Le elezioni regionali nella Penisola e la ”terza via” siciliana

Com’è noto si sono appena rinnovati 13 dei 15 consigli
regionali della Penisola Italiana e un altro (quello della Basilicata) si rinnoverà
a breve. Com’è noto nel Paese c’è stato un sostanziale cambiamento
negli equilibri tra gli schieramenti e, se non intervengono fatti nuovi, anche
l’anno prossimo il risultato dovrebbe essere confermato traghettando l’Italia
da una legislatura di centro-destra ad una di centro-sinistra. Cosa
cambia tutto ciò per la Sicilia?

In un certo senso non cambia nulla, a parte alcune anomalie
del “berlusconismo” che finalmente verrebbero rimosse in modo salutare,
e cercheremo di spiegare perché.

Dal dopoguerra agli anni ’90 in Sicilia il voto non cambiava
mai, era come ingessato, a parte una lenta erosione del voto di sinistra che
andava di pari passo con l’inurbazione selvaggia che spopolava i tradizionali
comuni “rossi” e popolava le più moderate metropoli. Era come
se l’elettorato siciliano fosse “drogato” da qualcuno, ed in effetti
lo era, con un consumismo garantito da un assistenzialismo che non aveva pari
in Italia, questo a sua volta “prezzo” da pagare alla Sicilia perché
mettesse da parte i suoi progetti di autonomia sostanziale o di separatismo
e si assimilasse del tutto alla compagine nazionale.

Questo equilibrio si è prima incrinato e poi rotto di
pari passo con le trasformazioni conseguenti alla famosa “caduta del muro
di Berlino” ed all’irrompere della globalizzazione: la Sicilia viene abbandonata
progressivamente a se stessa (è cronaca di questi anni) senza che abbia
più in sé il germe di una autopropulsione che possa garantire
una speranza per il suo Popolo. Senza quasi più identità, senza
tessuto imprenditoriale, senza strutture sociali ed istituzionali stabili, l’Isola
va lentamente alla deriva, le sue imprese chiudono i battenti, i suoi giovani
emigrano, etc.

Di fronte a questo naufragio storico come reagisce il Popolo
Siciliano? Intanto dando segni di progressiva inquietudine attraverso una forte
instabilità elettorale… Il voto di scambio declina (ci sono ben pochi
“favori” da promettere ormai), il voto ideale non decolla,… resta
il voto di protesta, dato all’oppositore di turno con la speranza (segno di
immaturità) che ci faccia tornare al quarantennio felice di “Mamma
Regione”.

Così si spiega in gran parte la ventata “progressista”
degli anni ’90, quando di colpo sindaci e liste cittadine emerse praticamente
dal nulla intercettarono il primo malcontento e diedero il primo scossone al
“pentapartito consociativo” che governava asfitticamente la nostra
Terra.

Quella fu la c.d. Primavera Siciliana, non priva di un genuino
risveglio delle coscienze, ma presto asservita alle nuove maggioranze “nazionali”
che si rivelarono incapaci di dare una risposta alla disperazione siciliana.
Ad un certo punto questa fu più forte del desiderio di moralizzare la
politica e i Siciliani svoltarono a destra, già alla fine degli anni
’90, in maniera ancor più radicale e rapida, fino al 2001, annus horribilis
della sinistra siciliana, anno del “61 a 0” per chi non lo ricorda.

Ovviamente neanche il nuovo padrone ha fatto nulla per la Sicilia
e il malcontento della Sicilia ora comincia a girare in senso opposto. Sull’onda
del risultato nazionale non ci vuole molto a prevedere una stravincita del centro-sinistra
a Catania e altrove e un ricambio alla Regione l’anno prossimo.

Ma ancora una volta i Siciliani si stanno illudendo, questa
volta che gli “avanzi” della Primavera possano garantire qualcosa
in più di un triste Autunno, come prima che l’Uomo della Provvidenza
facesse diventare ricchi anche noi come lo era diventato lui. Si sono ribadite
queste cose perché spesso la memoria appare corta e invece bisogna mantenerla
sempre viva.

Il punto è che bisogna prendere coscienza che la Sicilia,
pur appartenendo alla compagine politica, culturale e statuale italiana, ha
un conflitto permanente di interessi con la Penisola!

