Memoria per i Decreti di attuazione Statuto della Regione Siciliana

La Regione Siciliana, in seguito al Tavolo Tecnico Stato-Regione aperto dal Governo Monti dopo la protesta di gennaio dei “Forconi”, ha istituito una Commissione Consultiva composta da una decina di persone e presieduta dall’assessore Gaetano Armao. La finalità della Commissione è quella di individuare le linee di azione della Regione in occasione degli incontri del Tavolo Tecnico Stato-Regione che avranno inizio nelle prossime settimane.

Uno degli argomenti principali che sarà discusso in tale Tavolo Tecnico riguarderà l’attuazione dello Statuto di Autonomia della Regione Siciliana; infatti, è risaputo che la maggior parte degli articoli dello Statuto Siciliano è ancora oggi, a 64 anni dalla sua conversione in legge costituzionale, rimasta inattuata.

Uno dei componenti della Commissione Consultiva è il prof. Massimo Costa, docente universitario, chiamato a formarne parte a titolo gratuito in qualità di esperto proprio in materia di Statuto Siciliano. Lo scorso lunedì 30 aprile la Commissione si è riunita per la prima volta e, in questa occasione, il prof. Costa ha già presentato delle proposte in merito ai decreti di attuazione dello Statuto di Autonomia. Pubblichiamo, a seguire, per intero l’interessantissimo documento.

Memoria per i Decreti di attuazione Statuto
della Regione siciliana (proposte):

INDICE:



Decreto I (Commissario
dello Stato)

Decreto
II (Bilancio della Regione, degli enti locali e degli enti sottoposti a
vigilanza della Regione)

Decreto
III (Devoluzione di competenze legislative ed amministrative e Regime delle
spese correnti della Regione siciliana)

Decreto
IV (Regime delle entrate correnti della Regione siciliana)

Decreto
V (Fondo di Solidarietà Nazionale e Fondi strutturali europei)

Decreto
VI (Devoluzione di Demanio e Patrimonio statale)

Decreto
VII (Regime finanziario degli enti locali siciliani, ordinamento enti locali e
amministrazione periferica dello Stato e della Regione)

Decreto
VIII (Norme di attuazione da sottoporre a ratifica da parte dell’Unione
Europea)

Decreto
IX (Regime previdenziale e assistenziale applicabile al territorio della
Regione Siciliana)

Decreto
X (Decentramento delle funzioni giudiziarie e istituzione della Corte di
Cassazione in Sicilia)

Decreto I (Commissario dello Stato):

Oggetto: Sospensione a tempo
determinato delle funzioni del Commissario dello Stato sino a quando non
saranno definite, per mezzo di apposita legge costituzionale, le modalità di
contemperamento del rispetto del dettato letterale dello Statuto in materia di
Alta Corte con i rilievi mossi in materia dalla giurisprudenza costituzionale.

Nelle more di tale definizione il
Commissario dello Stato cessa dalle proprie funzioni e le modalità di controllo
di costituzionalità delle leggi regionali siciliane operano secondo il diritto
comune alle altre regioni.

Commento:

La norma, apparentemente non
legata alla materia finanziaria, è invece coessenziale alla stessa. La figura
del Commissario, infatti, costituisce particolare tutela dell’Autonomia
speciale siciliana solo in presenza dell’Alta Corte, con le sue note forme
paritetiche di composizione. In assenza di questo foro, il sindacato del
Commissario si è tradotto praticamente in una speciale censura preventiva della
legislazione siciliana, operata indirettamente dal Governo, che sostanzialmente
pone la Sicilia al di sotto delle altre regioni per grado di autonomia.

Non è necessario, in questa fase,
che Stato e Regione condividano le rispettive posizioni in materia di Alta
Corte. Di fatto il decreto attuativo equivale ad una soppressione della figura
del Commissario che pone la Sicilia sullo stesso piano delle altre regioni. Si
ravvisa comunque l’opportunità di “congelare” e non di “abolire” la figura del
Commissario per due ordini di motivi. In primo luogo perché, a statuto vigente,
la sua figura è ancora prevista e quindi non sarebbe possibile eliminarla per
mezzo di decreto attuativo che è fonte di diritto subordinata alle leggi
costituzionali. In secondo luogo perché, rinunciando al Commissario, la Regione
starebbe rinunciando definitivamente anche all’Alta Corte, il che, anche alla
luce dell’esperienza storica, non appare opportuno.

Del resto, con uno spirito di
leale collaborazione tra Stato e Regione, l’annosa questione potrebbe anche
essere risolta. L’Alta Corte può avere una serie di competenze speciali (le tre
ad essa attribuite dallo Statuto) che derogano a quella generale della Corte
Costituzionale, senza che si creino “doppie competenze” o “sindacati generali
di costituzionalità” da parte di questa su norme statali. I casi dubbi di
competenza, al “confine” per così dire, potrebbero sempre essere sciolti dalla
stessa Corte Costituzionale, per natura sovraordinata. Quanto all’unità di
giurisprudenza costituzionale, peraltro non esplicitata nella Costituzione,
essa potrebbe sostanzialmente essere garantita assicurando, per la parte
statale di composizione della Corte siciliana, una coincidenza tra i membri
della stessa ed alcuni membri della Corte Costituzionale. Ma di ciò, appunto,
dovrebbe occuparsi una legge di rango costituzionale. Nelle more il decreto in
parola evita umilianti negoziati ad ogni finanziaria e dà alla Regione una
reale libertà di manovra.

Decreto II (Bilancio della
Regione, degli enti locali e degli enti sottoposti a vigilanza della Regione):

Oggetto:

La normativa in materia di
bilancio degli enti in parola, oltre a rispettare letteralmente il dettato
degli artt. 19 Statuto e 81 Costituzione, può essere “integrativa” rispetto a
quella nazionale e non “sostitutiva”. I documenti finanziari della Regione,
tuttavia, devono avere le seguenti caratteristiche:

– Ispirarsi, in quanto applicabili, alle analoghe norme
statali, poi, in subordine, alle norme regionali proprie, nel rispetto della
legge-quadro in materia di contabilità pubblica (con un rinvio dinamico ad
analoghe leggi-quadro a venire) e, in ulteriore subordine, alle norme comuni
alle altre regioni,
– Disporre un’approvazione ordinaria dei documenti di
programmazione finanziaria 5 mesi prima dell’inizio dell’esercizio finanziario
(31 luglio, quindi), per rispettare l’originaria previsione del mese di gennaio
quando gli esercizi iniziavano a luglio.

