Il Risorgimento nel Sud: fu vera gloria? Gramsci nutriva molti dubbi

Uno dei padri nobili della sinistra italiana – che la storia del nostro paese la conosceva bene – già nei primi anni del ‘900 metteva in discussione tutti i luoghi comuni sulla ‘presunta’ unificazione italiana del 1860. L’occasione, oggi, per riaprire il dibattito su questo tema spinoso.

 Nel contesto di quelle che, qualche tempo addietro, furono le manifestazioni celebrative del 150° anniversario dell’Unità d’Italia e della impresa dei Mille tra ricordi, polemiche e  trionfalismi sarebbe stato opportuno in quel contesto ricordare quel  che del risorgimento e dell’impresa dei Mille pensava e scriveva un grande intellettuale di sinistra del secolo scorso come Antonio Gramsci, che certo non si può tacciare di derive separatiste, antiunitarie o filo borboniche. Gramsci nel suo autorevole e lucido saggio intitolato, appunto, “Sul risorgimento” definisce la spedizione dei Mille una “radunata rivoluzionaria” che fu resa solo possibile per due motivi. Primo: Garibaldi s’innestava nelle forze statali piemontesi. Secondo: le imbarcazioni dello stesso Garibaldi vennero protette dalla flotta inglese che consentì lo sbarco di Marsala e la presa di Palermo, sterilizzando la flotta borbonica.
Gramsci, in buona sostanza, nel suo autorevole saggio sul risorgimento, non faceva altro che delegittimare la “gloriosa” spedizione garibaldina evidenziando che non fu altro che una grande mistificazione storica. E fu con questa radunata rivoluzionaria – che Gramsci chiama “rivoluzione passiva” o, meglio ancora, “rivoluzione-restaurazione” – che trionfò la logica gattopardiana che tutto avvenne perché nulla cambiasse. Una “rivoluzione-restaurazione” che fa dire allo scrittore e all’uomo politico sardo che, nel suo contesto, il popolo ebbe un ruolo molto marginale, anzi subalterno, così che il risorgimento si caratterizzò come “conquista regia” e non come movimento popolare, perché appunto mancava al popolo una coscienza nazionale.
In questo vuoto di coscienza nazionale e nella estraneità del popolo al moto unitario fu così possibile ai moderati cavourriani dirigere il processo di unificazione e modellarlo  ai propri fini e ai propri interessi in chiave antimeridionalista e a tutela degli interessi del Nord, cosa che dura sino ai nostri giorni, con la creazione di un nuovo Stato che di questi fini e di questi interessi ne fu portatore. Con la “ rivoluzione-restaurazione” il Piemonte assume una funzione di “dominio” e non di dirigenza reale e democratica di un processo di rinnovamento che in effetti non ci fu. Si passò, nelle regioni meridionali, dall’assolutismo paternalistico borbonico al costituzionalismo repressivo piemontese. “Dittatura senza egemonia”, opportunamente la definisce ancora Gramsci, che fece pagare al Sud e alla Sicilia, sotto tutti i punti di vista – repressivi ed economici – il prezzo più alto. E a proposito delle repressioni  e degli eccidi operati dai piemontesi nel Mezzogiorno subito dopo l’Unità d’Italia – eccidi passati impropriamente alla storia sotto il nome di lotta al brigantaggio, mentre in effetti si trattò di una vera e propri guerra civile, di lotta partigiana e contadina – ancora una volta  Gramsci, nel 1920, in un suo puntuale articolo su “Ordine Nuovo” così ebbe a scrivere: “Lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole squartando, fucilando e seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare chiamandoli briganti”.
Per questo crediamo che, per una obiettiva rivisitazione storica degli avvenimenti, dei vizi d’origine e delle cause di debolezza che portarono a una mal digerita e mai metabolizzata Unità d’Italia sia oggi più che mai opportuna un’attenta rilettura degli scritti di  Gramsci e di tanti altri autori su tale argomento, perché al di là di celebrazioni retoriche e trionfalistiche, per rispetto della verità storica siano consentiti a ognuno di noi e ad alcuni storici significativi e doverosi momenti di riflessione. In tal senso vanno riletti gli scritti di tanti storici ed economisti quali  tra gli altri Giorgio De Sivo, Francesco Saverio Nitti, Gaetano Salvemini, Carlo Alianello, Nicola Zitara, Gigi Di Fiore, Lucy Riall, Michele Topa, Lorenzo Del Boca e Pino Aprile. Scrittori che, nel corso del tempo, arrivando ai nostri giorni, si sono cimentati nel ricostruire, in un processo di  revisionismo storico quelle verità che purtroppo ci sono state per lungo tempo negate dagli storici di regime.
Ripercorrere la storia attraverso queste riletture e ribadire, a differenza da quanto propinatoci dalle storiografie e dalle iconografie risorgimentali ufficiali, che il processo unitario si è realizzato sulla pelle e con il contributo delle genti del Sud, che Garibaldi non è stato un eroe, che Vittorio Emanuele II non fu affatto il re galantuomo riportato enfaticamente sui libri di storia e che i piemontesi non furono tanto liberatori quanto conquistatori e massacratori delle popolazioni del Sud. E che la “questione  meridionale” è sorta con l’occupazione “manu militari” del Mezzogiorno d’Italia. Contro questa cultura storica negazionista serve un atto di verità. Oggi bisogna rendere giustizia alle popolazioni meridionali e alla Sicilia che al processo unitario hanno sempre dato il proprio peculiare contributo. Crediamo sia opportuno per questo e su questi argomenti  aprire, a partire da ora, una puntuale  riflessione ed un approfondito  dibattito su temi storici che, da sempre, ci sono stati negati dalla storiografia ufficiale e scolastica, al fine di ripercorrere la vera storia della nostra terra e, se ce ne sarà data l’occasione, ‘La Voce di New’, nel prosieguo potrà essere una buona palestra storico- culturale di discussione.

Ignazio Coppola