Dell’amicizia

Addentavamo il futuro quando sorbivamo il caffè’ presso il ristorante di piazza Venezia, sotto il tuo ufficio che, periodicamente, diventava punto d’appoggio dei “buddaci ” che passavano da Roma, con grande tripudio dei tuoi colleghi che si vedevano invasi di borsoni e trolley. Tentavi ancora di trascinarmi nei tuoi progetti finanziari o nei tuoi piani fondiari, convinti, tutti e due, che un tempo lunghissimo ancora ci appartenesse.
Aspiravi quelle maledette sigarette e sorridevi delle mie perplessità, della mia mancanza di fiducia, un vero errore nei tuoi confronti.
Veramente avevi riscattato la casa dei tuoi genitori comprando la parte di tuo fratello preside a Torino, poco convinto di quella casa, e lo avevi fatto perché eri legato a quella dimora e, dicevi, non si può vendere la casa della memoria e degli affetti.
Avevi addobbato una gioiosa villetta a Saiatine, piena di sole, di mare, e di ceramiche dei tuoi amici di santo Stefano, ma il tuo gioiello restava quel baglio che trovasti a Filicudi, sospeso tra terra e cielo e dove non arrivava neanche la tua Ape pulmino, scintillante e cromata, e dove immaginavi di trascinarmi, chissà, dividendo un pezzo di terra o un rudere da ristrutturare. Niente, non mi hai convinto.
Nel fumo della tua sigaretta restava sempre l’amarezza per un’amicizia tradita, rinnegata, e sapevo che ne soffrivi tanto che ne parlavi, stranamente per te, in modo sconsolato. Questo amico era diventato famoso e si era negato al telefono anche se riuscivi a comprare i libri che ora scriveva cercando di scoprire un particolare che riportava a storie condivise. Niente.
Ti confesso che mi sono sforzato di chiamarlo al telefono e che, solo per un attimo, è rimasto turbato. Poi la vanagloria aveva ricominciato il suo corso relegando, spero, quella lacrima fuggente nel successo di una vita tutta ancora da scoprire. Niente, Ivan, mi sono detto, non avevi perso niente…
Adesso, il prossimo 15 gennaio, saranno 5 gli anni della tua scomparsa. Il tempo scorre lento ed inesorabile e sfila giorno dopo giorno quei brandelli di progetti che ancora, con Francesco Paolo,
portiamo avanti, disillusi e sognanti.
Mi barcameno tra Lussemburgo, dove mi trascinasti in cerca di lavoro, e la Provenza dove Jackie ha comprato un casale, giro per paesi e campagne e sempre penso a quello che avresti detto tu, qua è là, a quante risate ci saremmo fatti, quanti sfotto’ ci saremmo inventati cercando quei vini che tastavi con voluttà anche nelle sperdute taverne, pronto a rimandarli indietro se c’era qualcosa di strano.
Il tempo, dicevamo, non lascia repliche, non si ripete, continua il suo tragitto stabilito e non deflette dai fastidi che lo accompagnano, la memoria, i ricordi le sensazioni che restano nelle fotografie che non ci somigliano più, nelle camicie che non riusciamo più a chiudere sul collo, nello specchio che riflette oggi un vecchio signore con capelli bianchi e spesse lenti bifocali per non perdersi in una realtà che smarrisce per ritrovare solo quando gli conviene.
A te questo è stato evitato. Con fatica, lo so, ti sei staccato da moglie e soprattutto Igor e Valeria, i tuoi amati figlioli che ora sono dovuti tornare in questo Nord da cui intendevi cautelarli per ricercare, come avevamo fatto noi, occasioni di lavoro, una come architetto paesaggista a Lussemburgo e l’altro come ingegnere meccanico a Bruxelles e, ti assicuro, ti fanno onore là dove il tuo battello, ti porta oggi a navigare, senza più, ne sono sicuro , scambiare Capo Milazzo con la punta di Filicudi….
Eugenio Preta