Per tutte le amministrazioni
soggette a vigilanza della Regione, e per la Regione stessa, è opportuno
prevedere l’obbligo di una preventivazione e consuntivazione, non solo in
termini finanziari, ma anche in termini economico-patrimoniali, sociali ed
ambientali.

Commento:

Il decreto attuativo, in
apparenza soltanto di “servizio” rispetto ai contenuti dei documenti
finanziari, contiene invece importanti innovazioni. Da un lato alla competenza
della Regione non si abdica, ma si contempera con le inevitabili esigenze di
coordinamento di finanza pubblica e si evita di correre il rischio che tale
competenza possa tradursi in futuro in un ritardo nel recepimento delle
fondamentali normative statali in materia finanziaria.

Al contempo il decreto attuativo
può essere un’occasione per porre i documenti degli enti pubblici siciliani
all’avanguardia, con l’obbligo generalizzato di affiancamento della contabilità
economico-patrimoniale e con la predisposizione di bilanci sociali ed
ambientali.

Altre finalità evidenti del
decreto in parola sono:

– Quella di ribadire la competenza della Regione in
materia di enti locali, per evitare che lo Stato si sostituisca in tutto alla
Regione nelle funzioni di coordinamento degli stessi. Ciò non confligge con
l’autonomia amministrativa e finanziaria degli enti stessi, in quanto la
Regione, in materia, si sostituisce in gran parte allo Stato nelle sue funzioni
e non a quelle degli enti locali medesimi.

– Quella di mantenere la previsione, in realtà mai
avverata, nello Statuto di un’approvazione anticipata dei documenti finanziari
in modo di evitare, quanto più possibile, il ricorso agli esercizi provvisori,
i quali di fatto danneggiano l’azione amministrativa della Regione e,
indirettamente, la Sicilia stessa.

– Quella di ribadire la natura politica e non
amministrativa dell’Autonomia siciliana, assimilando, per quanto possibile, il
suo bilancio a quello dello Stato, come è sempre stato, e non a quello delle
Regioni.

Decreto III (Devoluzione di
competenze legislative ed amministrative e Regime delle spese correnti della
Regione siciliana):

Oggetto:

La prima parte del decreto
riordina, attraverso il combinato disposto tra gli artt. 14, 15, 17 e 18 dello
Statuto, 117 della Costituzione, 3, 4 e 6 del Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea, le materie soggette alle diverse competenze dell’Unione,
dello Stato e della Regione. In linea di principio sono possibili 9 campi di legislazione:

– competenza esclusiva dell’Unione;

– competenza concorrente Unione-Stato;

– competenza concorrente Unione-Regione;

– competenza esclusiva dello Stato, con competenza
complementare dell’Unione;

– competenza concorrente Stato-Regione, con competenza
complementare dell’Unione;

– competenza esclusiva della Regione, con competenza
complementare dell’Unione;

– competenza esclusiva dello Stato;

– competenza concorrente Stato-Regione;

– competenza esclusiva della Regione.

Sulle materie soggette a
competenza concorrente in cui la normativa “di dettaglio” competa alla Regione,
questa istituisce un proprio ufficio legislativo con il compito di raccogliere
annualmente le norme fondamentali (rispettivamente, europee o statali)
direttamente applicabili in Sicilia ed inderogabili dalla legislazione
regionale, al fine di favorire la certezza del diritto. Tali raccolte sono
inviate al Consiglio di Giustizia Amministrativa per un “parere” di
costituzionalità.

La seconda parte del decreto
disciplina il passaggio integrale delle funzioni statali alla Regione nel
territorio dell’Isola.

Questo passaggio avviene in due
modi, a seconda che sulla materia esista o no competenza legislativa regionale,
esclusiva o concorrente che sia. Per le materie attratte alla competenza
esclusiva dell’Unione, si considerano assimilate alla competenza regionale
tutte quelle materie sulle quali, in assenza dell’art. 4 del Trattato sul
Funzionamento dell’Unione, sarebbe presente una competenza legislativa
regionale, concorrente o esclusiva.

Sulle materie soggette a
competenza legislativa regionale il decreto prevede un passaggio generalizzato
di funzioni, con annessa disponibilità di personale, uffici, strutture, a
partire dal primo esercizio finanziario successivo all’entrata in vigore del
decreto attuativo. Il personale statale in servizio presso le relative
amministrazioni diventa de jure
personale regionale con il diritto, ad
personam
, di mantenere la normativa, le retribuzioni, e, in genere, lo status giuridico ed economico del
personale statale sino al collocamento a riposo. Le amministrazioni autonome
poste sotto la vigilanza dello Stato, come ad esempio le università, passano
parimenti sotto la vigilanza e la legislazione della Regione.

Ad esempio, in tal modo, l’intera
scuola siciliana sarà inquadrata nei ruoli regionali, così come tutta
l’amministrazione finanziaria periferica (agenzia delle entrate, corpo della
Guardia di Finanza, che sarà regionalizzato, e così via).

Tutti i decreti attuativi sulle
varie branche di amministrazione statale in precedenza devoluta sono abrogati.
E con essi ogni competenza statale amministrativa che in quelli veniva
disposta. Nelle materie di legislazione concorrente allo Stato non possono
spettare che le funzioni legislative di emanare i principi fondamentali della
legislazione di settore, così come, nei campi di legislazione esclusiva della
Regione, soltanto le funzioni legislative costituzionali. Il mantenimento,
ultroneo, di funzioni esecutive (ad esempio la determinazione dei programmi
“ministeriali” nella scuola) oltre che legislative in capo allo Stato deve
semplicemente cessare.

Sulle materie soggette a
competenza legislativa statale, compresa la polizia, gli uffici statali
nell’Isola sono organizzati unitariamente in “Ministero per gli affari
Siciliani”, con doppia sede a Roma e a Palermo, ma de jure sotto le dipendenze del Presidente della Regione che potrà,
a sua volta, delegare suoi assessori, anche per la rappresentanza del Ministero
in Consiglio dei Ministri. Il personale resterà statale a tutti gli effetti,
cambiando solo l’organizzazione interna e la dipendenza gerarchica dal
“Presidente-Ministro” e non dalla Regione in quanto tale. La Polizia di Stato e
l’Arma dei Carabinieri sono organizzate quindi in un unico corpo di polizia
chiamato “Polizia di Stato Siciliana”, posta alle dirette dipendenze del
Presidente della Regione. Da tale generale devoluzione saranno esplicitamente
escluse le Forze Armate destinate alla Difesa.

