Sette-a-zero

Miliardari e svogliati, oltre che grosse ” ‘mpennole “, i giocatori del Palermo ne hanno buscato 7 e sorridendo sono usciti dalla Favorita, ancora incapaci di capire davvero cosa significhi indossare una casacca e, nel convulso mondo del calcio, rappresentare con quei colori tutta una città e forse una intera regione, dato che l’altra squadra siciliana, il Catania, oggi certamente rappresenta soltanto… l’Argentina.

Ebeti e poco professionali, i calciatori rosanero hanno disatteso anche le più elementari consegne del loro allenatore, un galantuomo che sembra sempre perduto dietro le domande di presuntuosi intervistatori, e hanno consegnato agli annali dell’importante storia della pedata siciliana, un record di cui i siciliani avrebbero volentieri fatto a meno: sette gol a zero.

Noi non saremmo giammai “decubertiani”; saremmo piuttosto convinti che se si partecipa, lo si deve fare per vincere, impiegando tutte le proprie forze per la vittoria, senza accontentarsi soltanto di esserci. Siamo anche del parere che una sconfitta, ci potrebbe anche stare, certamente pero’ non con quelle dimensioni catastrofiche che, alla fine, la dicono lunga non solo sul rispetto e sull’attaccamento alla maglia rosanero dei vari slavi chiamati a difenderne i colori, ma sull’onestà di questa gente nello svolgere il mestiere della pedata che dà loro molti soldi, troppi.

La sconfitta catastrofica del Palermo apre una pagina dolorosa del calcio siciliano.

Non vogliamo soffermarci sul Catania, argentinodipendente per la scelta di Pulvirenti di affrontare con pochi soldi un campionato che, in termini di ritorni economici, è tra i più munifici del mondo, ma la vicenda del Palermo ci sembra paradigmatica della realtà siciliana tutta intera.

Il campionato di calcio italiano è una portentosa macchina economica; tra diritti televisivi, sponsorizzazioni, pubblicità, circuiti pay tv, interviste, immagini, media, stadi e cittadelle sportive, coppe e financo album da raccolta figurine, genera un movimento di denaro e di interessi che trascende lo spazio dei 90 minuti della partita settimanale.

Ora, come in ogni campo delle applicazioni umane, per ottenere risultati efficaci è necessario impegno e sacrificio, ma anche si deve contare su persone che si sentano motivate e siano disposte ad investire i loro soldi in un progetto che non può restare solo economico ma deve essere di rappresentanza della città.

A Palermo, si da il caso che da qualche decennio, dopo la serie C, il calcio che conta sia ritornato d’attualità grazie all’impegno di un uomo del nord, facilitato dalla latitanza di quegli imprenditori siciliani che ancora oggi non sembrano in grado di prendergli di mano la guida del Palermo calcio. Paradigma della sudditanza siciliana al nord, anche il calcio siciliano vive successi e sconfitte grazie a Zamparini, un mangia allenatori, alla fine un freddo calcolatore che vuole mettere a reddito il denaro che investe e non gli frega assolutamente niente di Palermo o di Sicilia. “Franza o Spagna finché si magna”.

E nonostante la peculiarità del personaggio, pur tuttavia, quello è. Che poi Palermo, con la scusa del calcio, gli serva anche a disboscare territori protetti e costruirvi poi i suoi palazzotti, lo si deve all’ignavia siciliana, sempre prona al nord e munifica di onori quando il forestiero viene da noi e, favorito dall’ignavia indigena, intende poi anche imporre la sua volontà.

In verità un tentativo autoctono di gestione tutta siciliana del comparto calcio/squadra /serie A era sorto con la dirigenza Franza a Messina. Squadra ai primi posti, turbillon di personaggi protagonisti e mezze calzette, vedi Giordano, grandi progetti sportivi come la cittadella dello sport di san Filippo, oggi abbondanato e preda di erbacce, entusiasmi e alla fine l’ACR Messina non iscritto al campionato per il ritiro del gruppo Franza dal pacchetto azionario. L’ACR quindi scomparso dal pianeta calcio, frantumato in Città di Messina e Camaro, grazie all’incompetenza del figlio di Olga Franza, vero presidente proprietario di traghetti e alberghi, capace di liquefare letteralmente il progetto calcio non solo a Messina ma in tutta la provincia “babba”.

Come dovrebbe essere oggi il progetto Palermo, quello del Messina della fine anni 90 era stato il tentativo di una città di riappropiarsi del proprio orgoglio dell’appartenenza, sia pure in ambito sportivo, modello che fatalmente avrebbe potuto essere esportato anche in altri ambiti come quello politico, sociale, economico.

Attraverso il calcio una città vilipesa e tradita dai suoi stessi rappresentanti si era ripresa il suo futuro; bandiere della Trinacria sventolavano in tutti gli stadi italiani, folle di messinesi si muovevano attraverso il nord per raggiungersi a Milano o a Torino e nell”abbraccio festoso di quei colori giallorossi sormontati dalla Triscele gridare a tutti l’orgoglio di esserci, dell’appartenenza, finalmente vittoriosa, anche se dietro un pallone di cuoio.

Ecco cosa dovrebbero capire i dirigenti e i giocatori del Palermo: rappresentare una città e a volte una intera regione è onore grandissimo e privilegio importante, perchè attraverso quei colori rosanero è tutta l’Isola che si muove e gioisce della vittoria o si dispera nella sconfitta. Non fanno male i sette gol, fa male il disinteresse dimostrato e l’apatia con la quale si è accusata una sconfitta, che non è soltanto sportiva ma collettiva.

Ufficio stampa
L’ALTRA SICILIA – Antudo