Elezioni regionali siciliane

Al bando i luoghi comuni, i celebri viaggiatori e i poeti ruffiani, ma la nostra Isola/Arcipelago è effettivamente una grande porzione di bellezza e quando tramonta il sole tra colline e vulcani e quando soffia scirocco incollato ai tetti o inverno umido non sa raffreddare i lidi di sabbia nera.

Forse il buon Dio, creando in mezzo alle onde la Sicilia, ha inteso premiarci con un leggero, ma significativo anticipo del Paradiso da venire.
Non aveva previsto però il Pantacreatore la ribellione di Adamo e la susseguente rincorsa alla grande bellezza di popoli brutti, obbligati a rifinirsi, che ha stravolto questo Arcipelago mescolandone le razze umane, gli appetiti, i desideri, i caratteri.
Così siamo noi Siciliani figli del caos (il “causo” di Pirandello) e figli di tante madri, i principali dilapidatori e distruttori di quell’anticipazione divina che il Padreterno aveva inteso regalarci.
Accanto a località cui avevamo dato nomi divini proprio perché al divino ci avvicinavano, ora sorgono miniere e fumi che appestano l’aria, accanto a vestigia antiche moderne costruzioni impossibili, su antichi acciottolati di lava i binari di tram che convogliano il niente.

C’era stato invero un sussulto di dignità per la riconquista della stravolta bellezza, ma il temporaneo gestore di questa terra impareggiabile ci aveva mandato esercito e carabinieri per impedirci di alzare la testa.

Noi siciliani però siamo gente testona – attenzione, non testarda, magari lo fossimo… – e quella lotta per l’indipendenza l’abbiamo spinta fino alla vittoria, attestata dalla concessione forzata di uno Statuto di Autonomia, forse autentico nelle intenzione del gestore di cui sopra, ma poi trasformato da noi stessi, in possibilità svanite, in autonomia tradita, in accordi sottobanco e in compromessi proprio con chi se ne è fregato le mani e praticamente lo ha depotenziato.

Anni di connivenza e di sottosviluppo, diaspore continuate, furti effettivi di bellezza e di risorse con la complicità di quelli che ci avevano carpito la fiducia e con il gestore di cui sopra, si arricchivano, proliferavano sempre a danno del popolo siciliano che continua a dormire e soprattutto rifiuta chi cercava di risvegliarlo.

Il resto è Storia, che dobbiamo però, noi siciliani, aggiornare coi colori delle verità nascoste da scritti partigiani e artefatti solo per tenerci con la testa abbassata, asserviti ad un potere centralista, lontano e indifferente ai nostri bisogni e alle grida di dolore che giungono dalle contrade più lontane del “regno”,

Le Piccole Patrie, in questo mondo globalizzato preda di recessione economica, di guerre ed epidemie e di endemica sudditanza ai poteri di banche e burocrazie lontane, si ridestano, e lo fanno in Catalogna, in Galles, in Scozia, in Irlanda, nel Paese basco, in Vandea, in Sardegna. Perché non anche in Sicilia…?
Queste grida sono diventate vere urla, voci e origami di una rabbia troppo a lungo repressa, soffi di ribellione, presa di coscienza finale che risuoneranno a Palermo Capitale il prossimo novembre sotto un mare di bandiere giallorosse, finalmente identitarie e univoche nelle rivendicazioni.
Abbiamo auspicato da tempo che tutti gli spiriti veramente liberi dell’Isola si potessero riunire sotto quelle bandiere con la triscele giallorossa, senza altri colori, senza altre sigle, senza targhe né differenziazioni. Troppe volte si è dilapidato in rivoli di individualismo e di rivalità ideologica malintesa l’ardore per un cambiamento che potesse segnare la rinascita della nostra terra, troppe volte il nuovo vespro è stato banalizzato a favore del potere centrale ammiccante e ostile.

Così a novembre, assistiti dal nostro coraggio e finalmente uniti in un sola e unica rivendicazione di dignità e di orgoglio per l’avvenire dell’Isola e per il futuro dei nostri figli, dovremo dimostrare la nostra voglia di riscatto e gridare al mondo la nostra voglia di essere noi stessi artefici del nostro stesso futuro

Per la Sicilia e solo per la Sicilia quindi, senza i partiti centralisti romani che non sanno fare altro che azzuffarsi -e siamo ancora agli inizi- e poi spartirsi il futuro dei nostri figli.
Non sono riusciti ad accordarsi neanche su un candidato unico, eppure già si dividono vergognosamente le future “poltrone” di palazzo e di assistenza senza pudore né ritegno.
Ai siciliani auguriamo solo il coraggio di aprire gli occhi, il coraggio di rivendicare una sola bandiera: quella del futuro indispensabile.

Eugenio Preta