La terza parte del decreto
dispone la formazione “dinamica”, cioè con recepimento automatico, di tutte le
autorità amministrative di vigilanza previste per il resto del territorio
nazionale. La Regione, quindi, dovrà istituire, con propria legge, altrettante
autorità, per la privacy, per l’energia, per la vigilanza sulle assicurazioni,
per la vigilanza sul credito, per l’antitrust, e così via, quante quelle che,
di volta in volta, saranno stabilite con legge statale.

La quarta parte del decreto
dispone l’accollo alla Regione di tutte le spese correnti a questo titolo
devolute, anche quando queste siano a loro volta devolute, con legge regionale,
ad enti locali o ad altri enti soggetti al controllo della Regione. Una
clausola di salvaguardia finale garantisce alla Regione una compartecipazione
transitoria da parte dello Stato, da abbattere ed estinguere progressivamente
nell’arco di dieci anni. Sulle funzioni relative a materie su cui la Regione
vanta competenze concorrenti inerenti prestazioni sociali e diritti di
cittadinanza (lavoro, istruzione, sanità) il decreto prevede la possibilità
dello Stato di integrare le risorse regionali con risorse perequative nel caso
in cui la capacità contributiva dell’Isola non fosse capiente a garantire tali
diritti minimi. Tale possibilità deve però essere rimessa alla discrezionalità
dell’azione di Governo e non legata a diritto da parte della Regione.

Commento:

L’impianto dello Statuto
siciliano lega le spese a carico della Regione alle funzioni amministrative da
questa svolte ai sensi del proprio art. 20.
A
sua volta questo lega le funzioni amministrative alle
materie sulle quali lo Statuto attribuisce alla Regione competenza legislativa
concorrente o esclusiva. Si comprende come sia necessario un decreto attuativo
sulla materia delicatissima delle spese regionali, e come questo debba legarsi
inevitabilmente a quello delle relative funzioni devolute dallo Stato.

In primo luogo, vista la
formulazione a tratti “antiquata” del dettato statutario del 1946 e la
combinazione, non sempre chiara, di questo con i dettati costituzionale ed
europeo, si rende necessaria un’interpretazione autentica in cui i differenti
campi di legislazione siano distinti in maniera efficace, garantendo anche una
adeguata “certezza del diritto” in materia.

In secondo luogo non si può
dilazionare ancora il passaggio di funzioni e personale dallo Stato alla
Regione. Lo spirito dello Statuto era chiaramente quello di una devoluzione
integrale di funzioni, seppure nelle due forme di “autarchia”, laddove c’era
competenza regionale, e “gerarchia”, per mezzo del Presidente-Ministro, laddove
la competenza restava statale, e tale spirito va mantenuto e finalmente
attuato.

È importante sottolineare come,
grazie a questo decreto, la Regione si faccia carico praticamente di tutte le
spese pubbliche sostenute in Sicilia, ivi comprese le perequazioni e i trasferimenti
a favore degli enti locali. Ma è anche importante ribadire che questa
devoluzione di spese e funzioni può e deve certamente riguardare la parte
corrente delle spese, ma non anche quella in conto capitale, per la quale è
indispensabile mantenere l’impianto di una perequazione infrastrutturale
obbligatoria. La “perequazione di parte corrente” non va certo esclusa a
priori, viste le condizioni drammatiche dell’economia siciliana, ma non va
neanche rivendicata. Dev’essere lo Stato ad avvertire la necessità di essere
presente in Sicilia. Questa deve dimostrare di essere finanziariamente
responsabile ed autosufficiente, sia pure con le dovute gradualità.

Decreto IV (Regime delle
entrate correnti della Regione siciliana):

Oggetto:

Il decreto dispone la totale
spettanza delle entrate riscosse e maturate in Sicilia, salve le eccezioni
espresse, a favore della Regione.

Sono riservate alla legislazione
statale le sole imposte indirette commisurate ai volumi di produzione, le
entrate da monopoli e le entrate da giochi e scommesse. Su queste entrate allo
Stato è garantita una quota pari alla regionalizzazione delle spese statali a
favore della Sicilia, in loco e
fuori, e, più esattamente:
a) difesa;
b) rappresentanza
diplomatica e consolare;
c) interessi
passivi sul debito pubblico (in proporzione alla restante spesa statale a
favore della Sicilia rispetto al totale nazionale);
d) costo
degli organi costituzionali centrali.

I dati per liquidare la quota di
spettanza dello Stato su queste tre classi di entrate sono determinati dalla
regionalizzazione della spesa statale effettuata dalla Ragioneria generale
dello Stato sull’ultimo Rendiconto Generale dello Stato disponibile e sono
rivisti annualmente. La restante somma resta a favore della Regione, che può
costituire sulla stessa anche compartecipazioni a favore degli enti locali (cfr. infra).

Sono riservate alla normativa
europea tutte le entrate derivanti dalle tariffe doganali, il cui gettito,
comunque, affluisce alla Regione.

Il territorio della Regione
siciliana, sul quale le entrate sono considerate effettuate “al suo interno”,
comprende le dogane (e quindi, ad esempio, l’IVA riscossa in dogana), le acque
territoriali, e, laddove fiscalmente rilevante, la zona limitrofa, la
piattaforma continentale e lo spazio aereo prospicienti il territorio della
Regione.

Su tutte le altre entrate, e
quindi imposte indirette sui consumi o sugli scambi (compresa quindi l’IVA),
imposte dirette di ogni tipo, altre imposte, tasse, contributi, ed ogni altro
tipo di tributo o di entrata pubblica, le leggi statali, a far data dall’1
gennaio successivo all’entrata in vigore del decreto, non trovano più
applicazione nel territorio della Regione. Su tutte queste materie, nel
rispetto della Costituzione e degli obblighi europei ed internazionali contratti
dall’Italia, l’Assemblea delibera in maniera completamente autonoma
sull’istituzione dei tributi, sulle basi imponibili, sulle esenzioni, sulle
deduzioni e detrazioni e sulle aliquote.

