La nostra libertà oggi e l’inganno della fata Morgana

Oggi, ogni infamia viene argomentata con formule precostituite, con lagne politiche che trasferiscono ad altri le responsabilità che il più delle volte ci appartengono con il coinvolgimento dei nostri stessi sentimenti.

Non meravigliamoci perciò più di tanto se le pagine dei giornali ci rimandano quotidianamente le violenze che si compiono nel mondo e soprattutto non tranquillizziamoci credendo che tutto accada fuori dalla nostra sfera privata.

Di fronte ai drammi quotidiani, ahimé, cerchiamo disperatamente motivazioni lontane, facciamo finta di essere incolpevoli cercando spiegazioni che non ci coinvolgono più di tanto, senza volere ammettere l’egoismo, la stupidità e la crudeltà della nostra società.

Alla ricerca di un mondo dove violenza e male non esistono, ci illudiamo di vedere quello che è solo virtuale, assolutamente scisso dalla realtà.

L’attualità sconvolge le nostre anime anche per gli orrori causati da sentenze inconcepibili di una magistratura costretta ad applicare una legge che non vuol essere giustizialista, rimettendo in libertà l’autore di oltre 100 omicidi di mafia, un criminale che ha premuto il timer a Capaci, che ha ucciso senza pietà un bambino facendone perdere poi ogni traccia, sciogliendo il suo corpo nell’acido. Una magistratura “confusa” che rimette in libertà i responsabili della tragedia della funivia del Mottarone, precipitata nel fondo valle con i corpi di 14 persone, colpevoli per la loro imperizia e per la loro approssimazione etica.

Ma come diceva Eraclito, “panta rei”, tutto scorre e si ritorna all’egoismo ormai insito nella nostra società, sempre alla ricerca di una libertà mal compresa, oggi ancora più desiderata, perché ci è stata  tolta.

Un rincorrere la libertà  che si risolve solo in un miraggio, una visione incantata che, al risveglio, potrebbe riproporci la fredda realtà e rischia di ingannarci e – come il re barbaro – di farci annegare, credendo di essere riusciti a raggiungere quello che invece è ancora lontano, abbagliati, come quel re, da un’illusione.

Una leggenda siciliana, racconta che al tempo della discesa dei barbari verso il sud ed il sole, un’orda di questi conquistatori, dopo aver attraversato tutta la penisola giunse sulle rive dello Stretto di Messina. Il re barbaro, soggiogato dalla bellezza che aveva di fronte – spiagge coperte di arance ed ulivi e il grande monte fumante chiamato Etna – passava intere giornate a pensare come poter raggiungere quella terra di sogno e impadronirsene. Ma non possedeva neanche una barca per poter attraversare il mare e perciò si disperava. Lo udì una fata che, spinta da compassione, decise di andare in suo aiuto.

Era un pomeriggio di settembre, il cielo e il mare erano senza un filo di vento ed una nebbiolina sottile velava l’orizzonte. La fata disse al re di guardare ai suoi piedi e questi vide nell’acqua nitidissimi, come se potesse toccarli con mano, i monti dell’Isola coperti di uliveti, le spiagge verdi di arance e limoni, il porto di Messina con i bastimenti, i moli e persino i marinai che caricavano le merci.

Con un grido di gioia balzò giù da cavallo, si tuffò nell’acqua per attraversare quel braccio di mare diventato accessibile ma l’incantesimo si ruppe e, trascinato giù dal peso della sua armatura, quel re affogò miseramente.

Ecco perché in certe giornate particolarmente luminose, dall’Isola si riesce a vedere limpidissima la costa che sta di fronte e che invece dista parecchie miglia. È un fenomeno ottico, un’illusione che, appena si spezzerà, ci lascerà alla realtà più crudele.

È una magia dello Stretto, l’inganno della Fata Morgana.

Eugenio Preta