Sorpresa: all’Expo di Milano va in scena il Made in Italy agroalimentare contraffatto…

L’Expo 2015 avrebbe dovuto essere, almeno secondo gli ideatori, una vetrina soprattutto per le aziende italiane. Una dimostrazione dell’estro e dell’originalità delle imprese nazionali. Il problema è che, in barba agli accordi internazionali in materia di originalità e di nazionalità di un prodotto, è proprio l’originalità di buon parte dei prodotti venduti nel mondo come “italiani” a non essere affatto garantita. E proprio sui prodotti agroalimentari.

Secondo uno studio di Coldiretti, in almeno un quarto dei Paesi che espongono i propri prodotti all’Expo 2015 vengono regolarmente realizzati e venduti prodotti alimentari che imitano (più o meno apertamente) prodotti Made in Italy. Prodotti come la salsa “ligure” prodotta in Tailandia o la SauceMaffia prodotta in Belgio fino al kit per produrre artigianalmente, magari a casa propria, il Parmigiano Reggiano. E la lista continua: Parma cheese prodotto e venduto in Canada, tortelloni con la polenta realizzati in Austria e prosciutto San Daniele del Canada.

Secondo Coldiretti, il patrimonio culturale italiano non è fatto solo di monumenti: “Ad essere sfregiato nel mondo è anche il Made in Italy alimentare, dallo sfruttamento di antipatici stereotipi per fare marketing sulla pelle degli italiani alle maldestre rivisitazioni di antiche ricette, dalla ridicolizzazione di storici processi produttivi ai nomi storpiati, dalla banalizzazione delle denominazioni fino ai piatti tricolore inventati di sana pianta”, ha detto il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.

Un elenco, quello delle violazioni e delle copie del Made in Italy, più o meno pacchiane, che sembra non finire mai: si va dal bordolino bianco, tipico vino italiano prodotto in Argentina, al Parma Salami Genova prodotto in Messico, dal barbera bianco fatto in Romania alla “pomarola” che viene dal Brasile fino al Prosecco e Parmesan fatti in Russia (e venduti con tanto di etichetta in caratteri cirillici).

Prodotti che, spesso, vengono commercializzati in tutti i Paesi del mondo con una tracotanza che rasenta l’inverosimile: alcuni Paesi hanno pensato addirittura di esporli nei loro padiglioni dell’Expo 2015 dove negli stand stranieri sono comparsi prodotti con scritte come Prego “Italian Style” o “Original Italian Recipe” o “Perfect italiano”. Il tutto senza che né gli accordi internazionali, né le autorità competenti né le aziende danneggiate possano fare molto per fermare questi attacchi.

Secondo Coldiretti, solo negli Stati Uniti il 99 per cento dei formaggi di tipo italiano è realizzato in California, Wisconsin e nello Stato di New York. E i loro nomi richiamano esplicitamente prodotti nazionali come Mozzarella, Ricotta, Provolone, Asiago, Pecorino Romano, Grana Padano o Gorgonzola.

Un sistema (non si tratta di casi isolati, ma di una prassi usuale e comune a moltissime aziende) che, anche grazie alla liberalizzazione degli scambi e all’apertura delle frontiere, comporta un danno per le aziende italiane che Roberto Moncalvo ha calcolato in oltre 60 miliardi di euro (e trecentomila posti di lavoro). Frodi e falsificazioni che, spesso, non si limitano alla contraffazione del marchio, ma vanno oltre, fino a mettere seriamente in dubbio la sicurezza di questi alimenti. E tutto questo mentre l’Unione Europea impone all’Italia di produrre formaggi con il latte in polvere (ma non proferisce parola sulla contraffazione dei prodotti tipici nazionali nel mondo)…

C. Alessandro Mauceri