Il principio generale è che la
Regione può tassare ogni fattispecie tributaria maturata nel suo territorio o
ogni presupposto d’imposta maturato in capo a soggetti, fisici o istituzionali,
residenti nel suo territorio ed ovunque maturati. Al fine di evitare doppie
imposizioni, lo Stato riconosce, ai soggetti residenti fuori dal territorio
della Regione che sono tassati per fattispecie (ad esempio redditi) maturati
nella Regione, un credito d’imposta di pari importo all’imposta pagata in
Sicilia e ugualmente si regola la Regione nei confronti dei propri residenti
per le imposte pagate sul resto del territorio nazionale. Per i redditi
conseguiti all’estero la Regione si attiene alle norme internazionali e alle
convenzioni sottoscritte dallo Stato italiano, subentrando allo stesso nei
diritti e negli obblighi per quanto riguarda i contribuenti residenti nel
territorio della Regione.

Per consentire una tassazione
effettiva dell’IVA nel luogo ove avviene il consumo le transazioni tra Sicilia
e resto del Paese sono assimilate alle transazioni intracomunitarie tra paesi
membri dell’Unione.

Non possono più essere istituiti
tributi erariali straordinari “di scopo” a valere sul territorio della Regione
siciliana senza la previa deliberazione dell’Assemblea.

È prevista una norma transitoria
di garanzia per garantire lo Stato dal mancato gettito che comporta
l’attuazione di questo decreto. Le minori entrate per lo Stato saranno
garantite inizialmente da un trasferimento dalla Regione, progressivamente
abbattuto nell’arco di dieci anni. Questo trasferimento potrà essere compensato
da quello uguale e contrario di cui al precedente decreto con liquidazione e
pagamento della sola somma eccedente e con le stesse modalità graduali di
estinzione.

Commento:

Il presente decreto costituisce
il naturale complemento del precedente. Poiché tutte o quasi le spese correnti
sono trasferite alla Regione ed agli enti da questa vigilati, così pure tutte o
quasi le entrate che maturano nel territorio siciliano devono restare nel
territorio che le ha prodotte. La solidarietà nazionale su entrate e spese correnti
non può certo essere invocata dal territorio più povero (la Sicilia) a favore
del più ricco (il resto del Paese) ma, eventualmente, solo in senso inverso.
Nel decreto si recupera integralmente lo spirito dell’art. 36 che dava vita ad
un sistema tributario autonomo per la Sicilia in cui la Regione “delibera
autonomamente” i propri tributi e questo diventa il metodo ordinario di
finanziamento delle proprie spese. Le entrate riservate allo Stato,
tassativamente elencate, sono destinate a finanziare le funzioni statali, ma,
poiché ai sensi dell’art. 20 dello Statuto, la quasi totalità delle spese
statali è devoluto alla Regione e poiché, ai sensi dell’art. 119 della
Costituzione, lo Stato garantisce compartecipazioni agli enti locali ed alle
regioni in modo che possano farsi carico delle funzioni loro attribuite, la
“residualità” delle funzioni in capo allo Stato (difesa e poco altro, vedasi
sopra) impone una determinazione altrettanto residuale delle risorse estratte
dalla Sicilia ed attribuite allo Stato. Per il resto la Sicilia deve essere in
grado di gestire le proprie entrate in maniera pienamente autonoma, potendo
peraltro attivare una sana fiscalità di vantaggio, la quale non sarebbe neanche
“aiuto di stato” in quanto autonomamente deliberata dalla Regione e sopportata
dalla comunità siciliana in termini di eventuali minori entrate per la Regione
stessa.

L’attribuzione alla Sicilia della
potestà di tassare in maniera autonoma redditi ed altre fattispecie tributarie
maturate nel suo territorio, oltre a rispondere ad una finalità intrinseca di
razionalizzazione della norma e di ostacolo a distorsioni tributarie pesanti
che verrebbero a trovarsi tra soggetti in base alla loro diversa residenza (ciò
che invece sarebbe una discriminazione territoriale incompatibile con il
diritto europeo) risolve alla radice il contenzioso relativo all’art. 37
rendendolo inglobato e quindi addirittura sopravanzato dalla soluzione più
completa che qui viene individuata. Del resto, se – si ponga – la Sicilia pone
una determinata aliquota marginale sul reddito delle persone fisiche o una
determinata aliquota proporzionale sul reddito delle società, come mai
potrebbero essere tassate ad aliquote diverse due società, l’una avente sede in
Sicilia e l’altra fuori, che operano nello stesso territorio? Come accade,
dunque, con i paesi esteri, l’Italia regolerebbe i rapporti con la Sicilia,
avendo di fronte a sé un impianto statutario che concede una eccezionale
autonomia impositiva, cui peraltro corrisponde una più gravosa responsabilità
sul fronte delle spese, come si è visto al decreto precedente.

Decreto V (Fondo di
Solidarietà Nazionale e fondi strutturali europei):

Oggetto:

Tutte le risorse di derivazione
europea spettanti alla Sicilia sono gestite direttamente dalla Regione senza
alcuna intermediazione da parte dello Stato.

Rispetto alla generale assenza di
“diritti di perequazione” in materia di spese correnti, la Regione dispone di
una risorsa, tutelata da norma di rango costituzionale, data dal Fondo di
Solidarietà Nazionale ex art. 38.

Il calcolo della somma va
affidato all’ISTAT e posto pari al “mancato gettito” da imposta personale sui
redditi, ad aliquote vigenti nel territorio siciliano, dovuto al minor reddito
pro capite esistente in Sicilia rispetto alla media nazionale, diviso per due.
Il computo è revisionato ogni cinque anni.

L’erogazione del contributo
annuale è subordinato alla presentazione di un piano di opere infrastrutturali
da parte della Regione allo Stato, ma non ad un sindacato di merito sulla loro
opportunità. La Regione deve obbligatoriamente vincolare le somme a spese in
conto capitale per investimenti. Le somme eventualmente andate in economia
devono essere reinvestite allo stesso scopo.

Nel caso di eccedenza del reddito
pro capite siciliano rispetto a quello medio nazionale, sarà lo Stato a dover
presentare un piano di investimenti per le aree depresse e a vedersi devolvere
dalla Sicilia un Fondo di Solidarietà Nazionale pari al 5 % del surplus di
gettito sull’imposta personale sui redditi da persone fisiche per effetto
dell’eventuale maggior reddito pro capite siciliano.

Commento:

Il decreto serve a dare base
certa alla quantificazione del contributo statale ex art. 38, secondo modalità
quanto più possibili fedeli al dettato originario dello Statuto e realisticamente
ottenibili.

