingua biforcuta, come ha fatto recentemente con la firma del patto Onu sulle migrazioni, firmato a Marrakech.

Oggi la classe politica al potere è impegnata solo a denunziare i nazionalismi rinascenti, ritenuti un male, in realtà il vero ostacolo al mondialismo imperante, all’omogenizzazione imbelle e federalista, senza capire che questi sono e devono essere letti come la traduzione letterale della rivolta dei popoli che non vogliono essere destinati a scomparire.

Non esiste oggi in Europa uno Stato bellicoso, né più potente degli altri, che minacci i suoi vicini tanto da legittimare lo spauracchio di un possibile paragone col passato dell’Europa tra le due guerre. Aizzare il popolo contro la peste bruna ed il fascismo è indegno da parte della classe governante, offendere i capi di Stato europei che non coltivano il dogma mondialista corrente, proclamare l’angelismo di nuove popolazioni survenienti, rimane fuori dal tempo, esaltare la resistenza dei “gentili” progressisti (leggi mondialisti, multiculturalisti, trilaterali, Bilderberg e Standard & Poor’s) contro i cattivi populisti e i pessimi nazionalisti non significa assolutamente difendere l’interesse dei popoli.

L’Europa originaria degli Stati fondatori sembra essersi perduta dietro lo specchio deformante di un grande mercato unico e senza frontiere di persone, merci e capitali. Senza ideali politici né aspirazioni alla costruzione di un’Europa politica sembra però che oggi solo volgendosi ad Est essa ritrovi l’esatta percezione della situazione corrente e nuove spinte per un possibile rilancio che potrebbe prendere avvio già dai risultati delle prossime elezioni europee, importanti per l’Europa perché non saranno più semplici elezioni nazionali che hanno conseguenze immediate sulla vita interna dei vari Paesi, ma elezioni generali che interessano l’avvenire comune di tutti.

I fantasmi, agitati a bella posta dai sedicenti rivoluzionari mondialisti, di un abbandono in massa dell’attuale Unione pur imperfetta, si risolverebbe soltanto in una catastrofe per tutti oltre ad essere una mossa controproducente perché la salvezza ad un naufragio non consiste nell’abbandonare la nave ma, prima, nella necessità di “turare la falla”.

I cittadini oggi lamentano la lontananza del Palazzo di Bruxelles che li obbliga a regole europee prevalenti su quelle nazionali: ecco arrivato il momento di riformare l’Europa dallo stesso interno dei suoi centri decisionali, facendo in modo che la ‘governance’ ritorni ad essere positivamente egoista, impegnata a fare gli interessi prioritari dei suoi popoli non quelli di banche e mercati mondiali. La legislazione che ne deriverà interesserà gli Stati nazione e potrà allora essere veramente quella che obbedisce alle aspettative e alle esigenze del cittadino.

Quello che diventerà prioritario non sarà più (e non solo) l’economia, il sociale, l’ecologia, senz’altro materie importanti del vivere comune ma non vitali, nel vero senso del termine, come i vecchi problemi di lavoro, economia e sicurezza dei popoli la cui soluzione resterà imperfetta e prevedibilmente di lungo termine, a causa delle divergenze tuttora esistenti tra i vari Paesi membri. Oggi sembra basilare dover intervenire: l’urgenza dell’intervento potrebbe significa realmente la sopravvivenza del vecchio Continente.

La nave sta affondando: chiudiamo quindi i compartimenti stagni, azioniamo l’evacuazione dei comparti, turiamo le falle; le operazioni restanti le faremo poi, all’interno del battello, messo finalmente in sicurezza.

Eugenio Preta