Elezioni 2007 ( 2 ) : ed uno che tenta di tornare al potere

Il sistema di potere che ha governato l’Italia dal secondo dopoguerra ad oggi si è sciolto come neve al sole non appena le prime falle cominciarono ad aprirsi nel muro di Berlino: l’Italia repubblicana infatti non è altro che una creazione posticcia della guerra fredda, quando Stalin si oppose alla fondazione di una Repubblica Siciliana al centro del Mediterraneo, repubblica fortemente voluta dai siciliani stessi ed inizialmente appoggiata dagli americani.

Per tenere unita questa nazione inesistente si inventò la democrazia Cristiana. La Democrazia (quella vera, maiuscolo) in realtà non resse che per breve tempo. A poco a poco si misero tutti d’accordo “all’italiana” sino alla formazione del pentapartito che in pratica veniva a dire una oligarchia senza opposizione.

Poi massoni e comunisti credettero di riuscire ad accaparrarsi tutta la torta alla caduta del muro di Berlino distruggendo la DC, ma un guastafeste bloccò tutto. Nessuno dei due blocchi è però riuscito ad imporre un nuovo sistema di potere, per cui da allora l’Italia continua a scivolare verso l’anarchia, prima lentamente ora sempre più velocemente. Questa situazione precaria di anarchia si sente maggiormente nelle zone dove già il potere dello stato democristiano era labile, mantenuto tramite un sistema di corruzione e violenza volgarmente conosciuto come ‘mafia’, e cioè in Sicilia.

Questo preambolo è necessario per capire bene quello che è successo in queste elezioni siciliane. L’MPA ha finalmente rotto gli indugi e dichiarato il suo obiettivo: quello di riformare un partito nazionale di centro ad ispirazione cattolica e ruotante intorno all’alleanza atlantica: praticamente una nuova DC.

All’indomani del voto infatti l’On. Pistorio, il più fidato vassallo dell’On. Lombardo, dichiarava in diretta a Telecolor rivolgendosi ad un esponente dell’UDC che ‘noi dell’MPA non abbiamo mai ripudiato le nostre origini ideologiche (cioè democristiane, ndr)’ e che le alleanze con l’UDC sono da considerarsi naturali ed ovvie, visto che si sta lottando per gli stessi valori. L’unica cosa che l’MPA vuole portare in dote è l’autonomia decisionale dai centri romani. L’obiettivo dell’MPA è quindi quello di creare una nuova DC, apparentemente con la testa in Sicilia.

Il resoconto di questo discorso è stato ripreso ed approfondito da Andrea Lodato, giornalista estremamente esperto dei fatti della politica catanese e siciliana, sulle pagine de La Sicilia il giorno dopo (16 maggio): significativamente l’articolo positivamente dedicato sin dal titolo all’autonomia politica di cui parla Lombardo (‘cominciate le prove tecniche di grande centro autonomista’) non è incluso nella rassegna stampa pubblicata nella colonne di destra della pagina principale del sito dell’MPA.

I risultati sembrano dare ragione a Lombardo, visto che il centro ha raggiunto un incredibile 35% e già all’interno di UDEUR e Margherita qualcuno incomincia a prendere nota (vedi i soliti Latteri e Piscitello). L’MPA al momento però si trova in una situazione scomoda, diciamo con il piede in due staffe: quella del sicilianismo e quella democristiana. I risultati elettorali, ed in particolare la debacle a Caltagirone, ad Agrigento ed a Gela in un pur positivo risultato complessivo, devono aver fatto capire al politico di Grammichele che la staffa sicilianista era stata spremuta al massimo e senza azione non si poteva rischiare di più.

Certo è ancora presto per abbandonarla del tutto: la rifondazione della DC si presenta irta di ostacoli (i nemici sono ovunque: a Bruxelles come in Confindustria) e potrebbe rendersi necessaria una ritirata nei territori più sicuri e consolidati del rivendicazionismo isolano. Le elezioni in penisola potrebbero darci delle indicazioni da subito.

Ma alla fine, in soldoni, cosa viene a dire tutto questo per la Sicilia?

L’MPA non è un partito sicilianista, ma democristiano, seppur con la ‘testa’ in Sicilia.
Questo significa che il Movimento per l’Autonomia non porterà niente di nuovo in politica, bensì continuerà a governare come faceva la DC e soprattutto non si farà mai carico di lottare per l’applicazione dello Statuto.
La formazione di una struttura politica nazionale con il comando nelle salde mani dei siciliani potrebbe non essere del tutto negativa. Le passate esperienze portano però a temere per il peggio.
L’unico modo per fare uscire la Sicilia dal tunnel è la crescita di un vero partito sicilianista, che non sia necessariamente di maggioranza ma che possa attestarsi almeno su un 5 – 10% di consensi nell’isola. Questo consentirà un ricambio alla funzione di ‘guardia’ dell’Autonomia che tale partito dovrebbe avere. Un partito nazionale manterrà la sua testa in Sicilia solo fin tanto che i suoi vertici non cambieranno. Poi torneremo punto e a capo con il vecchio sistema di asservimento agli ‘interessi nazionali’.
In teoria le forze in campo per creare questo partito sicilianista ci sono già. Purtroppo però non si vede all’orizzonte una reale capacità aggregativa di queste forze, a causa di interessi personali e gelosie ideologiche. La scesa in campo de L’Altra Sicilia potrebbe essere un catalizzatore. I voti (secondo alcuni pochi) racimolati a Palermo non dovrebbero essere fonte di scoraggiamento: anzi. I (circa) 1116 voti raggiunti senza mezzi economici debbono essere di sprone per costruire qualcosa che abbia delle basi più solide e non crolli al primo sgambetto.

Il consiglio dell’Abate Vella
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