Il decreto realizza anche
l’ineludibile “perequazione infrastrutturale”, imponendo tanto allo Stato,
quanto alla Regione, di dedicare ingenti risorse allo sviluppo e al recupero
del gap infrastrutturale. La logica del fondo, in sé non specifica della
Sicilia, sarebbe anche estensibile a tutto il Mezzogiorno.

Finalità secondaria, ma pure
importante, del decreto è quella di garantire una “solidarietà al contrario”
dalla Sicilia all’Italia, per evitare che il fondo venga concepito come “privilegio”
della Sicilia in quanto tale, con, ovviamente, la ponderazione di tale
solidarietà al peso della Sicilia rispetto al complesso dell’Italia: se la
Sicilia è circa un decimo del Paese è giusto che, in caso di surplus, sia dato
dalla Sicilia al Paese un decimo di ciò che normalmente riceve. Altra finalità
è quella di superare impasse e
ritardi nell’utilizzo di risorse europee, indebitamente trattenute a Roma per
finalità di natura politica.

Decreto VI (Devoluzione di
Demanio e Patrimonio statale):

Oggetto:

Il decreto dispone il passaggio
automatico e de jure di tutto il
demanio statale in Sicilia alla Regione al di fuori delle eccezioni
espressamente richiamate nel decreto medesimo. Al demanio sono assimilati i
diritti economici e tributari derivanti dallo sfruttamento economico delle
acque territoriali prospicienti la Sicilia.

Le “eccezioni” riguardano il
demanio militare e i beni di “interesse nazionale”.

Il demanio militare è
identificato da quei beni che sono gestiti dal Ministero della Difesa ed
effettivamente adibiti alla difesa nazionale. Lo Stato ha l’obbligo di fornire
l’elenco di tali beni entro 12 mesi dall’entrata in vigore del Decreto. La
smilitarizzazione dei beni attrae i beni demaniali automaticamente alla sfera
regionale; parimenti la “demanializzazione” di alcuni beni da destinare alla
difesa o la destinazione alla difesa di beni demaniali diversi comporta
l’attrazione al demanio statale, previa attribuzione di equo indennizzo
all’amministrazione regionale.

I beni di interesse nazionale
sono costituiti esclusivamente da quelle infrastrutture la cui utenza sia in
prevalenza esterna alla Regione. Lo Stato definisce l’elenco di questi beni
parimenti entro 12 mesi, ma il passaggio definitivo allo stesso avviene
soltanto previo accordo con la Regione. In mancanza di accordo tra Stato e
Regione i suddetti beni sono provvisoriamente gestiti in maniera congiunta tra
i due enti. La definizione delle controversie spetta alla Commissione
Paritetica.

Il patrimonio indisponibile dello
Stato passa integralmente alla Regione con la sola eccezione di quello
militare. Per il patrimonio militare valgono le stesse norme disposte per il
demanio militare. Al di fuori del patrimonio militare lo Stato non può
costituire in Sicilia altro patrimonio indisponibile.

In ogni caso il passaggio di
demanio e patrimonio indisponibile alla Regione opera ex lege, senza bisogno di provvedimenti distinti per ciascun bene,
i quali, a contrario, sono previsti
solo per le eccezioni a tale generale devoluzione.

Il patrimonio disponibile dello
Stato presente in Sicilia all’1 gennaio antecedente all’entrata in vigore del
Decreto è trasferito alla Regione. Lo Stato ha facoltà, tuttavia, di
ricostituire nell’isola a titolo oneroso in futuro nuovo patrimonio
disponibile.

Le norme sul passaggio di demanio
e patrimonio dallo Stato alla Regione si estendono a tutti gli enti soggetti a
controllo dello Stato, qualunque ne sia la forma giuridica, di ente pubblico o
di società per azioni, con la sola eccezione del patrimonio degli enti previdenziali.

Nel patrimonio devoluto alla
Regione sono compresi gli immobili già di proprietà del Banco di Sicilia e
della Cassa Centrale di Risparmio V.E. per le Province Siciliane alla data del
primo bilancio antecedente alla loro acquisizione a controllo da parte di altro
istituto, con esproprio e determinazione di equo indennizzo a favore degli
attuali proprietari, determinato dalla rivalutazione monetaria della somma
utilizzata per la loro acquisizione; il costo dell’esproprio è posto a carico
dello Stato. La Regione individua tali immobili con proprio provvedimento
amministrativo e ne acquisisce la proprietà con decreto.

Commento:

La Regione trova nei proventi
patrimoniali una fonte importante di finanziamento prevista dallo Statuto. La
valorizzazione del patrimonio pubblico prevista dallo Statuto non consiste nel
mantenimento di un patrimonio non funzionale al servizio pubblico, ma
all’utilizzo prudente dello stesso per le finalità proprie della pubblica
amministrazione in Sicilia. Il problema principale che ha incontrato
l’attuazione degli artt. 32 e 33 dello Statuto in passato è stato quello della
assoluta discrezionalità attribuita allo Stato nella scelta degli elementi
patrimoniali da trasferire alla Regione. Questa “scelta” ha finito per depotenziare
in maniera gravissima quella che doveva essere evidentemente una devoluzione
integrale di demanio e patrimonio statale in Sicilia con la sola eccezione di
quello militare.

Con la attuale formulazione il
problema viene risolto con un passaggio de
jure
. Così la Sicilia si trova ad amministrare direttamente i propri
aeroporti, porti, strade, acquedotti, linee elettriche e telefoniche e, in
genere, ogni proprietà pubblica. Restano allo Stato solo quelle infrastrutture
di rete che servono un’utenza nazionale, come ad esempio i metanodotti che
“passano” per la Sicilia, ma non hanno un’utenza prevalentemente siciliana.
Ovviamente, insieme a questi “asset” passano alla regione tanto ogni provento
che ne deriva, quanto i costi della loro manutenzione.

La previsione di passaggio anche
dei beni intestati ad enti statali e parastatali serve ad evitare elusioni
della norma quando lo Stato abbia passato tale patrimonio ad enti dallo stesso
controllati.

La norma sui patrimoni
immobiliari dei banchi siciliani ha invece natura eccezionale, perché incide su
un patrimonio ormai dismesso e privatizzato. Ma l’eccezionalità della norma
trova giustificazione nel fatto che tale patrimonio, frutto del risparmio
secolare dei siciliani, è stato letteralmente “regalato” attraverso artifici
contabili e a tale ingiustizia in qualche modo dovrà porsi rimedio.

