Chi è veramente al timone di comando oggi in Sicilia? di Massimo Costa

Confesso che la cronaca di questi ultimi giorni mi preoccupa non poco. La recente vicenda del MUOS, e poi quella dell’aumento dell’IRPEF, dimostrano – oltre ogni evidenza – che di autonomo nella Sicilia di oggi non è restato proprio nulla.

Con buona pace dell’attuale Presidente (e, a bocce ferme, di qualunque altro inquilino possibile di Palazzo d’Orléans che non voglia “dichiarare guerra” contemporaneamente a Italia, Europa e Stati Uniti, sapendo in partenza di perderla), egli non conta proprio nulla. Non è a Palermo che si decide, ma altrove. Persino il suo Assessore all’Economia, che mette in atto le strategie fiscali dettate da Roma, a sua volta secondo i principi decisi a Francoforte, ha dimostrato di contare ben piú di lui, costretto a piegarsi, a fare una retromarcia quanto meno imbarazzante su di un tema di cosí vitale importanza per l’economia della Sicilia.

Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che il vero fine delle élite bancario-massoniche che hanno preso in pugno la cosa pubblica in tutta (o quasi) l’Europa con un colpo di stato plurimo e con una manipolazione della verità che non ha precedenti nella storia, sia quello di strangolare i popoli, di farli boccheggiare sempre piú, per poi costringerli, presi per fame, a vendere, anzi a svendere tutto: i loro beni, demaniali e non, le loro imprese strategiche, i loro diritti, la loro democrazie, le autonomie, la dignità.

La stretta si fa sempre piú forte e disumana. Fino ad ora c’era un ampio margine tra i “pazzi” anti-sistema e i “banksters” dall’altro, un’ampia zona grigia di “persone per bene”, politici piú o meno bravi che, senza mettere troppo in discussione il sistema, non erano del tutto integrati in esso. E in questa zona grigia c’era senza dubbio anche il nostro Presidente Crocetta, la cui buona fede, le cui buone intenzioni mi sembrano, ancora oggi, al di sopra di ogni sospetto.

Ma quella zona grigia si erode giorno dopo giorno, man mano che il “padrone” tira sempre piú la corda. Alla fine sarà esaurita e non si potrà fare altro che scegliere: o essere rivoluzionari fino in fondo, per davvero, buttando alle ortiche i riti della vecchia politica, dicendo al Popolo come stanno realmente le cose, dicendo loro che la nostra vita e quella dei nostri figli è realmente in pericolo, o passare, armi e bagagli, dalla parte dei servi, di quelli che chinano il capo, di quelli che dicono sempre “signorsì”, fino a fare divorare la propria stessa gente.

Ebbene, Presidente, siamo arrivati al bivio. O conservi il posto, o conservi la dignità. Non c’è piú spazio per le mediazioni. La Regione ha, come tutti gli altri enti pubblici paralizzati dal Fiscal Compact voluto dai banchieri che ci governano, difficoltà a onorare i propri debiti con i fornitori. Lo Stato “finge” di aiutare la Sicilia in questo, ma al contempo la ricatta, dicendo che “in cambio” deve alzare l’IRPEF, così, tanto per creare una bella “fiscalità di svantaggio” che penalizzi la Sicilia rispetto al resto del territorio dello Stato.

Qual è la motivazione di questo ricatto? Sono soldi “prestati” dallo Stato che poi li vuole indietro? A tanto è ridotta la “solidarietà nazionale”? Come con la sciagurata Grecia alla quale la pietà dei paesi fratelli concede solo “prestiti a usura” per non fallire quando già di fatto è fallita? È questa la nuova fratellanza italiana? O non sono prestati? In entrambi casi la “mossa” si giustifica solo con il deliberato disegno del “terrore finanziario”. Se sono prestati cosa interessa all’Italia il modo in cui la Sicilia rimborserà questo prestito? Deve per forza farlo facendo chiudere migliaia di imprese? Ché questo è l’unico effetto certo di un aumento dell’IRPEF.

E se le restituisse prendendole dal maltolto sull’IRPEF che quest’anno lo Stato ci ha “fregato”? E se le prendesse dalle compartecipazioni dovute sulle accise petrolifere mai concesse? E se le prendesse, alla disperata, da una serie di ulteriori tagli alla spesa, anch’essi depressivi, ma mai quanto un aumento generalizzato dell’IRPEF? No, si deve fare proprio “quello”, come con l’IVA, di cui tutti sanno che l’aumento dell’aliquota non potrà piú portare a un aumento bensí a una diminuzione del gettito visti i suoi effetti devastanti. Ma che vogliono fare questi per davvero?

