La delusione dei numeri primi

Attraverso queste nostre pagine abbiamo cercato di spiegare le nostre posizioni sull’attualità politica e di argomentare le nostre interpretazioni sui temi più’ sentiti della società contemporanea.

Il nostro tema ricorrente è la valorizzazione dello Statuto di Autonomia, convinti che una sua effettiva attuazione potrebbe risolvere tanti dei problemi dell’Isola e per questo, da tempo, facciamo opera pedagogica con articoli di influenti autonomisti e con la discussione delle loro prese di posizione.
Dalla nostra Autonomia oggi il dibattito si sposta, e fatalmente ,si riflette sulle prossime elezioni per il rinnovo dell’Assemblea regionale siciliana, appuntamento, l’ennesimo, che riteniamo basilare per il futuro dei siciliani e della terra impareggiabile ma a cui ci avviciniamo con tante perplessità e con mille interrogativi.

Prima di tutto la confusione dei candidati e delle sigle che concorrono al voto, ma non il programma che, per tutti, sembra essere incentrato sulla rivalutazione dello Statuto di autonomia.
Siamo convinti a questo punto che tutti i mestieranti politici abbiano capito quanto possa tirare questo tema dell’autonomia nella ricerca di nuovi consensi tanto da parlarne anche a vuoto e senza cognizione di causa, ed allora diffidiamo delle dichiarazioni filo-autonomiste che ormai tutti questi partiti si stampano sulle locandine.

A dispetto delle loro dichiarazioni altisonanti pero’, questi candidati si squalificano da soli, non fosse altro che per le sigle che rappresentano e che, al contrario di quello che invece si sforzano di comunicare, costituiscono , esse stesse da sole, il massimo del centralismo, con buona pace dell’autonomismo e del futuro della Sicilia.

Non tutti sanno che una legge iniqua, lo ripetiamo, proibisce la presentazione di candidati che vivono “al di la del faro”, i figli della diaspora, quelli che sono dovuti partire per trovare nei nord lontani le occasioni di lavoro e le possibilità di futuro che questa terra che tanto amano non è stata capace di offrirgli a causa di una classe politica serva dei partiti, schiava del centralismo e attenta, lo abbiamo sempre denunziato ed oggi i fatti ci danno ragione, soltanto al proprio tornaconto e al proprio guadagno.

Per questa ragione non troverete i figli della diaspora, l’altra Sicilia, nelle liste dei candidati che purtroppo continuano a presentare sempre gli stessi nomi e le stesse facce, nel previsto fallimento di questa terra, per noi, impareggiabile.

Eurodeputati in carica, consiglieri provinciali, consiglieri regionali, deputati regionali, deputati nazionali, segretari di sindacati, tutta gente da sempre in combutta con il potere, che si nutre solo di politica e vive ai margini del potere: ma come si può sperare in un cambiamento se i segnali sono quelli dei nomi che, pervicacemente e senza pudore alcuno, i partiti ancora si permettono di presentare ai siciliani, come se fingessero di non capire che lo “scialo” e’ finito?

Restiamo perciò costretti a fare da spettatori, non senza lanciare i nostri allarmi, i nostri avvertimenti.

A questo punto, vogliamo sperare che tra i candidati ci possano essere veri siciliani che non è giusto vengano travolti dal segnale negativo di scoraggiamento che sembra aleggiare da queste elezioni, e per non restare ai margini, ci leghiamo ad un sottile filo di speranza, sottile sottile però:

che una volta eletti, i veri autonomisti, si riuniscano sotto un’unica bandiera giallorossa con triscele, cancellando con i vecchi simboli anche il vecchio sistema di fare politica che ha portato la Sicilia al fallimento economico, morale e civile e alla continua partenza dei suoi giovani, e dichiarino ufficialmente e politicamente l’indipendenza dell’isola.

Ripetiamo, si può fare, lo hanno fatto catalani, baschi, slovacchi, cechi, scozzesi, quebbecchesi, gallesi…

Se non lo faranno, sarà purtroppo la Sicilia ad offrirsi allo scempio sempre seguente, senza freni e aspettando ancora quella presa di coscienza, quel movimento di popolo che, per nascere veramente, avrebbe appunto bisogno proprio di un popolo.

eugenio preta