Il Commissario dello Stato non esiste più. Gioiamo? Sì, ma non troppo

Il Commissario dello Stato non esiste più. E con lui se ne va il controllo preventivo, da parte dello Stato, su tutta la legislazione siciliana. Quel controllo preventivo che, ormai, aveva degradato la Sicilia nell’unico caso al mondo di Autonomia differenziata al contrario, cioè minore rispetto a quella delle regioni a statuto ordinario.

Sotto questo aspetto è un vantaggio che se ne sia andato, per molti motivi.

Primo, perché finisce l’alibi di una classe politica irresponsabile, che legiferava male, sapendo che poi interveniva il Commissario ad aggiustare le peggiori porcherie;

Secondo, perché finisce lo scandalo dell’inefficacia della legislazione regionale, dell’autocensura dei Presidenti, che non promulgavano le parti impugnate senza neanche aspettare che si arrivasse a sentenza, per paura della responsabilità patrimoniale; terzo, soprattutto, perché tutti i documenti di programmazione finanziaria erano soggetti all’approvazione preventiva del Commissario, cioè di Roma. Bella forza avere attribuita dall’art. 36 persino la potestà tributaria attiva, e poi doverla concordare con… Roma, cioè con la propria controparte naturale.

Tutto bene allora?
Secondo me no, e non prendetemi per un bastian contrario. La Corte Costituzionale si dimostra come sempre un organismo centrale, sbilanciato e fazioso nei confronti della Regione.

Potevano, e dovevano, abolire solo il controllo preventivo, estendendo alla Sicilia quello consuntivo, perché non restassimo sotto le altre regioni a statuto ordinario, quanto ad autonomia. E invece hanno soppresso persino il Commissario dello Stato, che era disciplinato e istituito MALE, in quanto non era affatto garanzia di imparzialità, ma che comunque, almeno in teoria, era “terzo”, e quindi aveva la facoltà di decidere in Autonomia, e non dietro indicazioni del Governo della Repubblica, se impugnare o meno la legislazione regionale (e anche quella nazionale, checché ne dica la solita giurisprudenza autoreferente e incompetente della Corte Costituzionale). La sentenza della Corte avrebbe potuto e dovuto salvare il Commissario, lasciandogli la competenza ad impugnare (PERCHE’ PIU’ FAVOREVOLE RISPETTO ALLE ALTRE REGIONI) e togliendo solo l’impugnativa preventiva, e quindi estendendo la procedura delle regioni ordinarie solo su questo punto.

Invece ha colto l’occasione per dare un’altra picconata, l’ultima, all’istituto dell’Alta Corte, ribadendo tutta la propria precedente giurisprudenza abrogativa (a dir poco scandalosa, in quanto del tutto ultra legem) su questa materia. E che c’era da aspettarsi da queste persone?

Non festeggiamo perché si dice che il Commissario è legato all’Alta corte, Il retropensiero è esattamente l’opposto: “vi togliamo il Commissario perché l’Alta Corte non c’è più, e non mettetevi in testa che la faremo riaprire mai!”.
Il problema, come al solito, è politico non giurisdizionale. Illegittima l’abrogazione dell’Alta Corte, illegittima la soppressione del Commissario. Più difficile però, dopo questa sentenza, riproporne la ricostituzione, a meno di non intervenire con una legge costituzionale di interpretazione autentica che metta a tacere questa indegna giurisprudenza. Una legge costituzionale che ribadisca le competenze speciali dell’Alta Corte, che istituisca un Commissario dello Stato tratto dalla magistratura, e non dalla carriera prefettizia, con un mandato lungo e con caratteri di indipendenza. Ovvero, il che sarebbe anche meglio, attribuendone le funzioni direttamente al Procuratore presso l’Alta Corte, che non avrebbe alcun limite di competenze professionali nello svolgere questa funzione. Ovviamente mantenendo sempre il controllo consuntivo che è più favorevole. Ma non di certo con questa classe politica.
Oggi, nella sostanza, siamo un po’ meno colonia, e coi tempi che corrono non è male, ma nel principio l’Autonomia ha ricevuto un altro colpo di piccone, l’ennesimo.

Per me ora anche il Commissario, come l’Alta Corte, giace sepolto vivo. Speriamo che, prendendoci gusto, non seppelliscano vivi tutti noi.

La sentenza ABROGA ESPLICITAMENTE QUATTRO ARTICOLI DELLO STATUTO (27, 28, 29 e 30). Festeggiamo?
Rinviamo i festeggiamenti a migliore occasione.

Antonella Pititto