Non avviene niente per caso…

Al Camp Nou, lo stadio di Barcellona, domenica pomeriggio, alle 17 e 14 in punto, proprio alla vigilia della partita di calcio tra Barcellona e Real Madrid, gli spalti di quello stadio si sono improvvisamente colorati di drappi giallo-rossi, riflettendo l’effetto scenico di un’immensa “seynera”, la bandiera con i colori della Catalogna e, prima della discesa in campo delle due squadre, gli oltre centomila spettatori hanno intonato l’inno catalano e all’unisono hanno reclamato l’indipendenza per la loro Piccola Patria, senza tentennamenti e senza alcuna defezione.

E il calcio, lo sport più popolare per definizione, in quel momento è servito a fare da cassa di risonanza alla rivendicazione che i catalani ripetono in ogni occasione: INDIPENDENZA.

Tutto un popolo, a Barcellona, ha fatto sentire la sua voce e la sua ardente volontà di staccarsi definitivamente dalla corona di Spagna, e si è servito della diretta televisiva, una platea di oltre 400 milioni di spettatori che ha seguito in mondovisione il “clasico di liga”, il derby tra catalani e madrileni, alla fine un derby tra centralismo statale e indipendenza regionale.

Anche il momento scelto della manifestazione, le ore17e14, non è avvenuto a caso; non avviene niente per caso quando un popolo fiero delle sue origini prende per mano la storia e rivendica la sua autodeterminazione. Si riferiva infatti alla data del 1714, l’anno in cui Barcellona, sconfitta dai Borbone, perdeva la sua indipendenza e veniva occupata dalle truppe di Filippo V. E questo per sottolineare che la storia è sostanza e che tutto si lega e deve forzatamente essere conseguente, i corsi e i ricorsi, come diceva Gian Battista Vico, il buon napoletano.

Indipendenza, ne siamo ormai convinti, resta oggi il cammino forzato delle Piccole Patrie se non vogliono perdersi identità e dignità dell’appartenenza in una società globalizzata che ha messo tutto in comune, perfino le crisi e i debiti, ed ora tenta anche di attaccare i valori e l’autodeterminazione dei popoli.

Indipendenza ormai che, come sarebbe tempo che avvenisse anche in Sicilia, trascende ogni autonomia , pur forte, già ottenuta, in questo caso quella che ha fatto della Catalogna la regione più ricca tra le generalitat spagnole ma che la crisi economica ha messo in ginocchio e, somma iniuria, l’ha costretta oggi a ricorrere all’aiuto dello Stato centrale per poter uscire dall’impasse del debito e della recessione.

E la storia delle piccole patrie è storia comune e presenta molte analogie se, ad esempio, in termini di tasse versate, ammontano a circa 17 miliardi all’anno i soldi che prendono la direzione di Madrid e non tornano più indietro, come avviene in Sicilia, dove le rimesse allo Stato centrale ammontano a ben 63 milioni di euro annuali a fronte dei 45 milioni che rientrano in Sicilia sotto forma di aiuti o quant’altro, ma che stabiliscono la barra dal dare /avere ad un + 18 miliardi annuali a favore dello Stato centrale, con buona pace delle becere dichiarazioni leghiste, di Tosi e di Borghezio, questi si’ , degni testimoni ‘ a contrario” delle teorie naziste elaborate da quel Lombroso pur diventato benemerito e cattedratico dello Stato, suffragate pero’, occorre dirlo, dall’incapacità e dalla voracità di una classe politica siciliana , sempre uguale e dedita solo al proprio tornaconto.
Con una manifestazione molto apparente e seguita urbi et orbe, i catalani ormai oggi non perdono occasione per ripetere la loro rabbia e la loro voglia di indipendenza, dopo aver contribuito a far andare avanti per molti anni le autonomie, anche le meno virtuose come l’Andalusia, e non accettano che dal Centro continuino ad ottenere molto meno di quello che invece versano allo Stato centrale, come avviene peraltro anche per la Sicilia.

