Crescenti abusi postali

Ennesima lettera indirizzata al signor Ministro delle Comunicazioni per cui, a quanto pare, i crescenti abusi postali, a danno di tutta la collettività e, in ispecie, contro gli operatori culturali, non hanno grande importanza o non ne hanno alcuna, stante il fatto che Costui si rifiuta tenacemente di rispondere alle interlocuzioni, anche cortesi, di un sociologo, credo non sprovveduto e non ozioso, dimostrando come la sedicente sinistra attuale non sia molto diversa dalla reale destra di ieri e di sempre. C.R.V.


Racc. con ric. di rit.
Acireale, 10.02.07

Al Signor MINISTRO
delle COMUNICAZIONI
viale America, 201
00144, R O M A – RM

OGGETTO: Abusi delle Poste Italiane S.p.A. –
Assenza del Ministero delle Comunicazioni –

Egregio On.le Ministro,

ho votato per il Centro-Sinistra anche coltivando la segreta speranza che codesto Ministero si accorgesse finalmente del comportamento “autocratico” – come dire “paralegale” – dell’attuale padronanza-gestione dello storico glorioso essenziale servizio pubblico delle Poste. Ma mi tocca constatare – mio malgrado – che mentre sotto il governo del famigerato Berlusconi, io ricevevo per lo meno dei riscontri con qualche giustificazione legale di quelli che io chiamo – e che sono – autentici abusi padronali ed affaristici da basso mercato paramafioso, dall’attuale Ministero ricevo solo persistente silenzio (per es. in ordine alle mie note rispettivamente del 21 maggio 2006, del 23 luglio 2006 e del 2 dicembre dello stesso anno ) che offende la mia sensibilità di cittadino e, se me lo si consente, anche quella di studioso con quasi 61 anni spesi nella ricerca sociologica e nella difesa dei diritti e del benessere dei miei simili (Lei compreso) senza alcun fine di lucro. Gli editi, che Le invio in omaggio personale, fanno parte di tale attività che ancora è viva, e vuole essere, come sto per dirLe, anche la prova pratica degli abusi in questione.

Mi chiedo se per Lei, Capo del Dicastero delle Comunicazioni, sia indifferente – o socialmente ininfluente (ma io non ci credo) – il fatto che io – operatore culturale quasi 80enne – possa spedire della stampa (e perfino una mia opera!) solo come CORRISPONDENZA PRIORITARIA, il che comporta un gravissimo disagio economico a tutti gli operatori culturali (esclusi dalla ricchezza parassitaria delle lobby massmediatiche, soprattutto di quella spazzatura che va sotto il nome di pubblicità – non informativa ma spudoratamente consumistica), che hanno bisogno di scambiarsi carta stampata di vario genere (dal ritaglio alla rivista al libro).

Questo avviene perché – anticipo due esempi emblematici – l’attuale cricca postale – compiacente, purtroppo, il potere legislativo – ha commesso, tra gli altri, due abusi che, a mia memoria o conoscenza, non hanno precedenti in tutta la storia di un servizio pubblico di così grande importanza e non solo per gli uomini di cultura. L’attuale cricca postale, stavo per dire, ha spinto la propria tracotanza – che sottolineo ancora come paramafiosa – fino ad abolire due entità reali: facoltà che non si è ancora attribuito nemmeno il papa quando sentenzia (e decreta dei dogmi) “ex cathedra”. Tali entità sono la “stampa non periodica” che, come dicevo, interessa in modo specifico la sconfinata popolazione degli operatori culturali, che costituiscono la vera anima della civiltà appunto perché estranei allo sporco business degli uomini di affari, e la antichissima primordiale elementare “posta ordinaria” , che interessa tutta la collettività, anzi tutti i singoli cittadini.

Comprendo che Lei personalmente – in considerazione del Suo potere di acquisto – possa non preoccuparsi nemmeno dell’abolizione del vecchio “postagiro” – fiore all’occhiello delle Poste statali – né dell’abolizione della “gratuità del servizio dei conti correnti” “per reciproca compensazione” o dell’abolizione della “gratuità della casella postale” – sempre “per reciproca compensazione”, ma, mi perdoni, Lei, in quanto Capo del Dicastero delle Comunicazioni, è tenuto a prendere come riferimento l’interesse della collettività, come insieme organico di categorie e di singoli individui.

Lo storico “postagiro” consentiva al correntista di rimettere danaro a qualsiasi altro correntista, anche estero, compilando un semplice modulo , metterlo in busta e imbucare questa in una qualsiasi buca del territorio nazionale. Oggi o si va a fare la coda davanti a sportelli di norma molto affollati anche per la riduzione del personale, o si è costretti a modalità, che comportano il possesso del computer, l’uso dell’internet, una buona vista e soprattutto una competenza che, come i farmaci, può incontrare il rigetto degli interessati, salvo i casi in cui si possa ricorrere alla “domiciliazione bancaria” – il che porta altri soldi “sudati” alla piovra bancaria (insieme di istituti di usura e ladrocinio). Con lo stesso postagiro – cosa molto importante si potevano pagare tutte le bollette degli enti erogatori di servizi o venditori di merce, purché correntisti anche loro. L’unica condizione era la copertura del fondo, che poteva essere ottenuta mediante versamenti periodici.

