Adire la Corte di giustizia Ue
Il Kosovo, con proprio autonomo provvedimento supportato da referendum, ha dichiarato il 17 febbraio 2008 l’indipendenza dalla Serbia. Questo atto non è stato riconosciuto dalla ex Casa madre, mentre ben 22 dei 27 paesi dell’Unione europea hanno validato l’iniziativa. Si tratta di una secessione vera e propria sulla quale non abbiamo titolo per esprimere una valutazione. Ma un dato emerge con chiarezza e, cioè, che quando un popolo si sente emarginato da una comunità molto più grande non deve essere costretto a convivervi e può prendere l’iniziativa di separarsi, per intraprendere in modo indipendente la strada dello sviluppo.
Sviluppo che non ci sarebbe se, rimanendo unito a una comunità più grande, si dovessero seguire i suoi interessi piuttosto che i propri.
È ineluttabile che il pesce grosso mangi quello più piccolo, che il leone rincorra la gazzella per procurarsi il cibo e che quest’ultima corra per non diventare cibo.
Il rimedio a questi effetti è dato dalla comunità nazionale che deve valutare in maniera equa torti e ragioni per poi esprimersi al riguardo.
Com’è noto, la Serbia ha fatto domanda per essere affiliata prima e ammessa dopo all’Unione europea, la quale dopo avere inglobato la Slovenia, prima nazione balcana, ha messo in stand by le richieste della Croazia, della Bosnia, del Montenegro, oltre a quelle di Serbia e Kosovo cui prima si accennava.
Non è un caso che quel furbacchione di Sergio Marchionne abbia costituito una società mista a Kragujevac, acquistando lo stabilimento automobilistico della vecchia Zastava, per la produzione di 200 mila veicoli (dimensione minima che giustifica l’istituzione di uno stabilimento). Marchionne ha ottenuto finanziamenti dallo Stato serbo oltre che avere un costo del lavoro all’incirca 4 volte inferiore dello Stato italiano. Altro che Termini Imerese. Quello stabilimento ha anche il vantaggio di servire tutti i balcani.
La Serbia, di fronte al quasi totale riconoscimento del nuovo Stato kosovaro, ha fatto ricorso alla Corte internazionale di Giustizia europea per vedere riconosciuto il proprio diritto al controllo del piccolo nuovo Stato.
Non sappiamo chi abbia ragione o torto, però sappiamo che la predetta Corte è investita di una controversia che a seconda dei casi può essere nazionale o internazionale.
La presenza di un giudice europeo che metta le mani in una questione così delicata offre garanzia che qualunque questione, anche interna a una nazione, possa essere valutata per ottenere sentenze eque, anche se inevitabilmente influenzate dalla politica degli Stati.
La vicenda che vi raccontiamo può sembrare distante dai nostri problemi, cioè dai problemi della Sicilia. Invece, cade a fagiolo perché è in atto una controversia strisciante che non è esplosa e che invece governo e maggioranza siciliani hanno il dovere di portare all’attenzione della pubblica opinione europea.
Riguarda l’annosa questione dell’Alta corte, prevista dall’art. 24 dello Statuto siciliano, legge di rango costituzionale, che è stata illegittimamente sospesa dalla Corte costituzionale con sentenza n. 38 del 1957.
È vitale che l’Alta corte sia riavviata e in questo senso abbiamo chiesto che il presidente dell’Assemblea regionale, Francesco Cascio, personalità sensibile all’Autonomia e alla Giustizia, convochi lo stesso consesso affinché provveda a nominare i tre membri effettivi e uno supplente dell’Alta corte. Ciò fatto, l’Ars dovrà chiedere al Parlamento nazionale di adempiere al suo dovere consistente nel nominare altrettanti membri di sua competenza. Con quest’atto l’Alta corte, dopo 53 anni (1957/2010), riprenderebbe a funzionare.
Se il Parlamento non ottemperasse in tempi ragionevoli, Governo e Ars potrebbero accedere alla Corte internazionale di giustizia dell’Ue esattamente come hanno fatto gli Stati balcani di cui vi abbiamo raccontato la vicenda all’inizio.
La questione che proponiamo continuamente è di vitale importanza per la Sicilia, perché ripristina l’accordo iniziale fra il popolo siciliano e quello italiano in base al quale oggi l’Isola fa parte dell’Italia. Senza quel patto la Sicilia sarebbe uno Stato indipendente, padrone del proprio futuro. Bene o male? Ai posteri l’ardua sentenza.
Carlo Alberto Tregua
Fonte:www.qds.it (il blog del direttore)