La confusione in Libia e il ruolo dell’ONU

Mentre i combattimenti riprendono, l’Onu perde l’occasione buona per tacere e ribadisce che in Libia non può esserci soluzione militare ma soltanto una soluzione politica.

La realtà vista attraverso gli specchi deformanti del “political correct” come quando, a partire dal 2009 Barak Obama fu insignito del Nobel per la pace. A distanza di 10 anni il ritiro delle sue truppe americane dall’Irak, il suo discorso filo-islamico del Cairo e il suo preteso sostegno alle primavere arabe, hanno lasciato spazio alle rovine delle città, ai cadaveri fatti a pezzi, alla moltiplicazione delle metastasi terroriste e allo sconvolgimento dei territori che la politica americana criminale d’indecisione e di scelte funeste ha provocato.

Tra le vittime predestinate: la Libia. Nel soffio delle rivolte delle primavere arabe inventate dagli Americani e dalla UE, dopo otto mesi di guerra civile Gheddafi era stato deposto e assassinato. Gli Occidentali, furbissimi, avevano aiutato direttamente i ribelli, i media delle grandi democrazie avevano disinformato l’opinione pubblica con grande entusiasmo ed ognuno aveva applaudito al massacro dell’odiato tiranno che non poteva essere contestato dal suo popolo, perché un popolo libico non esiste. Gheddafi teneva con un guanto di ferro un mosaico tribale pronto ad esplodere tra arabi e berberi, questi ultimi divisi essi stessi in tribù rivali Manu Slim, Megarha e naturalmente Kadhafa, a cui bisogna aggiungerci anche i Tuareg e i Tubus del sud.

Come avvenuto in tutti i paesi arabi, una rivolta popolare apparente ha mascherato il tentativo degli islamisti, soprattutto dei fratelli Musulmani, di impadronirsi del potere. L’operazione aveva avuto il sostegno prioritario del Quatar e della Turchia, come avvenuto in Siria. Gli Occidentali e la Francia di Sarkozy in prima fila, erano stati gli esecutori fidati e i ingenui ma non forzatamente disinteressati alla manovra che aveva schiacciato il regime del colonnello.

Dopo la caduta e l’assassinio del despota, la Libia è esplosa lasciando trasparire chiara la realtà esistente: una miriade di milizie tribali, locali o islamiche, gelose l’une delle altre e potentemente armate dall’occidente e dai referenti arabi e turchi, fautori della caduta del regime.

A poco alla volta però la situazione si è schiarita per lasciare apparire due forze: all’est l’esercito nazionale libico del maresciallo Khalifa Haftar, ex ufficiale di Gheddafi ma oppositore di lunga data del colonnello, oggi stazionato a Bengasi e a Tobruk e sostenuto dal parlamento eletto nel 2014 e da diversi Paesi, dagli emirati arabi e dall’Egitto; a ovest il governo di unione nazionale di Tripoli presieduto da Fayez al Sarraj e sostenuto dal consiglio di stato, una specie di Senato uscito dalle elezioni del 2012 Al Sarraj beneficia del riconoscimento ottenuto dall’Onu e dalla comunità internazionale perché ritenuto il frutto dell’accordo inter-libico di Skhirat, promosso sotto l’egida dell’ONU. Dietro queste alleanze in realtà si nascondono le milizie di Misurata, già feroci oppositori di Gheddafi, legati ai Fratelli musulmani.

Attualmente le forze nazionaliste dell’est cercano d’imporsi di fronte alla galassia islamista dell’ovest e nessuno si meraviglia più della goffa testardaggine dimostrata dall’ONU che vuole mantenere una situazione che causa un flusso ininterrotto di migranti che cercano di raggiungere l’Europa e favorisce i molteplici traffici che l’accompagnano e nutrono l’islamismo del sahel. Oggi è evidente che qui, come in Siria, la soluzione non può che essere militare e deve favorire i nazionalisti sugli islamici.

Dall’ex Iugoslavia al Medio oriente, passando per il Ruanda, i meandri diplomatici dell’invenzione chiamata Onu, hanno ottenuto due soli risultati: o il caos permanente o la vittoria di uno dei due nemici in lizza, spesso non il migliore. L’Onu, durante le operazioni contro Gheddafi aveva deciso una zona di esclusione aerea per impedire all’aviazione libica di bombardare. Gli aerei della Nato, francesi in particolare, ne avevano approfittato invece per bombardare proprio le truppe di Gheddafi. Ed è la Nato che attualmente legittima l’imbroglio volendo a tutti i costi appoggiare il governo di Tripoli. Stabilire oggi invece un regime militare a Tripoli, alleato a quello del Cairo, che si voglia o no, sarebbe il metodo migliore per stabilizzare la regione e lottare contro l’islamismo che opera non soltanto sotto traccia, in tutto il Sahel.

Eugenio Preta