Patto europeo per le migrazioni

Con il patto per le migrazioni, presentato a inizio settimana a Bruxelles, l’Unione europea ha inteso rilanciare il dibattito sui rifugiati. Missione tutt’altro che agevole, dal momento che il progetto sembra voler affrontare tutto tranne che un vero accordo per regolamentare la tematica.

Implicitamente, la necessità di un accordo tra Stati sovrani presuppone a monte, un problema che sia all’origine di questa iniziativa e dovrebbe prevedere, di conseguenza, misure meditate e consapevoli per contrastare la criticità acclarata. Invece questo discorrere, definito enfaticamente “Patto”, non cerca minimamente di regolare il fenomeno, non tende a porre un freno al problema dell’immigrazione e non prevede, come vorrebbe la maggior parte dei cittadini europei, di rimandare nei Paesi d’origine (sia chiaro: quei Paesi certamente disagiati, ma sicuramente senza guerre nè rivolte) chi entra illegalmente nel territorio europeo.

In definitiva il patto non contiene alcuna misura concreta per combattere l’immigrazione illegale ma mira semplicemente a trasformarla in immigrazione legale. Del resto, nel testo presentato, lo si evince chiaramente, quando si legge che l’obiettivo prioritario rimane quello di tutelare le filiere di immigrazione e di aumentare e accelerare le procedure dei raggruppamenti familiari.

Missione tutt’altro che compiuta però, addirittura impossibile finché l’Unione europea non avrà deciso di riconoscere il suo fallimento totale se dal 2015 la pressione migratoria, invece di diminuire è aumentata e, se l’Unione si è contraddistinta per il suo lassismo in tema d’immigrazione e la sua attitudine coercitiva nell’imporre a tutti i Paesi sia questa immigrazione di massa, sia la ripartizione forzata dei migranti nei vari Stati membri, quelli più pavidi o quelli che, attraverso i loro rappresentanti, hanno negoziato sulle spalle dei loro cittadini condizioni capestro per l’accoglienza indiscriminata (l’Italia, ad esempio col governo Renzi/Gentiloni).

Le procedure parlamentari prevedono adesso che la proposta dell’Esecutivo venga deferita alla commissione parlamentare competente del PE, commissione per le libertà e i diritti nel caso specifico, che procederà alla nomina di un relatore che predisporrà un testo da presentare al voto dell’Assemblea plenaria. La maggioranza parlamentare costituita dai gruppi PPE e PSE sosterrà sicuramente gli orientamenti dell’Esecutivo, per cui la battaglia si trasferirà in sede di Consiglio dove vige ancora l’unanimità e qualche Stato membro, considerato più irrequieto – il riferimento va ad Ungheria e Polonia, ad esempio – si opporrà al lassismo ormai generalizzato e porrà il suo veto. Ma il testo non prevede scappatoie: gli Stati membri che non lo volessero dispongono sempre della facoltà di rimandare nel Paese di origine il migrante in situazione irregolare. Sappiamo troppo bene, però, che molti Stati non ne hanno la volontà politica e, se anche l’avessero, si troverebbero poi confrontati a tante difficoltà.

E’ abbastanza chiaro che Bruxelles, non ha cambiato filosofia e resta dell’idea che l’immigrazione costituisca una vera opportunità per l’Europa, fingendo di ignorare che le conseguenze di questo fenomeno, sia legalizzato o meno, influiscono drammaticamente sul piano economico, sociale, identitario e sulla sicurezza dei territori. Tutto però rientrerà nell’ordine, perché l’Esecutivo ha previsto che gli Stati membri che non intendono accettare la ripartizione dei migranti suggerita dal testo, debbano provvedere essi stessi ai rimpatri, pena l’accoglimento della stessa immigrazione.

In Europa si sono registrati in sei anni 5,3 milioni di rifugiati, senza distinzioni tra immigrazione legale o illegale. La maggior parte di essi non ha diritto d’asilo e non ha neanche voglia di restare ma, in mancanza di volontà politica dell’Unione e degli Stati membri, non verranno mai espulsi e prima o poi finiranno per essere regolarizzati ed in seguito anche naturalizzati, spesso anche senza averlo mai voluto. Sarebbe stato molto più utile se l’Esecutivo avesse deciso di coordinare l’azione dei Paesi membri e di aiutarli nelle procedure d’espulsione. Avviene, invece, esattamente il contrario: la Commissione fa di tutto per frenare le soluzioni e favorire l’immigrazione illegale.

Incontestabilmente ci saranno Paesi dell’Europa orientale che decideranno di difendere la civiltà e l’identità europee e continueranno a combattere in prima linea contro i lassismi migratori, al contrario di quei Paesi che hanno abbracciato la filosofia di dover favorire l’immigrazione. Purtroppo non saranno quei governanti irresponsabili a subirne le conseguenze, ma più realisticamente i cittadini più fragili e meno favoriti che patiranno sulla loro pelle disoccupazione e l’insicurezza legata, direttamente o indirettamente, a questa immigrazione ormai anarchica.

Eugenio Preta