La Sicilia e l’energia

Palermo, 30 agosto 2006

La recente vicenda dei gassificatori e dei termovalorizzatori impone ancora una volta una chiara presa di posizione da parte de L’Altra Sicilia – Antudo.
Alcuni amici, infatti, ci hanno scritto chiedendoci se, rispetto alla Carta, avessimo cambiato idea sulla tutela dell’ambiente siciliano.
La risposta è no, ovviamente. L’Altra Sicilia non ritiene la tutela della salute dei cittadini siciliani merce di scambio, a nessun prezzo. La questione sollevata era più di principio che tecnica.

Siamo consapevoli che una questione così delicata non può liquidarsi in un’editoriale. E nemmeno in una lunga relazione tecnica.

Sarebbe necessario per lo meno un “Libro Bianco” sulla politica energetica siciliana, preliminari studi approfonditi da parte di esperti del settore, mentre in questa sede possono appena essere poste le questioni di principio e le grandi alternative politiche.

Il punto fondamentale, a nostro avviso, è questo:
la Sicilia ha o produce molta più energia di quella che serve alle sue produzioni ed ai suoi consumi, e le politiche energetiche italiane mirano ad accentuare questo ruolo, produttivo o di transito, della Sicilia rispetto al Continente.

Se non si parte da questo dato di fatto non si va molto lontano.

L’Enel taglia posti di operai, impiegati e dirigenti in Sicilia da più di dieci anni, giustificando quest’operazione aziendalmente come necessaria ed opportuna, potendosi con efficacia dirigere tutto da Napoli o da Roma.
A parte il fatto che non sempre ciò è vero (vedasi i blackout che colpiscono più la Sicilia che il Continente), in ogni caso l’Enel non dice che questo viene fatto con la rapina che l’Italia sistematicamente opera nei confronti della Sicilia della sua energia.
Abbiamo più petrolio e ne trasformiamo di più di quello che ci serve.

Sul nostro territorio viene estratto o necessariamente transita più gas di quello che ci serve.
Le nostre centrali elettriche producono più energia di quella che ci serve.
Potermmo accontentarci, no? E invece le grandi lobby nazionali ed i loro referenti affaristici locali hanno scoperto il business dell’energia in Sicilia: in Italia i profitti, in Sicilia le scorie: più gas attraverso i metanodotti e con i due rigassificatori progettati, più petrolio con le nuove trivellazioni in Val di Noto, più energia con le pale eoliche disseminate qua e là e con i termovalorizzatori e così via.

Ma quello che si dimentica, al di là dell’inopportunità economica ed ambientale di questa operazione, è che, se anche si volesse fare, i “proventi” (da quelli d’impresa, alle royalties, ai proventi tributari) dovrebbero restare in tutto o quasi in tutto nella terra che li ha prodotti, non nel paese che ci “colonizza” e ci sfrutta.

Altra cosa che si dimentica è che i Siciliani “comprano” l’energia (sotto forma, ad esempio, di energia elettrica o di benzina) proprio dall’Italia, magari a prezzi maggiorati rispetto al Continente o a condizioni di servizio peggiori e pregiudizievoli per lo sviluppo; proprio da quello stesso Continente che se ne appropria a costo nullo (tranne qualche stipendio, sempre meno in verità…) per poi rivendercela al prezzo che vuole.
In tempi di caro petrolio e di crisi energetica diventa drammatico per l’Italia rinunciare a questo piccolo privilegio coloniale sulla Sicilia e, nello stesso tempo, insostenibile per la Sicilia il restare letteralmente schiacciata dallo stivale.

Anche non volendo “buttarla in politica”, anche volendo mantenere lo “statu quo” nei rapporti tra Sicilia ed Italia (secondo lo Statuto-Trattato del 1946) c’è “oggettivamente” un conflitto di interessi di cui si deve innnanzi tutto prendere coscienza.

I termini del problema sono questi tre, li ripetiamo, quasi senza trarne conclusioni:
– surplus energetico della Sicilia e inutilità di un’ampliamento della produzione;
– “rapina” sistematica di tutte le fonti siciliane da parte del Continente;
– “rivendita” delle stesse ai Siciliani.

