Lo smacco di Palermo

L’Unione Europea continua nel suo ostinato programma di sensibilizzazione delle coscienze popolari e, come un vecchio mago superato dai tempi, dal cilindro sfondato di un presente che non riesce ad attirare i popoli, oggi estrae il coniglio magico del titolo di Capitale europea della cultura, un premio spesso inutile con cui una città  viene designata, con un criterio di scelta molto discutibile peraltro, Capitale europea  della Cultura continentale.

Si scatena allora una effettiva guerra dei poveri per la designazione che appare il più delle volte già decisa, dato che il meccanismo di competizione e di selezione  spinge le città competitrici  a confrontarsi su ciò che è maggiormente deficitario in Italia, la programmazione  del futuro,

La scelta per il 2019 è caduta su Matera, la città dei sassi e della civiltà rupestre, un emblematico ritorno alle caverne per l’Unione europea, in attesa di un futuro che a Matera proprio si era fermato negli anni ’60 con il centro di geodesia spaziale un parolone per identificare un vecchio osservatorio lasciatoci dagli americani e trasformato in osservatorio planetario, più semplicemente in un raggio laser che ad orari prestabiliti puntava un satellite americano e che nel suo ritorno misurava lo spostamento della crosta terrestre) o con gli stabilimenti troppo presto abbandonati della zona industriale della valle del Basento, o con l’incuria in cui versano i centri archeologici dell’antica Melfi.

La scelta, come immaginabile, ha riempito d’orgoglio le personalità lucane presenti nelle istituzioni, primo fra tutti l’attuale ministro della giustizia del governo Renzi, Speranza,(di nome e di fatto) o il presidente del gruppo socialista e democratico del Parlamento europeo, Gianni Pittella – famoso su youtube per una sua perorazione in lingua inglese che ancora fa sbellicare dalle risate gli ascoltatori – che hanno ovviamente riconosciuto la saggezza e la perspicacia del comitato di esperti che ha proceduto alla designazione.

Non saremmo pero’ obiettivi se tralasciassimo la delusione che hanno  vissuto gli esclusi, prima fra tutti la città di Palermo e il suo primo cittadino LEOLUCA ORLANDO (CASCIO) *,  “chiddu chi lu sinnacu lu sapi fari”, che per ottenere quell’alloro tanto avevano operato e sperato. E Palermo è diventata paradigma di una situazione di degrado tutta isolana su cui aleggiano solo le ombre di un grande passato e le incertezze di un futuro, con gli incubi sempre presenti della perenne Diaspora, la fuga di giovani e anziani verso i nord lontani, ora non più Milano o Torino, ma Germania o Australia.

Tommasi di Lampedusa scriveva solo nel 1958 il suo Gattopardo, romanzo conosciuto dal grosso pubblico, più che per lettura del libro, per la versione cinematografica elaborata da Luchino Visconti nel 63, ma quella prosopopea descritta così mirabilmente era ed è diventata peculiarità del siciliano, imbevuto di vecchi monumenti a cui non ha minimamente contribuito e assetato di futuro che attende come qualcosa di dovuto e meritato.

In realtà, il risveglio del “sinnacu Ollando” dopo l’esclusione della città di Palermo dalla corsa a capitale della cultura non deve essere stato troppo brusco, né per lui, né per gli ottimi 10 peroratori della causa palermitana, come Moni Ovadia o Mimmo Cuticchio o l’ assessore Giambrone, viste le condizioni effettive  in cui versa la città.

Una città che ha abbandonato il centro storico, che vive l’illusione delle isole pedonali dove regnano solo micro-criminalità e pericoli, strozzata dal traffico caotico ma più dalla rete di norme e regolamenti che impediscono di sviluppare seriamente progetti imprenditoriali che servano a creare occupazione, impedire così la fuga dei giovani, palazzi fatiscenti e vetrine  dove una volta si esibivano le griffe della moda e che ora presentano  negozi abbandonati o peggio botteghe  vendo-oro che spuntano come funghi anche nelle zone residenziali.

I palermitani, una volta eleganti e dissacranti, sono stati sostituiti da schiere di extracomunitari che di notte si trasferiscono negli androni dei palazzi nobiliari abbandonati dai vecchi abitanti che ormai pensano solo a lasciare Palermo e trasferirsi  nella provincia rivierasca  per ritrovare una vecchiaia almeno più sicura.

Certo ci sono le illusioni della movida, delle manifestazioni come il gay pride, fiore all’occhiello di questa amministrazione comunale o della risalita della squadra di calcio nella massima serie, illusioni che hanno forse creato la speranza di venire scelti come il regalo del luna park, ma la realtà è data dalle conseguenze delle scelte della  nuova politica nazionale che ha ridotto quei finanziamenti nazionali che in effetti erano  serviti solo ad aumentare malgoverno e corruzione, incrementare il precariato delle assunzioni clientelari conseguenti al voto di scambio che ha creato una classe politica inefficace, un comparto servizi per forza di cose inefficiente, ha sviluppato l’anarchia amministrativa, con nomine fuori controllo, debiti fuori bilancio per i quali mai nessuno sarà chiamato a rendere conto, società partecipate che nominano amici e parenti senza curarsi minimamente di appurare l’effettiva capacità di svolgere un determinato compito.

Metafora di una Sicilia che non sa guardare al futuro e che si ostina a spacciare il proprio passato come moneta valida per il futuro,  Palermo capitale dorme e non vuole risvegliarsi, vuole  proporsi nel proscenio mondiale  con boria ed arroganza ma ha perso il polso del tempo.

Come la Sicilia tutta, Palermo non è riuscita a rendersi conto  della fine dell’epoca dei viceré, ha portato alla vetta delle sue istituzioni politici decotti e fuori tempo, vive il suo  futuro nel ricordo becero di un passato che brilla nell’assemblea regionale e negli stipendi degni di un vero paese arabo, senza programmazione a lungo termine e vivendo alla giornata corre veloce verso l’inevitabile fallimento.

Mentre si agitano già i popoli che hanno preso coscienza del proprio futuro, Palermo, come le città e i paesi della Sicilia tutta, evocano strani fantasmi e il loro  avvenire attira  più della cornice spezzata del loro quotidiano avvilente e delle gare inutili  promosse da questa ‘Europa che ormai sa solo  blandire e illudere.

eugenio preta 

* vi siete chiesti come mai l’onorevole Leoluca Orlando (Cascio), noto professionista dell’antimafia, amputasse il suo nome in Leoluca Orlando e basta??

Una spiegazione la diede quasi 20 anni fa l’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga ad una trasmissione di Giuliano Ferrara: nella prima relazione di Minoranza della Commissione Antimafia degli anni ’70, firmata dalla vittima della mafia, onorevole Pio La Torre, ammazzato dalla mafia nel 1982, il padre dell’onorevole Leoluca Orlando (Cascio), celebre notabile DC, era definito il collegamento tra i politici e le famiglie mafiose palermitane nel dopoguerra. (…) pensiamo pero’ che sia giusto dare a Cesare ciò che è di Cesare ed a Leoluca cio’ che è suo, fin dalla nascita, il suo cognome completo: Leoluca Orlando CASCIO.