Referendum in Ungheria

L’unione europea già dal 2015 è contro l’Ungheria, colpevole di essere stato il primo paese a ribellarsi ai dogma UE rifiutando, ad esempio, le quote di migranti imposte da Bruxelles ai partners silenziosi ed ancora oggi continua a bersagliare i magiari.

La chiave del pretesto questa volta è stata offerta ai Soloni europei da un emendamento adottato dal parlamento ungherese per rafforzare le sanzioni previste nella legge contro la pedo-criminalità. C’è da sottolineare che in Ungheria, contrariamente a quello che avviene nella quasi totalità dei Paesi membri dell’UE, la maggioranza dei parlamentari nazionali, con un’unica eccezione, approvando il suddetto emendamento, ha inteso dare un segnale forte per arginare la propaganda LGBT+ nelle scuole e tra i giovani.

Tutto questo non avviene come una forzatura da parte di un governo ribelle al dogma europeo imperante, ma in conformità al dettato costituzionale ungherese che sacralizza il matrimonio come unione esclusiva tra un uomo e una donna ed obbliga lo Stato a difendere l’identità dei bambini, relativamente al loro genere al momento della nascita, oltre che ad assicurare la loro educazione sulla base dei valori cristiani. Una visione sicuramente agli antipodi di quella dei dirigenti dell’Unione europea che ha convinto l’Ungheria ad intervenire nel 2015, al momento della crisi migratoria, iniziando col rifiutare la sostituzione del suo popolo e privilegiando il rilancio della natalità e il sostegno alle famiglie.

Se infatti nel 2010 l’Ungheria affiggeva un tasso di natalità catastrofico, oggi, a distanza di 10 anni, gli sforzi cominciano a dare i loro frutti: i matrimoni sono aumentati del 45% e il tasso di natalità è passato dall’1,2 all’1,5.

L’Ungheria non è isolata: “Unirsi per resistere e ricostruire” è stato lo slogan del 4° vertice demografico mondiale organizzato a Budapest lo scorso settembre con la partecipazione di responsabili politici polacchi, sloveni e cechi e dell’ex vicepresidente Usa Mike Pence insieme a molti politici provenienti dall’area conservatrice europea.

Certo la battaglia appare difficile e, come la Polonia, anche l’Ungheria subisce continuamente gli ostracismi di Bruxelles. L’ultimo, in ordine di tempo, quello che minaccia di non concedere i 7 miliardi che gli assegna l’Esecutivo europeo nel piano di rilancio economico dell’UE. Urban però non demorde e ha previsto di far intendere la voce del suo popolo organizzando per il prossimo mese di febbraio – come già aveva fatto nel 2016 relativamente all’accoglienza dei migranti – la Consultazione del popolo per referendum sulla protezione dei minori. Un mezzo per dimostrare a tutta l’Europa che tutte le iniziative intraprese dal governo sono in armonia con la volontà del popolo ungherese.

Questa Europa che una volta si occupava delle gabbie delle chiocce, del bisfenolo nei biberon o dei naftalati nei giochi dei bimbi, ha alzato la posta ed oggi parla di uomo senza genere, senza radici e senza Stato e così sembra aver svelato la sua vocazione al grande reset.

I paesi del vecchio blocco comunista però hanno già conosciuto lo spirito della filosofia marxista e sono ormai vaccinati contro quel virus. Orban, come aveva già fatto dal palco del vertice sulla demografia, ricorda che la storia vissuta dai paesi del vecchio blocco comunista serve loro da autodifesa contro la deriva culturale di sinistra e, dimostrando una determinazione assoluta , dichiara di voler continuare ad opporsi a Bruxelles proprio perché gli ungheresi, usciti da un regime totalitario non intendono assolutamente riconsegnarsi passivamente ad un altro e la Storia, da tempo, ha insegnato loro cosa sia opportuno fare.

Eugenio Preta