E se invece non fossero prestati, per quale ragione dovremmo alzare le tasse in Sicilia? Così, tanto per essere “rigorosi”? Ma che rigore è mai questo? Gratuito, perché non servirebbe a risanare i conti (il ritardo dei pagamenti pubblici è un fatto finanziario, non economico), così, tanto per il gusto di far male, di far soffrire.

Ricapitoliamo. Lo Stato “fa finta” di voler aiutare un certo numero di imprese siciliane, in crisi di liquidità per ritardi nei pagamenti da parte della Regione (come se lo Stato e l’Europa nulla c’entrassero in questa crisi di liquidità) e, per farlo, fa chiudere tutte le imprese siciliane indistintamente, anche quelle che non hanno crediti dalla Regione. Mossa pazzesca o criminale? A voi la scelta. Ma non finisce qui.

Questa “mossa” è sposata talmente tanto dall’attuale assessore all’economia “forestiero”, da minacciare le dimissioni se non sarà implementata, dicendo che rischia di perdere la sua credibilità. A parte il fatto che, con una strategia del genere la credibilità l’hai persa già da un pezzo, se non con i banchieri criminali, la cosa è talmente enorme che il Presidente Crocetta osa ribellarsi.

Ma, di fronte all’aut aut del potente assessore voluto da Roma – a questo punto direi il “vero” Presidente della Regione – si piega e fa marcia indietro, consapevole di non avere sufficienti armi per aprire un fronte con lo Stato italiano.

Non ci sono altre parole per descrivere questo atteggiamento. È in pratica la stessa cosa del MUOS: vorrei ma non posso!
Ma allora, caro Presidente, se nulla (di sostanziale) puoi, perché non lo denunci ai tuoi cittadini? Perché non dici ai Siciliani che essi, votando, non decidono proprio nulla, perché tutto è deciso altrove, dagli USA a Roma. Che ci mettano un loro governatore coloniale a questo punto, almeno la finiamo con questa finzione. Che passino tutti i poteri al Commissario dello Stato o che nominino Bianchi Alto Commissario governativo per la Sicilia, così la finiamo con questa farsa.

Mi costa questo intervento e forse lo pagherò di persona, ma non si può più tacere. Qualche giorno fa un importante esponente del Megafono mi è venuto a trovare per parlarmi di strategie di attuazione dell’Art. 37. Mi sono permesso di dare qualche suggerimento importante. Ora, dopo questa mia uscita, sono sicuro che non se ne farà più nulla. Ma come potrebbe d’altronde fare qualcosa un Governo che non ha il coraggio di difendere il proprio popolo fino alle estreme conseguenze?

Mi costerà questo intervento: sono sindaco di una società a partecipazione regionale e recentemente avevo dato la mia disponibilità, nell’interesse della Sicilia e non dell’inquilino politico di turno, a svolgere le mie funzioni professionali di revisore in enti in scadenza fra pochi giorni. Ora quasi certamente avrò perso ogni “affidabilità politica” e quindi starò certamente fuori da ogni gioco. Ma chi se ne importa! Io non posso stare a guardare mentre la Sicilia è in vendita al migliore offerente.

Presidente Crocetta, stupiscici, ultima chiamata: licenzia l’assessore nominato dai piddini nazionali e quindi dai banchieri e dichiara aperta la guerra d’indipendenza della Sicilia, di indipendenza da ogni sfruttamento economico, energetico, militare. Avrai tanti ascari nemici, ma starai dalla parte del giusto. La storia ti darà ragione. L’Impero sta crollando: paesi piccoli come l’Ecuador o l’Islanda o la Siria lo stanno sfidando con successo, da punti di vista diversi.

Chissà che la Sicilia non possa essere il prossimo. Siamo alla disperazione. Che dobbiamo aspettare altro? Ormai l’Italia e l’Europa ci hanno dichiarato guerra. Rispondiamo almeno.
Altrimenti sta’ comodo nel mondo legale, del politicamente corretto. La prossima volta non sorprenderti però se a votare andranno il 10 % dei Siciliani, e la prossima volta ancora sarete spazzati tutti via. Non credo che questa corda si possa tirare all’infinito.

Massimo Costa