Un flop la marcia su Roma per il ponte

Palermo, 20 settembre 2006

Un flop la marcia su Roma per il ponte sullo stretto6.000 per “La Sicilia”, addirittura “10.000” per il “TG2”, 2.000 per “La Repubblica”, in realtà poco più di un migliaio – di cui Siciliani neanche la metà – e con la “gitarella” pagata da Lombardo (cioè dal contribuente); questi i numeri del flop “autonomista”. Non ci credete?
Guardate i servizi televisivi come zummano stretto su quattro manifestanti che non sanno nemmeno che bandiere sventolare: bandiere bianche con lo “stemma” della Sicilia (ma non abbiamo una bandiera? Ah! forse è perché ci stiamo arrendendo), bandiere degli amici di “per il Sud” (che – con tutto il rispetto – non sono Siciliani), bandiere europee, di partito e una, solo una, bandiera siciliana.

Già avevamo sentito dire a Berlusconi che il ponte serviva per “fare diventare italiana al 100 % la Sicilia” con la necessaria implicazione che adesso essa non lo è.
Adesso sentiamo dichiarazioni analoghe dal leader del movimento “meridionalista” (non siciliano) Lombardo: ai Siciliani dice che serve per la Sicilia etc., ai giornalisti italiani dichiara che serve per realizzare “finalmente” l’Unità d’Italia.
Ecco il vero scopo: l’Unità d’Italia!

Finalmente abbiamo capito perché il nastro tricolore al posto della Sicilia nell’uccello lombardiano.
La Sicilia è stata data in pasto a chissà chi, ma in cambio ci porta un “nastro” per attaccarci, un bel nastro tricolore.
I Siciliani non vogliono più essere chiamati “siciliani”; vogliono essere italiani e basta!
Ma lo sanno i Siciliani che gli italiani in cuor loro, anche in modo inconscio, non li considerano tali?
Intanto la stessa affermazione di Lombardo implica che se “ora” si deve fare l’unità vuol dire che quella che c’è è finta, mentre il reale rapporto tra Sicilia e Italia è di tipo coloniale: la Sicilia oggi è “italiana” non nel senso che ne fa parte integrante ma nel senso che ne è un possedimento.
Poi, se andiamo agli imbarchi di Villa S.Giovanni, persino la segnaletica ci dice “Benvenuti in Italia”, mentre le frecce per gli imbarchi non dicono “Messina” ma “Sicilia”, perché la Sicilia è un paese a sé e tale resterà sempre.

Ma perché i Siciliani ci tengono tanto a essere italiani, a fare questa unità d’Italia in un paese che li disprezza e li umilia?
Prima riprendiamoci la nostra sovranità limitando i poteri di Roma a quanto serve per non destabilizzare il quadro politico internazionale, prima ricostruiamo la “nazione siciliana” e poi, solo poi, su un piano di parità, decidiamo quali sono i collegamenti più convenienti con il “continente” (e il ponte, a conti fatti, non pare proprio esserlo).
La scelta di fondo è fra l’assimilazione e l’identità; questa è la vera posta in gioco, le altre sono parole al vento; questo fa la differenza tra il nostro patriottismo siciliano e il loro trasformismo “autonomista” senza scrupoli, pieno di soldi ma povero di idee.

Antudo!

P.S. L’albero si riconosce dai frutti. Il recente scandalo, tutto palermitano ma chissà con quanti casi analoghi in tutta la Sicilia, delle assunzioni senza concorso nelle municipalizzate ha coinvolto “amici e parenti” di politici di entrambi gli schieramenti. Guarda caso – sarà una coincidenza – sono gli stessi che vogliono il ponte: fedelissimi di Cuffaro e figli di noti sindacalisti CGIL assunti per “contare i tombini”.
Ci deve essere una ragione per cui preferiscono che in Sicilia venga denaro da fuori (come con il ponte) anziché produrlo da noi; ci deve essere una ragione che però ci sfugge.