Decreto VII (Regime
finanziario degli enti locali siciliani, ordinamento degli enti locali e
amministrazione periferica dello Stato e delle Regioni):

Oggetto:

Il decreto definisce in una prima
parte il quadro delle risorse finanziarie degli enti locali. I Comuni, oltre
alle eventuali compartecipazioni sui tre tributi erariali, disposte ai sensi
del precedente Decreto IV, sono finanziati per mezzo di:
a)      proventi
patrimoniali propri;
b)     tributi
propri, istituiti liberamente dalla Regione per mezzo di propria legge;
c)      compartecipazioni
a tributi regionali;
d)     addizionali
a tributi regionali;
e)      trasferimenti
dalla Regione.

Sono quindi esclusi
definitivamente i trasferimenti da parte dello Stato. I trasferimenti regionali
avranno scopo espressamente perequativo per favorire l’effettiva capacità dei
Comuni di svolgere le funzioni loro assegnate. Essi saranno proporzionali a
popolazione e superficie dei Comuni e inversamente proporzionali alla capacità
contributiva per abitante. I Comuni, oltre a svolgere le funzioni proprie, stabilite
da legge regionale, svolgeranno, come i loro Consorzi, funzioni delegate da
parte della Regione e dello Stato. Per queste funzioni essi avranno diritto ad
un trasferimento correlato al costo standard delle funzioni medesime.

I Consorzi comunali vivranno
invece esclusivamente di finanza derivata da parte dei Comuni, così come gli
eventuali enti locali infracomunali (frazioni, quartieri, circoscrizioni,…).

Per le spese in conto capitale i
Comuni possono ricorrere, oltre che a risorse proprie, ad accantonamenti di
surplus di bilancio, o a prestiti agevolati erogati dalla Cassa Depositi e
Prestiti Regionale, da istituire ai sensi del Decreto III insieme al servizio
postale regionale nel quadro della piena devoluzione di funzioni amministrative
centrali nella Regione. Il ricorso ad altre forme di indebitamento può avvenire
solo sotto la “stretta” vigilanza della Regione.

Il decreto poi dispone sui
principi generali dell’ordinamento degli enti locali regionali, integrabile da
norma regionale, ma immediatamente efficace nei suoi elementi essenziali.
L’ente locale essenziale è il Comune, al quale sono attribuite per legge
regionale funzioni proprie e funzioni delegate da Regione e Stato.

L’organizzazione interna dei
Comuni (numero e retribuzione dei consiglieri, presenza di circoscrizioni,
etc.) è completamente liberalizzata, nell’ambito di alcune norme generali
essenziali da determinare con legge regionale, con responsabilizzazione dei
Comuni sulla spesa che ne deriva. Alcune funzioni, stabilite con legge
regionale, sono da svolgere obbligatoriamente nell’ambito dei Consorzi di
Comuni quando il Comune non raggiunga determinate soglie critiche per numero di
abitanti, superficie o prodotto interno lordo. La costituzione di Consorzi, per
singoli servizi consortili, è libera, purché il nuovo Consorzio risponda ai
requisiti ottimali stabiliti con legge regionale e la restante parte dei
Consorzi che un Comune volesse abbandonare mantenga tali requisiti.

I primi Consorzi sono costituiti
nello stesso decreto e coincidono approssimativamente e all’incirca con gli
antichi 25 distretti dell’Isola. I Comuni, tuttavia, potranno uscire da questi
Consorzi e realizzarne altri in maniera libera, anche distinta per i distinti
servizi, secondo le modalità che saranno stabilite da legge regionale. La prima
istituzione serve quindi soltanto per avviarne l’istituzione.

In linea di principio tutti i
Servizi regionali e comunali che implicano rapporti con la cittadinanza sono devoluti
ai Liberi consorzi di comuni o ai Comuni, con passaggio del relativo personale.
Per i servizi che fosse necessario mantenere in capo alla Regione, per la
rappresentanza della Regione, e dello Stato che la stessa rappresenta ai sensi
del Decreto III, sono costituite parimenti le circoscrizioni distrettuali
regionali, con trasferimento alle stesse di tutto il personale in forza alle
attuali amministrazioni provinciali, alle prefetture, ed agli organi periferici
dello Stato che simultaneamente all’entrata in vigore del Decreto vengono
soppressi.

Le funzioni di rappresentanza
della Regione e dello Stato nel distretto e i rapporti con i Comuni e Liberi
Consorzi di Comuni sono esercitate da un Intendente regionale di nomina
governativa regionale.

La Regione dispone l’attuazione
del Decreto in modo che l’abbattimento dei costi per gli uffici ed enti
soppressi superi il costo del trasferimento del personale dal capoluogo
regionale o dai capoluoghi di provincia ai nuovi capoluoghi di distretto. In
ogni caso l’avvio della riforma non può comportare alcun costo aggiuntivo per
la Regione.

La Regione, infine, laddove
giustificato da motivazioni tecniche o economiche, può delegare verticalmente le proprie funzioni ad
enti funzionali posti sotto la propria diretta vigilanza e con la
partecipazione dei comuni interessati alla relativa governance.

Commento:

Il decreto tende a dare
attuazione in maniera unitaria alle disposizioni contenute nell’art. 15 dello
Statuto e quindi a definire il rapporto tra cittadino, amministrazioni locali e
amministrazione periferica degli enti centrali: Stato e Regione.

Sul piano finanziario gli
obiettivi da realizzare sono i seguenti due: quello di attribuire agli enti
locali una vera piena autonomia finanziaria e quello di disegnare un’autonomia
finanziaria regionale intesa non come “autonomia della Regione”, bensì – come
nello spirito originario dello Statuto – come “autonoma del sistema degli enti
pubblici regionali” inteso nel suo complesso. È dunque la Sicilia, e non la
Regione siciliana, a costituire un ordinamento tributario autonomo nel suo
complesso, nel rispetto dei principi generali desumibili dagli articoli del
Titolo V della Costituzione.

Finalità del decreto è anche di
evitare, tanto sul piano finanziario, quanto sul piano amministrativo, che
l’ordinamento regionale riproponga, su scala ridotta, i guasti del centralismo
statale, questa volta a spese degli enti locali siciliani che vedrebbero
compromesse le loro funzioni.