Che fare dunque?
E’ opportuno rinunciare alla propria sovranità garantita costituzionalmente se “capita” un Ministro della Repubblica un po’ più rispettoso dell’ambiente?
A nostro avviso no, e non solo per un astratto “Sicilianismo”, ma perché – stante il conflitto di interessi sopra denunciato – non è affidabile demandare a Roma per intero il livello delle decisioni sulla nostra politica energetica. Anzi!
Dovremmo stroncare tutti quegli abusi per cui i Governi italiani fanno finta che il Nostro Statuto sia carta straccia!

Nel merito poi che fare?
Lo ripetiamo ci vogliono studi e non risposte superficiali!
Ma una scelta va fatta tra due alternative:
– una Sicilia “pulita” che ridimensiona il proprio potenziale fino a limitarsi all’autosufficienza energetica, magari potenziando le energie “pulite”, quali quella solare o il riciclaggio dei rifiuti solidi urbani;
– una Sicilia “ricca” di energia, che ne faccia volano di sviluppo, a costo di qualche compromesso ambientale.

In ogni caso l’appropriazione da parte dei Siciliani della loro energia è preliminare e indispensabile a qualunque politica.
L’abbiamo detto e lo ripetiamo: finché non ci danno ciò che è nostro, mai più nessun altro insediamento inquinante.
E poi? Poi per noi la prima via è sempre la migliore, pur senza oltranzismi autolesionisti.
Prendiamo il caso dei termovalorizzatori.
E’ chiaro che preferiamo riciclare i rifiuti piuttosto che bruciarli, ma resterà pur sempre un’eccedenza di rifiuti non riciclati o non riciclabili.
Che farne allora?
Se i “tecnici” dicono che c’è una grande differenza di inquinamento tra i normali inceneritori e i termovalorizzatori non si facciano e non se ne parli più. Altrimenti, progettarne almeno uno, con il divieto di bruciare rifiuti che non provengano dalla Sicilia e con il divieto di bruciare più di – poniamo – un 30 % dei rifiuti dovendosi obbligatoriamente incentivare il riciclo dei restanti, potrebbe essere una strada percorribile.
O, ancora, il petrolio: no alle trivellazioni nei pressi dei centri abitati, cioè quasi dovunque.
Ma se ci fosse qualche pozzo in località remote semidisabitate o al largo delle coste siciliane, ha senso vietarlo se i proventi restano a noi?

Ripetiamo che non abbiamo la soluzione, ma ci sembra che la linea dovrebbe e potrebbe essere questa, fermo restando che se il Continente non volesse comprare la nostra energia in surplus una volta che non fosse più gratis come oggi, non chiederemmo di meglio che ridimensionare il tutto e trasformare la nostra Isola in uno splendido giardino incontaminato.

Se i Siciliani daranno fiducia a L’Altra Sicilia questo comporterà:
– un miglioramento generalizzato della qualità della vita rispetto al “taglio” attuale, con una drastica caduta di spese sanitarie e con una maggiore attrazione di turisti;
– una disponibilità di energia elettrica e di idrocarburi per la produzione ed il consumo ad un costo pari a circa un quarto di quello attuale (ciò che equivale – non dimentichiamolo – ad un incremento generalizzato del potere d’acquisto di salari e pensioni);
– un’attrazione straordinaria di capitali e un flusso di risorse per la finanza pubblica che farebbe rientrare tutto il disagio oggi presente in Sicilia, che consegnerebbe disoccupazione e precariato alla memoria storica e che renderebbe inutili tutte le elemosine-trasferimenti da Stato ed Unione Europea.

Certo l’Italia, anche senza la “palla al piede” siciliana che tanto denuncia, pagherebbe in termini energetici un prezzo un po’ altino. Ma non possiamo pagare sempre noi! E’ora che i rapporti tra nord e sud del paese si riequilibrino a nostro favore e la politica di autonomia energetica e di contenimento delle emissioni inquinanti abbia luogo contro ogni affarismo locale, contro ogni centralismo romano e contro ogni colonialismo settentrionale.

Antudo!