AUTONOMIA SICILIANA: ORA PIU’ CHE MAI

Giarre, 2 luglio 2006

Nei giorni scorsi mentre in Italia un Referendum nazionale chiamava a votare pro o contro la devolution (elettore siciliano incluso), in Spagna l’elettore della Catalogna veniva chiamato a votare pro o contro un Nuovo Statuto autonomista catalano.

Piace porre in risalto questo confronto per evidenziare la differenza di posizione tra una Sicilia autonomista solo sulla carta, il cui Statuto si lascia erodere dal Governo di Roma, ed una Catalogna che, attraverso un proprio Referendum di segno opposto, ha ottenuto da Madrid una autonomia così spinta da potersi quasi considerare uno Stato a parte.

Cosa dire?

E’ l’ennesima contraddizione di una Sicilia che mentre in Europa spira il vento autonomista retrocede al rango sempre più di colonia.

Diversi sono gli esempi del vento autonomista in Europa. La Catalogna è diventata l’area di maggior crescita in Spagna. Anche i paesi baschi, un tempo depressi come le nostre più povere regioni meridionali sono decollati con l’autonomia. Lo stesso è successo con il Galles e la Scozia in Gran Bretagna. La città meglio gestita in Europa è Bruxelles che è articolata in 18 comuni in concorrenza l’uno con l’altro, per cui i cittadini si spostano nei comuni dove pagano meno tasse e/o hanno più servizi.

L’autonomia (purchè con la spesa pubblica plafonata) è un fattore di sviluppo perché introduce la concorrenza fra gli enti pubblici.

Dove vuole andare la Sicilia?

E’ giusto sperperare i sacrifici delle secolari lotte per l’indipendenza sfociate nello Statuto Siciliano o è meglio approdare sempre più alla deriva colonialista in controtendenza con il vento autonomista europeo che evidenzia che laddove l’autonomia è pienamente applicata crea sviluppo, benessere e sufficiente autonomia finanziaria?

Ora che l’esito referendario, per fortuna, ha evitato che la devolution si scontrasse frontalmente con il nostro Statuto siciliano, pericolo che i movimenti autonomisti siciliani avrebbero dovuto contribuire ad evitare con più coraggiosa evidenza, sembra quanto mai maturo e pertinente riprendere con maggiore forza e convinzione il tema dell’Autonomia siciliana a pieno regime, anche per evitare che altri (la stessa Lega Nord) possano bruciarci sul tempo.

Ed allora perché non sfruttare il vento europeo?

Non sarebbe opportuno mettere al centro del dibattito politico siciliano questo argomento ed indire subito dopo in Sicilia un Referendum come avvenuto recentemente in Catalogna?

Non sarebbe opportuno che la Sicilia cominci ad alzare il tiro in vista di riforme costituzionali bipartisan poste nell’agenda politica nazionale, che potrebbero, quasi silenziosamente, erodere quanto resta dello Statuto Siciliano, quando, invece, ci sarebbe da riappropriarci di importanti prerogative statutarie accantonate?

Quella siciliana è una bella storia di erosione iniziata parecchi anni fa quando fu sciolta l’Alta Corte per la Regione Siciliana, dopo una sentenza che definiva lo Statuto un semplice regolamento pattìzio scindibile anche unilateralmente.

Lo Statuto restò solo sulla carta e molte importanti prerogative andarono eluse perché non attivate.

Cosa può fare oggi la Sicilia se volesse cavalcare il vento autonomista europeo?

Non esistendo più l’Alta Corte, la Sicilia dovrebbe, come primo atto, rivolgersi alle Corti di Giustizia internazionali per ripristinare la legalità dello Statuto. Poi dovrebbe impugnare quelle parti dei trattati e della normativa europea che l’Italia ha contrattato anche per la Sicilia, scavalcando ed annullando ogni forma di autonomia siciliana.

Questo per dire, per esempio, che in queste condizioni la Sicilia avrebbe potuto contrattare direttamente con Bruxelles la realizzazione del Ponte sullo Stretto ed altre opere.

Oggi, più che mai, la Sicilia, se non accetta la condizione colonialista, dovrebbe rendersi conto che ogni espediente costituzionale, che si prefigge di mettere tutte le Regioni italiane a pari condizione, viene a creare la possibilità allo Stato di modificare a pieno arbitrio ogni legge siciliana in nome dell’”interesse nazionale” o modificare unilateralmente lo Statuto siciliano.

E’ accettabile tutto questo?

Lo Statuto siciliano è da difendere o no?

La Sicilia vuole una maggiore autonomia o meglio lasciare erodere quel poco che resta?

La sensazione è che continua ad essere vivo nel siciliano un forte spirito autonomista e che comincia a farsi strada l’opportunità di una Sicilia con una forte organizzazione autonomista, stanca delle invocazioni che invia inutilmente a Roma e quelle degli ultimi tempi ne sono una chiara dimostrazione. Dopotutto, per esempio, cosa avrebbe in meno la Sicilia della Catalogna?

Sull’argomento l’on.le Salvo Fleres –deputato regionale- nel suo bel libro “Ragionare stanca”- si dice convinto che lo spazio per affermare un nuovo meridionalismo esiste, soprattutto se si pensa ad un nuovo meridionalismo non più accattone, non più assistito, non più piagnone, bensì rivolto ad una piena valorizzazione delle risorse, di cui la nostra regione dispone e non in poca quantità.
Esprime fiducia che possano esserci uomini adeguati ad interpretare un progetto autonomista forte e coscienze popolari disposte a sostenerlo.

Evidenzia qualche perplessità in ordine ad un soggetto politico, tipo Lega, in grado di sintetizzare uomini e valori. Per non correre il rischio di velleitarismi od avventurismi si dichiara favorevole ad un meridionalismo inserito all’interno di partiti nazionali, per dirigere il senso degli investimenti dello Stato e la sua azione di supporto alle politiche locali. Ci scuserà l’on.le Fleres ma i segnali romani degli ultimi mesi non confortano questa opzione e siamo più fiduciosi nei nostri avi che ponevano molta attenzione “al vino di qualità quando ci si deve ubriacare”. Siamo dell’avviso che la Sicilia deve guardare ad una sua organizzazione sul modello catalano che si permette, giusto per fare capire la direzione di marcia, di lasciare a Madrid una piccola percentuale dei tributi che incassa. E’ quello che meriterebbe il Governo nazionale.

E poi cosa dire del Referendum (giusto) che Alleanza Siciliana chiede per sapere quanti sono i siciliani che vogliono il Ponte sullo Stretto?

Non indigna che la Sicilia deve chiedere questo permesso a Roma?

Ogni giorno la Sicilia piange, invoca, sbraita (anche attraverso i giornali). Un ridicolo lamento che non attraversa nemmeno lo Stretto. Povera Sicilia!

Come non plaudire all’orgoglio catalano?

Coraggio si inizi subito.

Salvo Marino (Giarre-CT)