Altra ratio legis che ispira il decreto è quella di dare la cornice
essenziale per l’attuazione dell’art. 15, rinviando alle leggi regionali per
una normativa sistematica e di dettaglio. Di fatto, in tal modo, le finalità
espresse dallo Statuto sono fissate da un decreto attuativo che funge anche da
norma quadro per la legislazione regionale a valle. Il principio ispiratore
generale è quello di un’amministrazione regionale centrale che viene
alleggerita e ridotta agli essenziali ruoli costituzionali (ARS, Presidenza e
Governo) e assessoriali, con una presenza distribuita ma leggera sull’intero
territorio regionale e quindi con una maggior vicinanza della Regione al
cittadino, e con un ruolo centrale esercitato dalle autonomie comunali.

L’organizzazione periferica
ordinaria della Regione in distretti non pregiudica l’utilizzo delle attuali
circoscrizioni provinciali per altri fini, quando ritenuto più vantaggioso o
economico (ad esempio per le aziende sanitarie) o, addirittura, in alcuni
campi, ad una forma di presenza della Regione ancor più centralizzata su
quattro “macro-distretti” (Palermo, Catania, Messina, Caltanissetta) sul
modello dei distretti giudiziari.

Decreto VIII (Norme di
attuazione da sottoporre a ratifica da parte dell’Unione Europea):

Oggetto:

Il decreto definisce i rapporti
tra ordinamento regionale siciliano ed ordinamento comune europeo. L’efficacia
dello stesso, nelle parti in cui deroga alle normative europee, è subordinata
all’adozione di corrispondenti atti giuridici nelle sedi istituzionali europee
più opportune.

La prima parte del decreto
riguarda la rappresentanza della Sicilia in Europa. In essa sono definiti il
numero dei rappresentanti siciliani al Parlamento europeo e nelle altre
istituzioni elettive (CES, Comitato delle Regioni), con la costituzione di un
collegio separato, così come le modalità di consultazione continuativa delle
istituzioni regionali sulle materie di competenza regionale sulle quali il
rappresentante italiano in Consiglio esercita il proprio diritto di voto. Il
decreto definisce le materie “vitali” per la Sicilia sulle quali la Regione può
dare istruzioni “vincolanti” al rappresentante dello Stato.

La seconda parte del decreto
riguarda il rapporto della Sicilia riguardo al recente trattato sul Meccanismo
Europeo di Stabilità e, in genere, sul patto di stabilità. La Sicilia partecipa
dell’obbligo di tendenziale pareggio, ma mantiene la piena sovranità, nel
rispetto delle norme sul mercato comune (es. IVA), su tutta la materia
tributaria senza alcuna esclusione.

La terza parte del decreto
riguarda la materia doganale (in attuazione dell’art. 39). In esso si dispone
l’esenzione doganale per ogni tipo di importazione di beni capitali destinati
al settore primario e della prima trasformazione dei prodotti del settore
primario a favore delle imprese aventi sede legale in Sicilia, con le norme
necessarie ad evitare comportamenti distorsivi o che, immettendo tali beni in
Europa dalla Sicilia, possano poi entrare nel resto del mercato con elusione
delle rispettive tariffe doganali. Il decreto dà anche la possibilità di
costituzione di un certo numero di porti o punti franchi, distintamente
indicati. Il decreto, infine, dà la possibilità di porre la Sicilia fuori dalla
linea doganale europea e di attribuire alla Sicilia la potestà di stabilire
tariffe doganali proprie. In ogni caso sarà vietato ogni tipo di tariffe
doganali o di restrizioni al commercio tra il territorio della Sicilia e il
resto dell’Unione Europea, così come in ogni caso saranno in ogni caso
assoggettate alle tariffe europee tutte le merci “in transito” dalla Sicilia
verso il resto d’Europa.

La quarta parte del decreto
riguarda la materia monetaria e valutaria (in attuazione dell’art. 40). Nel
territorio della Regione le funzioni di Banca Centrale Nazionale sono svolte da
una Banca Centrale Regionale, rappresentata nel board della BCE dalla Banca
d’Italia, il cui capitale sia partecipato a maggioranza da Regione e Comuni e a
minoranza dalla Banca d’Italia e la cui governance abbia caratteristiche di
professionalità e indipendenza. La Banca Centrale Regionale, quindi, si
occuperà dell’immissione nel mercato delle banconote pro quota spettanti alla Sicilia, controllerà una “zecca siciliana”
per la coniazione delle monete metalliche, sempre spettanti pro quota alla Sicilia, con attribuzione
alla Regione dei relativi proventi. La Banca Centrale Regionale, attraverso la
fissazione della riserva frazionaria sul suo ambito di competenza, controllerà
anche l’immissione di moneta bancaria nel sistema; gli utili della Banca,
dedotti gli accantonamenti, saranno tutti obbligatoriamente distribuiti alla
Regione. Essa gestirà anche le riserve auree e valutarie spettanti alla
Sicilia, in coordinamento alle altre banche centrali dell’eurozona. La
proprietà di tali riserve sarà comunque della Regione, alla quale potranno
essere retrocesse eventuali eccedenze, previo parere della Banca Centrale
Europea. Esse, per la loro prima costituzione, saranno poste pari alle riserve
auree confiscate al Banco di Sicilia nel 1926 e saranno pagate dalla Banca
d’Italia in lingotti che dovranno essere custoditi nell’Isola. La Banca
Centrale Regionale potrà coincidere con l’istituto di vigilanza sugli istituti
di credito regionale costituito ai sensi del Decreto III.

La quinta parte del decreto
riguarda la materia finanziaria (in attuazione dell’art. 41). In esso si
statuisce che la Regione potrà emettere, solo a valere sul proprio territorio,
titoli di debito infruttiferi al portatore, nei limiti indicati dalla Banca
Centrale Regionale ai fini di garantire la regolarità del sistema dei pagamenti
e la stabilità dei prezzi, irredimibili, valevoli per il pagamento dei tributi
regionali e locali, ed aventi valore legale per l’estinzione di obbligazioni
tra soggetti residenti in Sicilia. Tali titoli non saranno computati come
indebitamento ai fini della valutazione del conseguimento del pareggio di
bilancio.