Questa è la specialità siciliana!

Non ci sarà mai governo italiano che “spontaneamente”
farà emergere le superbe potenzialità dell’Isola in quanto queste
offuscherebbero quelle del Continente. Valga un esempio per tutti: la Sicilia
ha la dimensione di una media nazione europea e come tale avrebbe bisogno di
un tessuto adeguato di aziende di credito. L’Italia, attraverso il suo istituto
di vigilanza, ha provveduto a distruggere ogni cosa sperando, invano, di poter
combattere la concorrenza straniera. E più l’economia italiana declina,
più duro sarà il “colonialismo interno” nei confronti
della Sicilia per cercare di salvare il salvabile. Per uscire da questa spirale
di sottosviluppo e sfruttamento non c’è che una via: l’Autonomia nell’unità
politica, quella vera, fino al federalismo e oltre, fino alle soglie del confederalismo.

Si dirà: ma la Sicilia non è già autonoma?
No! Non lo è mai stata se non sulla carta, su quella Carta che oggi si
sta cercando di distruggere con una controriforma minimalista. Applichiamo lo
Statuto in modo integrale, ampliamone i confini se necessario e non torniamo
al centralismo che svuoterà la Sicilia di ogni risorsa e di ogni speranza.
Ma – e questo è il punto critico su cui i Siciliani dovrebbero maturare
– solo forze politiche autonome possono fare funzionare un’Autonomia differenziata
come la nostra, così come accade in tutto il mondo nelle Regioni come
la nostra a vocazione e dimensione quasi nazionale.

I partiti nazionali saranno sempre con la testa a Roma o a
Milano, dove pulsa il cuore della nazione, e la Sicilia e troppo grande e troppo
lontana per ricevere sufficiente sangue e ossigeno per poter vivere dignitosamente.

I partiti nazionali, anche i più seri, potranno al più
volere una Sicilia meno corrotta, ma mai segnare una svolta per il nostro Popolo
ormai segnato da due secoli di colonialismo italiano. I partiti siciliani sì,
perché sentiranno la Sicilia come la loro Polis, siano poi essi di destra,
di sinistra, socialisti, liberali, conservatori, nazionalisti, confessionali
o laici,…

Solo questa via potrà dare un senso alla nostra Autonomia
speciale. Questa che noi chiamiamo “terza via siciliana”, per distinguerla
da altre terze vie, ma con la connotazione comune di essere un cuneo tra due
schieramenti che in Italia saranno contrapposti ma che per noi sono in sostanza
equivalenti. Solo se un’avanguardia di Siciliani lungimiranti e coraggiosi (la
vera autonomia richiede coraggio) saprà mandare una delegazione sicilianista,
anzi soltanto “veramente e solamente siciliana”, ai parlamenti nazionale
e regionale, per noi potrà cambiare qualcosa, magari poi negoziando con
gli schieramenti nazionali nel solo interesse della nostra Piccola Patria.

L’Altra Sicilia, associazione di diritto internazionale a tutela
della Sicilia e dei Siciliani “al di qua ed al di là del Faro”,
auspica perciò il formarsi di una terza forza, o di un terzo schieramento
di forze, anche modeste, perché bisogna pur cominciare, realmente indipendente
dai due schieramenti (quindi niente “patti per la sicilia”, “primavere
siciliane” o “nuove sicilie” che, si è visto, non servono
a nulla). Schieramento che, per carità, nulla abbia a che vedere con
le formazioni nordiste di Bossi: il nostro è un Autonomismo vero e storico,
radicato in una nazione antica di millenni e non un gruppo di xenofobi di una
nazione inventata (la Padania), simile perciò ad altri autonomismi (quello
sudtirolese, valdostano, sardo) che non a caso hanno mantenuto la loro equidistanza,
seppure in un accordo strategico col centro-sinistra dettato da condizioni congiunturali.
Già qualche timido segnale ci potrà essere nelle prossime amministrative
di maggio. Se le cose andranno bene, daremo una lezione a tutti quei rappresentanti
in Sicilia di partiti italiani che prima di pensare sono abituati a fare una
telefonata nel Continente.

Né Destra, né Sinistra, né Centro: solo e sempre Sicilia!

Bruxelles, 05/04/2005