Non è un sogno

Quando un popolo prende per mano il suo proprio destino, elegge degni rappresentanti in seno alle sue istituzioni regionali, si affranca dopo secoli di servilismo al potere centrale che lo ha tenuto subdolamente sotto scacco negandogli ogni possibilità di futuro, quando così è capace di riacquistare una dignità perduta e gli interessi della sua propria terra vengono anteposti al bene cosiddetto comune di uno Stato centrale lontano e distratto, allora non è proibito sognare neanche l’indipendenza.

Indipendenza, parola fino a qualche tempo fa desueta e rivoluzionaria, provocatrice di un ordine prestabilito, concetto che riaffiora sempre più nelle pagine del dibattito politico che ha perso ormai ogni riferimento ideologico e che nelle aspirazioni della gente trova ormai motivo per il confronto e linfa per il consenso.

Indipendenza, ormai vista come soluzione legittima e democratica dopo anni di ostruzionismi, grazie al segnale che ha portato alla vittoria le istanze più fiere che hanno operato per anni per il riscatto della loro “piccola patria”, ormai un “must” nella visione geopolitica della globalizzazione.

Certo, ricatturare all’indipendenza popoli indolenti e abitudinari è un lungo cammino che, a volte, è passato anche per forme di lotta armata. Noi in Sicilia abbiamo avuto battaglioni di carabinieri sbarcati dallo Stato centrale per sedare una rivolta prima di eletti armati, martiri ed eroi, poi di popolo, con infiltrazioni diplomatiche che alla fine ha portato comunque alla vittoria delle istanze indipendentiste e alla concessione dello Statuto di autonomia.

La Scozia si avvia al processo di legittimazione parlamentare dell’Indipendenza e lo ha fatto innanzitutto con un lento processo elettorale che ha di premiato il partito nazionalista
non solo per le istanze indipendentiste ma soprattutto per l’oculatezza delle scelte politiche in materia di bilanci, di finanze e di crescita occupazionale, poi, forte del consenso popolare ha convertito, se ce ne fosse stato bisogno, la gente all’autonomia quindi all’indipendenza dalla Gran Bretagna.

I fieri gallesi stanno percorrendo lo stesso cammino nella definizione di una patria autonoma, come hanno fatto già nel 1993 consensualmente cechi e slovacchi nella riappropriazione di storia e destini che uno Stato centrale aveva cancellato e banalizzato, come fanno da anni i valenciani ed i catalani che riescono a mettere in evidenza gli interessi della propria terra nel dibattito nazionale grazie ad una forte autonomia, quasi indipendenza se convenisse loro, tanto da definirsi come nazionalità spagnole e non soltanto e semplicemente spagnoli.

Come oggi avviene nei Paesi baschi, terra di lotte armate, di attentati anche di terrorismo, quindi terra di un indipendentismo visto, proprio a causa dell’estrinsecazione armata della battaglia politica, come un’accezione negativa del concetto altamente positivo invece che riporta all’indipendenza.

Ma i baschi sono stati bravi a ripercorrere a ritroso le ragioni della lotta armata: le analogie della Storia sono sorprendenti se pensiamo ad esempio ad Antonio Canepa e a Finocchiaro Aprile … Hanno resistito alle sirene di Zapatero, “el pacificador”, che aveva tentato da una parte di reprimere l’ala terroristica del movimento indipendentista basco con la forza della polizia e dell’esercito e dall’altra cercando di favorire l’ingresso nella scena politica dell’ala dialogante dello stesso movimento. Bravi, dicevamo a capirne il gioco ed alla fine hanno “calato l’assu” canalizzando quindi nella vita politica la forte richiesta di Indipendenza che quella terra non aveva mai sopito.

Quando anche nella Nostra Terra riusciremo a fare altrettanto e a capire che con Lombardo o Miccichè o l’ineleggibile Cracolici non andremo da nessuna parte?
Quando riusciremo a portare nelle aule parlamentari regionali le istanze non più di Autonomia (ce la siamo giocata) ma di Indipendenza?

I baschi si sono riappropriati delle loro scelte, della loro vita quotidiana ed hanno rimosso ad esempio i simboli che non appartengono al popolo basco e che non hanno ragione di esistere nelle aule deputate alla discussione e alla decisione di progetti che devono riguardare solo la terra e quel popolo basco. Ed allora via il ritratto di Juan Carlos o la bandiera con gli stemmi di Castiglia, Leon, Navarra e Granada dalle aule parlamentari e comunali regionali senza nessun dramma, nessuna iconoclastia, ma con la convinzione che attorno ad un simbolo di rappacificazione e di identità i popoli riescono con più vigore a fare valere le ragioni di un territorio e della sua gente.

Riflettiamo sugli esempi che popoli fieri ci indicano ogni giorno.Non lasciamo quindi che la casta che ci governa continui a bluffare e dopo l’autonomia ci serva anche la mano dell’indipendenza sempre dal suo mazzo di carte taroccate e su un piatto ormai di avanzi, doppie figure e di imbrogli.

Ufficio stampa
L’ALTRA SICILIA- Antudo