Commento:

Il presente decreto riguarda i
rapporti della Regione siciliana e delle sue prerogative autonomistiche nei
confronti dell’Europa. Alcuni dei provvedimenti in esso inclusi possono
riguardare il solo diritto interno, ma la maggior parte di essi impatta sugli
obblighi internazionali dell’Italia. Per questa ragione si è scelto di
confinare tutti questi provvedimenti in un unico decreto, la cui efficacia sia
subordinata all’esito di un negoziato da intraprendere tra Sicilia, Italia e
Unione europea. Tali parti dell’attuazione dello Statuto si rendono
indispensabili, non per velleità isolazioniste e men che mai antieuropeiste, ma
perché nel tempo l’integrazione ha semplicemente ignorato le competenze della
Sicilia e diventa indifferibile un coordinamento delle stesse con l’ordinamento
continentale nel frattempo istituito. La presenza di condizioni differenziate
di integrazione per realtà geopolitiche non statuali è stata del resto la norma,
quando lo stato membro di riferimento le ha volute far valere, per altre
regioni insulari o ultra-periferiche. Si pensi, ad esempio allo status delle
regioni insulari oceaniche di Spagna e Portogallo o allo status delle
dipendenze britanniche (Isole del Canale, Gibilterra, Man) o a quello delle
“contee autonome” della Danimarca (Faer Oer, Groenlandia). Inoltre la presenza
di condizioni particolari dell’integrazione europea a favore delle “regioni
insulari e transfrontaliere” è prevista dallo stesso Trattato sul funzionamento
dell’Unione. Si tratta quindi di dare concretezza a quanto potenzialmente già
previsto dal diritto comune europeo.

Le peculiarità in materia
doganale, finanziaria e monetaria sono, infine, conseguenza inevitabile del
fatto che l’autonomia fiscale della Sicilia disegna per la stessa la
costituzione di una zona fiscale autonoma. Il dibattito contemporaneo solleva
da più parti l’impossibilità di mantenere una stabile unione “economica e
monetaria” in assenza di perequazioni fiscali, come di coordinamento delle
politiche tributarie. E la Sicilia, a parte il Fondo di Solidarietà Nazionale e
trascurabili risorse destinate liberamente dallo Stato per la “coesione”, non
ha – a statuto vigente – più alcun diritto a perequazioni fiscali. Da qui la
necessità, con prudenza, ad aprire una negoziazione su temi vitali per la
nostra economia.

Decreto IX (Regime
previdenziale e assistenziale applicabile al territorio della Regione
Siciliana):

Oggetto:

Il decreto dispone l’istituzione
degli enti previdenziali regionali corrispondenti a quelli statali per la
previdenza obbligatoria e per l’assistenza. È data facoltà alla Regione di dar
vita a nuovi istituti, nel rispetto delle tutele previdenziali e assistenziali
minime previste dalla legge nazionali.

Gli istituti di previdenza
regionali acquisiscono tutto il patrimonio degli istituti previdenziali ubicato
in Sicilia. Agli stessi sono iscritti obbligatoriamente tutti i nuovi
lavoratori a partire dal primo esercizio successivo all’entrata in vigore del
decreto.

Gli iscritti alla gestione
previdenziale in essere mantengono la loro iscrizione, con facoltà
(eventualmente onerosa) di aderire alla nuova gestione regionale in
sostituzione di quella statale, fino al momento del collocamento a riposo. I
pensionati in essere restano formalmente a carico della previdenza statale.

I pensionati e i lavoratori in
essere al momento dell’entrata in vigore del decreto entrano a numero chiuso in
un regime transitorio ad esaurimento. I pensionati o i lavoratori italiani che,
successivamente alla pensione, trasferiscano in Sicilia la loro residenza,
restano a carico degli istituti statali, così come i nuovi iscritti residenti
in Sicilia restano a carico della previdenza regionale.

Per questi iscritti ad
esaurimento si determina il saldo finanziario tra contributi e prestazioni
previdenziali. Tale saldo resta il massimo erogabile dallo Stato per le loro
pensioni. Il progressivo peggioramento di questo saldo per effetto
dell’invecchiamento della popolazione lavorativa iscritta alle gestioni
statali, per il progressivo pensionamento degli stessi o per l’opzione degli
stessi alla nuova previdenza, sarà coperto dalla Regione con un trasferimento a
favore degli istituti previdenziali nazionali.

Le prestazioni assistenziali e i
relativi contributi parafiscali sono determinati con normativa regionale e sono
immediatamente di competenza degli istituti regionali, con il rispetto delle
prestazioni minime stabilite dalla legge statale.

Le aliquote per i contributi
previdenziali sono determinate con legge regionale. Esse avranno valore solo
per i nuovi iscritti alle gestioni previdenziali regionali.

Le prestazioni per previdenza
complementare e integrativa sono regolate da normativa della Regione e sotto la
vigilanza della medesima.

Commento:

Lo stralcio della materia
previdenziale e assistenziale rispetto alla generale devoluzione di competenze ex art. 20 è dovuta alla complessa
determinazione attuariale del carico previdenziale. In linea di principio sono
rispettati i principi dei decreti III e IV sull’attribuzione alla Regione (in
questo caso agli enti previdenziali regionali da questa istituiti e
controllati) dei proventi e degli oneri connessi a questo comparto, ma con
un’amplissima gradualità che eviti la mancata copertura finanziaria per una
delle parti (regionale o statale).

Di fatto gli enti previdenziali
statali, per i successivi 40 anni circa, vedranno diminuire fino ad estinguersi
i contributi raccolti in Sicilia, con contestuale intervento della Regione per
sopperire a tale naturale decrescita. Da quel momento gli enti previdenziali in
parola avranno in Sicilia solo pensionati, parte a carico degli stessi (per il
disavanzo originale dei conti previdenziali, in termini nominali, quindi di
necessità assai svalutato nel tempo) e per gran parte a carico della Regione.
Quando anche questi pensionati si saranno estinti, la gestione previdenziale
autonoma sarà autofinanziata. La lentissima disgiunzione dei conti
previdenziali, quasi secolare, si rende indispensabile per evitare scompensi o pregiudizi
di sorta.

Decreto X (Decentramento delle
funzioni giudiziarie e istituzione della Corte di Cassazione in Sicilia):

Rinvio a quanto già deliberato
dalla Giunta. Soltanto si suggerisce di integrare le suddette norme con
eventuali altre forme di giurisdizione centrale (ad esempio quelle militari)
non ancora decentrate. Si tratta anche qui di norma non direttamente attinente
all’ordinamento fiscale, in quanto la Magistratura resta organo dello Stato. Ma
la devoluzione integrale di funzioni statali, ai sensi del precedente Decreto
III, pone indirettamente a carico della Regione ogni maggiore spesa per gli
organismi giudiziari di ultimo livello da istituire, ad eccezione di quelli
militari che resterebbero a carico dello Stato.

Prof.
Massimo Costa

Fonte: http://palingenesicom.blogspot.it