Trattato Ceta e agricoltura siciliana: “id quod servat, occidit”

L’ormai inarrestabile avanzare della globalizzazione si prefigura in una legislazione che possa regolare gli accordi mondialisti.
In questo settore l’Unione europea si presenta in prima linea con normative che attaccano pero’ soprattutto la sovranità degli Stati Nazione e diventano una vera sventura per i territori del continente che rimangono poco tutelate dai loro rappresentanti istituzionali.

E se, come da copione, una disgrazia non arriva mai da sola , dopo la fortunosa (e fortuita ) cancellazione del Tafta, l’accordo transcontinentale euro-americano di libero scambio, l’esecutivo europeo si è ripreso la scena chiedendo agli Stati membri la ratifica del trattato di libero scambio col Canada e con la Cina, il CETA.

Un accordo che, in considerazione del previsto aumento delle quote di importazione di carne canadese e dell’aumento della protezione delle denominazioni di origine europee in Canada, non sembrerebbe neanche un accordo catastrofico per gli Stati dell’Europa , ma in realtà rappresenta il cavallo di legno che si fa largo nella fortezza europea, approfittando di un’unione in deficit di coesione che lascia intere sue regioni , senza difesa.

Guardando infatti in casa nostra, l’agricoltura siciliana resta senza tutele, In realtà l’intero Sud , che avrebbe invece il diritto di essere meglio rappresentato in sede UE al momento della formulazione delle direttive , cosa che, purtroppo , non avviene ancora.

il trattato Ceta si rivela un attacco distruttivo per la fragilissima economia del sud. Già a suo tempo avevamo messo in guardia e denunziato l’accordo Ceta che l’Unione europea aveva disegnato con il Canada quasi alla chetichella, votato in commissione a fine maggio da un parlamento ormai in scadenza di mandato, quindi moralmente poco legittimato.

In cauda venenum; questo trattato avrebbe dovuto essere bocciato in nome dei popoli europei perché non è ammissibile che, in virtù della libertà di circolazione di tutto – la vera essenza ormai di questa Europa diventata oggi solo una grande area di libera circolazione di persone, merci, capitali, servizi e …criminalità – vengano penalizzate tante eccellenze europee e annientato un intero settore agricolo importante come quello siciliano.

In Italia i marchi dei prodotti agricoli ed alimentari protetti e registrati sono 293 e di questi 84 nelle regioni del Nord, 53 al Centro, 156 al Sud .La Sicilia inoltre è la regione italiana con il maggior numero di IGP . Con questo corollario viene estremamente difficile accettare la scelta dei prodotti italiani da tutelare effettuata nell’ambito del CETA: 40 di cui solo 4 siciliani (e meridionali in genere) nel comparto con il Canada ed 1 solo nel settore la Cina.

Delle due l’una : o la politica italiana è formata da imbecilli ed incompetenti o i nostri rappresentanti politici che hanno partecipato alla stesura di questi accordi hanno abbassato la maschera e si sono rivelati anti siciliani acclarati.

Purtroppo i prodotti protetti del Sud Italia non hanno alle spalle Consorzi di Tutela in grado di promuoverli a livello nazionale ed internazionale come quelli del nord e questa debolezza cronica si paga con una minore attenzione nella loro promozione.

Finché il Ministero dell’Agricoltura inserisce nei Trattati di commercio solo Parma, Modena, Reggio Emilia, la Food Valley emiliana, e il «sistema del prosecco» veneto, la crescita di tutto il sistema economico e produttivo italiano sarà sempre pari a zero anche se l’Italia non può certo permettersi di abbandonare i mercati del Sud dove le aziende del nord esportano il 70% circa della loro produzione.

La cosa che fa più rabbia è l’assordante silenzio della classe politica siciliana che, evidentemente , non è in grado di garantire gli interessi e le esigenza della terra e dei siciliani che è stata chiamata a rappresentare.

Purtroppo anche i cittadini dell’Isola/arcipelago hanno la loro parte di colpa relativamente alle politiche necessarie di accompagnamento e tutela dei loro prodotti dal momento che non sono stati capaci di costituire Consorzi di Tutela per promuoverli a livello nazionale ed internazionale come fanno quelli del nord.

Altra ulteriore vergogna perpetrata in questi offensivi trattati commerciali è rappresentata dalle regole che consentono l’inserimento di nuovi prodotti a posteriori, in pratica condannando a morte tutti i prodotti DOP, IGP DOC , che sono, in maggior , parte Prodotti del Sud Italia e della Sicilia in particolare, ecc. ecc. esistenti prima della stesura degli elenchi del CETA. A dimostrazione, se ancora ce ne fosse bisogno, di un viscerale anti-meridionalismo che non può più venire celato.

I latini credevano che nel nome di una persona ne fosse indicato persino il destino . “in nomine numen” dicevano e , senza malizia, giriamo la locuzione Latina alla situazione annunciata dall’attuale ministro dell’agricoltura Bellanova, ringraziandola per la “Bella nuova” ( si fa per dire) della firma italiana del Ceta e per l‘evidente sicilianità da Lei manifestata nella trattativa.

Lo abbiamo sempre detto ed oggi lo riconfermiamo anche in occasione del Ceta: non vogliono tutelarci, tolgono alla nostra terra ogni possibilità di sviluppo ed aprono ai nostri giovani la via di una ennesima Diaspora. Tanto che ormai non ci stanchiamo di chiederci: ma se non ci vogliono, perché restiamo?

Eugenio Preta