Salvare la Birra Triscele per la rinascita di Messina e dei buddaci

Ci sono prodotti artigianali tipici che, nel tempo, sono divenuti simbolo e sinonimo stesso, a partire dalle zone di produzione, di uno stato, di una città, di un modo di vivere, di una cultura.

Prendiamo ad esempio la Guinnes, birra scura e dura, che è divenuta sinonimo stesso di Irlanda e del popolo irlandese, fiero e sempre sul chi vive contro gli invisi inglesi. Guinness quindi come simbolo identitario e orgoglioso alla fine, identificazione di un popolo e di un  carattere.

E quel popolo è molto attaccato alle sue distillerie, le conserva e le tutela pur se i tempi non sarebbero ideali per fare poesia ma piuttosto per fare finanza selvaggia e globalizzazione di marchi e di imprenditori, ma gli irlandesi restano attaccati alle loro tradizioni perché perderle vorrebbe dire perdere un po’ di se stessi e smarrirsi.

A Messina  già dal 1923 esisteva un prodotto fieramente locale, una birra, la birra Trinacria, colla triscele stampata nell’imballaggio della bottiglia e nel turacciolo di latta, prodotta dalla famiglie Lo Presti-Faranda nella storico stabilimento di via Bonino.

La qualità del prodotto ne aveva determinato il successo, pur difficile, in una città che la birra proprio non ce l’aveva nel suo dna etilico.Ma la Birra Trinacria era prodotto buono, serviva alla vita lavorativa locale ed aveva innescato un valido circuito di distribuzione e di consumo nella città e in tutta la provincia.

Negli anni della ricostruzione post -bellica la Trinacria  divenne Birra Messina, forse proprio per sottolineare con maggior enfasi il luogo in cui si produceva e si consumava maggiormente. E mano a mano che quegli anni diventavano anni di incomparabile sviluppo, di boom economico, la Birra Messina si installava sui banconi e sui sediolini dei bar e nei caffè già adusi alle granite caffè con panna, alle pignolate, ai dolci cannoli di ricotta e gianduja.

Era un mondo che si ritrovava all’Irrera, in fondo al viale e, dopo l’ultimo spettacolo dell’Arena corallo o del centrale giardino Trinacria, all’aperto; soleva  tirare tardi la notte davanti ad una Birra Messina che divenne così sinonimo di Messina e di Sicilia e, al di là delle dinamiche del mercato globalizzato, delle scelte manageriali e della qualità del prodotto, determino’ nei messinesi un sentimento di identità e di appartenenza con il territorio che univa tutta la città a quella birra

E’ notizia di oggi che la famiglia Faranda, proprietaria della Triscele, ex Birra Messina, a causa di difficoltà produttive, ha sospeso qualsiasi attività  a Messina ed ha annunciato di dover licenziare tutte le 42 persone addette all’impianto.

Già nel 2006 la famiglia Faranda, ritornata proprietaria dello stabilimento della birra Messina  dopo una lunga e travagliata  vertenza con la ditta olandese Heineken – che la Birra Messina l’aveva comprata e dopo un’analisi di mercato aveva deciso di chiudere lo stabilimento di via Bonino e ne aveva trasferito la produzione a Massafra – si era confrontata con una grave crisi produttiva ma era riuscita a superarla e a ripartire, siglando un accordo proprio con la Heineken  che restava proprietaria del marchio Birra Messina, che continuava a commercializzare,  mentre la Famiglia Faranda iniziava la commercializzazioni di nuovi prodotti  ‘autoctoni” come la Birra del Sole, rigorosamente con la Triscele  come marchio distintivo e la “Patruni e Sutta”, sotto marchio Triscele.

Di fronte alla crisi di produzione degli stabilimenti di via Bonino, che è crisi generale di occupazione e di mancanza di attività imprenditoriali in un territorio già sconvolto da mafia e malaffare,  L’ALTRA SICILIA si unisce ai tentativi di salvare gli stabilimenti Birra Triscele di Messina e il lavoro dei 42 addetti esortando in primis la popolazione messinese e di tutta la Sicilia  a comprare esclusivamente i prodotti siciliani degli stabilimenti di via Bonino, la birra Triscele, la birra Patruni e Sutta e la Birra del Sole e così almeno  tentare di riscattarsi da quel morbo latente che cancella le aziende locali una volta simbolo di operosità e qualità.

L’ALTRA SICILIA ricorda peraltro alla famiglia Faranda che non basta produrre , bisogna anche vendere e saper vendere quello che si produce. Occorre distribuire il prodotto, farlo trovare ovunque, in bottiglia, alla spina ed, all’approssimarsi dell’estate, pubblicizzarlo con sedie, ombrelloni, tavolini e persino, ma questo sarebbe compito delle Istituzioni, sponsorizzare ad esempio tornei di rugby, anche minori, perché è là che si ritrovano i tradizionali fruitori del prodotto Birra.

Purtroppo con i 51 milioni di euro di debiti dell’ATM, con i disservizi di Messina Ambiente a fronte dei suoi più di 500 addetti al comparto raccolta rifiuti, con i servizi sociali comunali  appaltati a cooperative incapaci, con le compartecipate comunali come la ditta feluca sui servizi web di Comune e Provincia, la situazione occupazionale e sociale di Messina  appare grave e quasi compromessa se  l’esortazione alla rinascita deve avvenire per mano di  Buzzanca, Scoglio, Parrinello o D’alcontres o Rocco Crimi.

La scossa deve venire dagli stessi  messinesi, che devono finalmente ribellarsi e con orgoglio e dignità dire basta a questa politica di clientele e di approfittatori che da anni affligge e fa  morire Messina mentre  i suoi giovani e i suoi figli migliori fuggono lontano.

Eugenio Preta

L’ALTRA SICILIA – Antudo

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