Quanto ai conti correnti, premettendo che a servirsene era il piccolo operatore – e non l’uomo di affari – oggi, per i primi 60 accrediti annui (praticamente per tutto l’anno – parliamo appunto di piccoli “utenti”), i “signori” del business Poste applicano uno “scippo” (non altrimenti definibile) di €uro 1,50 (pari a tremila delle vecchie lire), cumulando per tutti i primi 60 un totale di €uro 90,00 (pari a quasi 180 mila delle vecchie lire): un vero spacciato ladrocinio! Per ogni eventuale accredito successivo lo “scippo” si riduce ad €uro 0,50. [Informazione non impertinente: il mittente di una rimessa su c.c.p. paga una tassa di €uro 1,00, per cui per ogni trasferimento di moneta la cricca postale incassa €uro2,50 (l’equivalente delle vecchie 5 mila lire!)]

Quanto alla casella postale, oggi viene data in affitto annuale con tanto di “contratto di locazione” (risum teneatis, amici!).

Tutto questo ed altro, ma soprattutto l’abolizione della “stampa del privato”, sta arrecando un incalcolabile danno alla cultura e non solo a quella sommersa. Sinceramente non posso credere che Ella sia indifferente a tutto questo e non solo perché la Sua funzione istituzionale Le impone di farsene carico specie quando riceve delle legittime sollecitazioni come quelle dello scrivente.

Le nuove Poste Italiane stanno curando l’aspetto come una vecchia prostituta s’imbelletta per apparire ancora appetibile, ma la sostanza resta quella reale. La gestione privata ha prodotto una nuova banca (il “bancoposta”, per l’appunto) – e non ce n’era proprio bisogno –, ha abolito i servizi che rendono meno profitti (si dice che voglia abolire gli uffici delle frazioni!), ha ridotto il personale, ricorre a lavoratori precari, ignora totalmente il vero interesse degli utenti promossi – con stomachevole linguaggio commerciale e mercantile – a “clienti”. Gli abusi” (io ho elencati quelli più grossolani e più vicini al mio interesse di operatore culturale) sono al limite del codice penale e della “prassi mafiosa” : basti pensare all’abolizione delle due “entità reali” sopra specificate! Si tratta, in buona sostanza, di provvedimenti illegittimi alla luce del DIRITTO, padre della legge, e sostenuti da “leggi” non compatibili con il DIRITTO. Non è un gioco di parole ma l’ analisi sociologica oggettiva di un servizio dato in pasto a uomini d’affari che conoscono solo la logica degli affari – il che è tutto dire.

L’errore, naturalmente, sta a monte: l’avere privatizzato ciò che è NATURALMENTE un servizio pubblico e che solo un potere pubblico potrebbe gestire in maniera razionale avendo come punto di riferimento la ragion d’essere del servizio stesso, che non è il profitto privato ma il benessere pubblico. Si tratta di due coefficienti che si escludono a vicenda. La compiacenza o l’insufficiente vigilanza del potere pubblico (antecedenti il Suo mandato) ha incoraggiato soggetti che, senza averne i requisiti morali, sono stati investiti di compiti incompatibili con il loro livello civile. La situazione è di possibile competenza del potere giudiziario, se è vero che il potere legislativo non può operare non solo contro il DIRITTO NATURALE (di cui gli stessi giuristi del sistema sconoscono spesso la vera essenza) ma, meno che mai contro gli articoli della Costituzione e non sono pochi:

1 – contro l’art. 2 che “garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”, tra i quali c’è certamente quello di comunicare e che gli abusi postali tale diritto rendono impossibile (vedi spedizione di carta stampata come tale o di una “lettera ordinaria” – mittente il più povero dei cittadini “sovrani” ) o molto difficile e costoso;

2 – contro l’art. 3 che sostiene “l’eguaglianza dei cittadini” e “l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, “eguali” non potendo essere i cittadini quando, oltre al possibile stato di disoccupazione, devono far fronte a spese postali ABUSIVE per realizzare la detta “partecipazione”;

3 – contro l’art. 4 che tutela la possibilità di scegliere “un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”, insomma un’attività culturale che, come detto più sopra, viene molto ostacolata dagli abusi postali;

4 – contro l’art. 9 che “promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica” per le ragioni dette più sopra;

contro l’art. 21 che tutela il “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione”. “Con ogni mezzo di diffusione”, recita, per l’appunto, e mezzo di diffusione è anche la carta stampata, che è stata abolita potendo essere spedita – chiedo venia per la ripetizione – solo come CORRISPONDENZA PRIORITARIA con notevole sovraccarico di spesa.

Il vecchio pretesto della “insufficienza di fondi” è ormai una barzelletta scientifica dopo la razionale abolizione della “riserva aurea” e con la concomitante possibile introduzione di una moneta passiva senz’altro per i rapporti interni per consentire l’organizzazione universale del lavoro all’interno di uno Stato-Paese (con abolizione totale e definitiva della disoccupazione) e la distribuzione dei prodotti del lavoro stesso secondo equità e secondo bisogno come vuole non il discutibile “stalinismo” ma la vera scienza economica oggi sostituita dalla predonomia di diretta origine animale e causa di tutte le differenze abissali, conflittuogene e criminogene e di servizi naturalmente pubblici dati in pasto a faccendieri senza scrupoli.

Egregio Onorevole, credo che ciò basti. Io posso comprendere perfino che le troppe cose L’abbiano distolto dal problema “servizio postale”: ora ha anche un interlocutore, lo scrivente che Le offre la propria amicizia.

Pertanto, oso aspettarmi da Lei un riscontro non tanto in ordine al piccolo omaggio librario quanto in ordine alla ragion d’essere di questa lettera. Spero di non dovere sollecitare tale riscontro in attesa del quale La prego di accettare anche i miei cordiali saluti.

 

(Carmelo R. Viola –
sociologo, padre della “biologia del sociale”, 78enne)