Il Piano economico europeo rimette in moto la riforma federalista dell’Ue

Lo scorso 21 luglio il vertice europeo ha partorito nel dolore un piano economico tragicomico per reagire alle conseguenze disastrose dovute in gran parte all’incapacità dell’Unione europea sulla gestione della crisi sanitaria conseguente alla pandemia da Covid 19.

E’ stato scritto già abbastanza sulle défaillance dei rimedi, sull’assenza di una sovranità industriale del continente europeo, sulla carenza di mascherine e dispositivi, sulla testardaggine palesata dagli Esecutivi nazionali di non volere chiudere contro ogni logica le loro frontiere, sull’inadeguatezza delle istanze europee, da far pensare addirittura che i rimedi alla crisi siano stati e siano ancora peggiori delle cause che l’hanno determinata.

L’Europa ne esce certamente sconfitta anche se molti dei suoi leader si sono detti pronti a proseguire nel loro programma politico, latore finora di effetti disastrosi: il federalismo europeo. “Dio biasima gli uomini che si lamentano delle conseguenze senza cercarne invece le cause” diceva uno dei più grandi oratori religiosi del Seicento, Jacques Benigne Bossuet, arcidiacono a METZ e precettore di corte. Dei 750 miliardi previsti dal piano, 390 saranno costituiti dagli aiuti diretti della Commissione diluiti fino al 2050, il che rappresenta un addendum di debiti di oltre 40 miliardi che le generazioni future dovranno rimborsare. Restano poi 390 miliardi da reperire sui mercati, che non si sa come saranno rimborsati.

Per la Storia, ricordiamo, che il piano economico non ha dimostrato nessuno spirito di solidarietà europea, anzi, manipolati dai media, siamo usciti dai negoziati convinti di aver portato a casa un risultato eclatante. Niente di tutto ciò se consideriamo che l’Italia, Paese fondatore di questa Unione e di importanza superiore a molti altri, è contributore netto del budget comunitario: dal 2000 al 2017 ha versato alla Ue 88,720 miliardi costituiti dalla differenza fra i versamenti e gli accrediti (fonte Rgs) ed ha contribuito per 58,200 miliardi (fonte Def 2019) ai fondi Salva Stati.

In totale 146,920 miliardi di euro degli italiani messi nella cassa comune dei Paesi Ue, quei Paesi che ora si permettono di fare i censori e accusano l’Italia di gestione allegra dello Stato. Una cifra enorme che poteva essere destinata alle infrastrutture, a drastici tagli di tasse, a ospedali e invece sono altri Paesi della Ue ad averlo fatto con i nostri soldi.

Che la Ue per l’Italia, rappresenti un enorme costo e che l’Italia per la Ue, sia un affare, è realtà incontestabile e non si vuole che l’Italia se ne vada sbattendo la porta, perché andrebbe a crollare rovinosamente tutta la fittizia costruzione di Stati solidali.

L’accordo raggiunto dai 27 al vertice di Bruxelles viene ritenuto un evento storico, ma al di là degli aspetti tecnico-contabili già inquietanti di per se stessi, conferma la rimessa in moto del piano federalista. Per la prima volta nella sua storia la Commissione accende un mutuo in nome proprio, sarà essa stessa responsabile dell’attribuzione dei fondi, riuscendo ad aggiungere al suo carniere una nuova delega di poteri, finora attribuiti agli Stati nazionali.

E se oggi tutti giurano che nessuna tassa supplementare graverà sui salari dei cittadini europei, aleggia il sospetto fondato della creazione di una tassa europea proprio per pagare il debito, tassa che interesserà proprio i cittadini che ancora devono nascere.

La Commissione poi sarà in potere di subordinare il versamento degli aiuti a numerose condizioni, specialmente di bilancio e fatalmente riporterà sul tavolo dei negoziati l’austerità e la riforma delle pensioni. In maniera ancora più subdola un’altra condizione potrà aggiungersi alla concessione degli aiuti: il fantomatico rispetto dello Stato di diritto, una terminologia volutamente equivoca ma inquietante perché potrebbe vietare gli aiuti agli Stati che proteggono le loro frontiere, agli Stati che rifiutano la dittatura delle minoranze etniche o sessuali, agli Stati che la Corte europea dei diritti dell’uomo (che la recente attualità ha attestato al sevizio del potente Soros) ha giudicato antidemocratici.

Dietro cifre dai dati tanto esorbitanti si nascondono però indecenze ideologiche e politiche e mentre ancora si procede alla conta dei morti per epidemia, la tecnocrazia liberista sviluppa il suo programma politico sui cadaveri che la sua stessa ideologia ha provocato. La Storia poi qualificherà questa nostra epoca come la rincorsa che precede il salto verso il vuoto per il quale tutti stiamo stupidamente lavorando.

Eugenio Preta