La prosopopea del Ponte

Interventi per mettere in sicurezza il territorio prima di costruire un Ponte inutile.

Si sgretola il territorio e scivola la terra verso il mare sia in Sicilia, nelle aree del messinese, sia in Calabria, da Vibo a Maierato, a Pizzo , la collina che insiste sul litorale più interessato ad una congiunzione fisica tra i due lembi di Tirreno, due territori che hanno intessuto le loro economie, il loro quotidiano e le loro speranze di sviluppo, e perciò più interessate alla costruzione di un manufatto per l’attraversamento di quel braccio di mare che, lo diciamo da sempre, in effetti non è soltanto distanza morfologica e fisica ma separazione, differenziazione netta tra modi di essere, tra storia e cultura d’Italia e di un continente, la Sicilia.

Nonostante lo scempio del territorio in atto, nonostante le difficoltà economiche a reperire i fondi per mettere in sicurezza il litorale messinese e calabrese sconvolti dall’edilizia selvaggia, permessa e accettata dalle autorità comunali – di qualunque colore politico si professino- il governo insiste con la proposta della costruzione del manufatto sullo Stretto, vera cattedrale nel deserto infrastrutturale di quei territori, alla fine mausoleo di un regime, come la casa del governo costruita da Ceausescu nella piazza di Bucarest, oggi almeno, residences multifunzionali.

In un territorio colpito da endemica disoccupazione, appare giustificato perciò l’entusiasmo che suscita un progetto che, almeno, serve a smuovere le acque dell’immobilismo, a creare la speranza del lavoro, a testimoniare un cambio di rotta nelle attenzioni delle autorità del Bel paese nei confronti del Meridione.

Del resto, sembra infatti che a Messina oggi il fronte dei no al ponte sia in netta diminuzione, grazie soprattutto alla campagna mediatica che presenta il presidente del Consiglio come l’uomo del fare, quindi la costruzione di quel ponte per l’attraversamento dello stretto percepita come una possibilità di futuro, come la prova provata di un radioso domani la Sicilia.

A questo punto sarebbe inutile contrapporre le ragioni della mente alla costruzione di quel Ponte, ricordando la mancanza di strade ed autostrade, le ferrovie ancora a scartamento ridotto, il dissesto idrogeologico di quei territori, gli affaristi legati alla politica, inutile contrapporre le ragioni del cuore e il sapore della memoria (ormai fuori moda, come i capelli lunghi) al materialismo a al progresso.
I messinesi “buddaci” sembrerebbero essere oggi, in maggioranza, favorevoli al Ponte.

Nonostante le alluvioni e i morti di Giampilieri – il territorio litoraneo nord di Messina smottato a valle – il progetto presentato negli anni 90 e che ogni giorno sopporta nuove modifiche – i piloni oggi di quasi 383 metri di altezza, fissati a 50 metri di profondità, la lunghezza arrivata a 3.300 metri – continua ad essere imposto urbi et orbi, senza possibilità di confronto per i vetusti suoi “detrattori”, per far sentire le proprie ragioni.
A questo punto, grazie alla mentalità della gente, anche il referendum abrogativo sembrerebbe inutile…

Eppure i cantieri del Ponte, pur se finalmente operativi, necessitano di soldi che oggi non ci sono e che se ci fossero sarebbero invece necessari per curare il territorio non per cauterizzarlo chirurgicamente.
Quest’opera, al momento certamente non prioritaria, necessita una quantità di fondi che non ci sono. Congelare oggi 1,3 miliardi di euro dalla finanziaria per il Ponte, a fronte dei bisogni di messa in sicurezza degli stessi territori, in realtà significa per lo Stato un’esborso di 6,3 miliardi finali (2017) cioè 138 milioni annuali.

Tenuto poi conto che la cementificazione del litorale interessato raggiunge il 63% del territorio, con nuclei edificati pari al 74% dello stesso, vuol dire che oggi in quelle coste possiamo contare 149 case per chilometro.
Appare perciò improbabile sobbarcarsi al costo necessario per il materiale necessari a quei cantieri quantificato in 3.540.000 m3 di materiali inerti e a 6.800.000 di prodotti da cava.

Ritorna quindi la necessità di interventi urgenti per riordinare il territorio siciliano: innanzitutto un Patto per le Coste per riportare a 1000 metri la richiesta di una possibile áutorizzazione alla concessione edilizia, come hanno fatto in Sardegna, il popolo fiero, e non i 150 metri previsti dall’assessore Strano, bocciato nelle elezioni al Senato ma ripescato dal Berlusconi appunto come assessore, quindi la sospensione del piano casa, e la messa in mora dei Piani regolatori Comunali che devono obbedire a due strumenti necessari come il piano di assetto idrogeologico e il piano paesaggistico prima di poter essere presentati , votati e divenire operativi.

Ci pensi Lombardo: i siciliani lo stanno osservando.

Ufficio Stampa
L’Altra Sicilia