Il circolo vizioso della ”povertà” siciliana

Immaginate una persona che, nata benestante, dovesse pagare per ogni cosa che già gli appartiene. La casa dove abita è sua ma deve pagarne l’affitto; i soldi che tiene in banca sono suoi ma deve pagare degli interessi per tenerli nel conto; il lavoro che svolge è suo ma una buona metà dello stipendio deve donarlo ad altri. Questa persona diventerebbe povera e, di più, penserebbe di essere veramente disgraziata e incapace di assicurarsi una vita dignitosa. A questo punto, chi l’ha rapinata gli dice “Guarda, mi fai pena, ti faccio un po’ di elemosine per farti sopravvivere”. E così il nostro derubato si sentirebbe persino grato nei confronti del suo aguzzino.

Ecco, questa è la Sicilia di oggi.

Leggiamo nei forum più o meno padanisti un evidente astio nei confronti di ogni tentativo che la Sicilia fa (anche per voce di una minoranza come quella nostra) di camminare sulle proprie gambe. Si sente e si legge qualcosa come: ma che volete? l’indipendenza? ma se non arrivate nemmeno ad aprile con il vostro?

Che strani questi “fratelli d’Italia” settentrionali! A parole dicono che siamo una palla al piede, che ci mantengono loro. Quando qualcuno di noi dice “e allora basta”, facciamo da soli, grazie, non ci mandate più “aiuti” che sono solo tali per una minoranza di ascari mantenuti da voi, allora … no…non lo possiamo dire. Non possiamo mettere in discussione il ruolo di mantenuti miserabili che l’Italia garibaldina ci ha assegnato. Dovrebbero dire “evviva”, finalmente qualche siciliano o meridionale responsabile, e invece no. Devono essere loro ad abbandonarci, non noi ad andarcene. Chissà perché…

Che succede nella Sicilia di oggi? Perché siamo poveri? E come possiamo uscircene? Ebbene siamo poveri per “rapina”, non solo per colpa nostra (come ci inculcano in tutti i modi, alimentando coi media italiani il mito del meridionale scansafatiche) o per un destino ineluttabile.

Valga per tutti l’energia elettrica. Siamo la cassaforte energetica dell’Italia e si sta rilanciando, incuranti dei danni ecologici e sanitari insanabili, in ogni modo: non bastava il petrolchimico, ora abbiamo pure i termovalorizzatori (con cui importeremo munnizza che trasformeremo in energia da “regalare” all’Italia), le pale eoliche, i rigassificatori, etc. Ebbene la borsa elettrica siciliana (non chiedeteci troppi dettagli tecnici) assegna alla nostra terra l’energia più cara d’Italia.

Perché? Secondo noi, in sostanza, perché altri ci vendono ciò che è già nostro. Come nell’esempio di sopra in cui il proprietario paga l’affitto a un terzo che si è impossessato di casa sua. Le liberalizzazioni e il mercato servono se fanno scendere i prezzi. Se li fanno salire l’Europa può pure tenerseli, vuol dire che non sono mercati che funzionano. Se noi espropriassimo l’Enel e ci creassimo la nostra energia, tagliando gli scambi col Continente o vendendola a prezzi di mercato, avremmo l’energia più economica del continente europeo e non avremmo i continui fastidiosi e dannosi distacchi ad ogni banale ondata di caldo. E questo vale in ogni settore dell’economia: dai pomodori al capitale. Ogni cosa offerta da un piccolo produttore o da un piccolorisparmiatore siciliano deve essere comprata da un grande acquirente italiano, alle “sue” condizioni, il quale poi la rivenderà “al suo prezzo” agli altri siciliani che ne fanno domanda. Non si può saltare questo strozzinaggio continentale. Chi ci prova viene fatto saltare in un modo o in un altro e non c’è un soggetto politico rappresentato nelle istituzioni che difenda gli interessi di questa terra. Le aziende protette dallo stato (telefoni, banche, energia,…) fanno il resto. Poi ci sono cento balzelli, diretti o indiretti, che prendono la via di Roma.

Risultato: qui un altro poco non cresce neanche l’erba. Poi però da Roma ci arriva l’elemosina per campare. E noi siamo pure grati…

E lo si vede alle elezioni, che riconfermano da 61 anni gli stessi brutti ceffi, le cui locandine elettorali spesso somigliano ai “wanted” dei film western.
Eppure li votiamo in massa…lamentandoci poi al bar o protestando per la TARSU che cresce, i servizi che diminuiscono, etc…ma li votiamo sempre e inderogabilmente.

Ma perché nulla sembra poter cambiare?

Perché i politicanti italiani in Sicilia (tutti) devono il loro consenso alla spartizione di queste elemosine, soprattutto sotto forma di finti posti di lavoro, che sono il pane, sono la vita per centinaia di migliaia di nostri concittadini. Quel lavoro che una Sicilia libera dai politicanti e dalla colonizzazione italiana avrebbe senza dover nulla a nessuno, viene ridato sotto forma di elemosina condizionata al voto. E nessuno può ribellarsi in queste condizioni di bisogno. Questa è la vera cancrena.

Facciamo un esempio. Se un politico ha 100 euro che fa spendere agli enti pubblici per lavoro improduttivo che gli frutta consenso, cosa potrebbe o dovrebbe fare? Dirottarne una parte, poniamo 50, su spesa produttiva che genera reddito autonomo dalle concessioni politiche o defiscalizzare questa spesa restituendola all’economia privata del territorio. Ma perché dovrebbe farlo? Immediatamente perderebbe consenso e, semmai si creasse il vero sviluppo, nessuno gli sarebbe grato e nessuno dipenderebbe più da lui. Quindi bisogna lasciare tutto com’è.

Ma lasciando tutto com’è si deteriora il capitale fisico ed umano della nostra terra che diventa in grado di produrre sempre meno. Questo nel tempo crea maggiore bisogno che si traduce in maggiore assistenza e così via.

Quindi siamo in un pieno circolo vizioso senza apparente via d’uscita.

L’unica sarebbe quella di tagliare tutti i finanziamenti da Roma e da Bruxelles. All’inizio sarebbe un po’ dura, ma poi, in un modo o in un altro, troveremmo la nostra strada.

Ma chi può spingere in questa direzione? Chi appoggia realmente nella società civile quelle forze autenticamente sicilianiste che vogliono imprimere una svolta rispetto all’assistenzialismo imperante?

Basterebbe poco. Se 1000 imprenditori siciliani, schiacciati dalla politica italiana e stufi della stessa, mettessero mano al portafoglio e dessero ai Sicilianisti poniamo 1000 euro l’anno l’uno (che per un’impresa di successo non sono molti), che si potrebbe fare con un milione di euro l’anno di budget? “Soltanto” la Rivoluzione. E se 10.000 lavoratori siciliani, stanchi di non vedere carriere fondate sul merito ma unicamente sul servilismo alla politica, stanchi di vedere emigrare i loro figli migliori perché le occasioni di vita sono tutte “là fuori”… mettessero pure loro mano al portafoglio, con un piccolo sacrificio di 100 euro l’anno? Che succederebbe? Che nulla più sarebbe come prima e che una classe politica di parassiti sarebbe messa in pensione dalla sera alla mattina senza tanti complimenti.

Non ci vorrebbe poi molto…Ma non possiamo pensare di delegare questa rivoluzione ad un manipolo di eroi che faccia tutto e che ci serva poi un’altra Sicilia su un vassoio d’argento. Ognuno – se ci crede – deve fare la propria parte.

Ufficio stampa
L’Altra Sicilia, Palermo
05/07/2007