Per noi siciliani e’ l’effetto di quel titolo V riformato della Costituzione, quel federalismo Nordista incompiuto, invidioso della nostra Autonomia e fallito peraltro anche nel fallimento di un partito, suo maggiore Pigmalione.

Un federalismo dove la finanza continua ad essere derivata, dove cioè il frutto delle tasse va in gran parte al centro, che poi ridistribuisce le risorse alle varie regioni sulla base delle competenze che queste ultime intendono assumersi o, come nel caso della Regione siciliana, quelle risorse che lo Stato centrale accetta di trasferire alle competenze della Regione, bontà sua, e che ci fa passare come un favore quello che invece è dovuto e ben definito negli articoli dello Statuto siciliano di autonomia.

Così è chiaro che se il frutto maggiore della tassazione ritorna allo Stato, con ritrosia, specie in un momento di recessione e di disamoramento regionale, questo sarà disposto a cedere qualcosa nei confronti dei territori che ritiene comunque ad esso assoggettati e in più’ poco virtuosi.

A fronte di anni di malgoverno, di assoggettamento centralista , tutto nel tradimento dell’Autonomia, questo stato Centrale, certamente colpevole, ma non nella misura in cui lo sono le autorità cui il popolo ha delegato la sua rappresentanza, ha sempre avuto buon gioco nel fare passare la necessità di una riforma o peggio aleggiare lo spettro della cancellazione del nostro Statuto che, a dire il vero, non siamo riusciti ad applicare e che, cosa ancora più’ grave alla luce delle candidature che si disegnano nello scacchiere delle prossime elezioni del 28 ottobre, non saremo capaci di difendere se si profilassero seriamente gli attacchi alla sua integrità.

Nella confusione odierna delle sigle e dei partiti ( e dei personaggi discutibili entrati nel gioco elettorale), la prossima assemblea regionale evoca fantasmi molto preoccupanti e ci fa molta paura nella previsione che, pur se tutti affermino di voler cambiare questa vecchia politica , alla fine tutto rimanga immobile ed immutabile.

E’ un destino scritto nel cromosoma della gente siciliana, certo generosa, ma finora incapace di svegliarsi e, mettendo al bando gli affaristi politici che hanno creato soltanto precariato, recessione, voto di scambio e affarismo partitocratico e centralista, darsi quel colpo di orgoglio che oggi allontanerebbe i fantasmi della cancellazione dello statuto e il pericolo di un’Assemblea regionale sempre uguale nel servilismo sciocco ai partiti romani , propaggini voraci dello Stato centrale che affligge la terra impareggiabile.

Questo lo vediamo nei prodromi delle elezioni e nei personaggi che si offrono alla scelta degli elettori, nessuno, ripetiamo, nessuno di essi capace di interpretare il bisogno di rinnovamento della gente, di dimostrare una reale volontà di cambiamento, di non fare riferimento al mondo decotto della vecchia politica.

Siamo ancora convinti che soltanto un movimento di popolo orgoglioso delle sue origini, convinto delle sue ragioni e libero da ogni laccio che la mala politica gli ha messo al collo, potrà ridare alla Sicilia la possibilità di rinascere e le occasioni di avvenire. Alla luce delle vicende elettorali, oggi in fibrillazione e nella visione di un popolo che non ha ancora capito e si ostina a fare la fila dietro la porta delle segreterie dei candidati, abbiano fondate ragioni di dubitarne fortemente.

Pero’ i popoli più fieri ci hanno mostrato la via da percorrere, nel sogno di un ‘indipendenza che va oltre l’applicazione dell’Autonomia, dimostratasi troppo parziale e insufficiente. Purtroppo tutto resterà ancora nel cassetto delle chimere, insieme alle immagini di quello stadio colorato di bandiere giallorosse dove un popolo fiero ha reclamato la propria dignità e la richiesta di indipendenza per poter crescere ed affrontare le sfide del III° millennio. Purtroppo non è Sicilia, anche se non è poi cosi’ lontano.

eugenio preta