Rapporto SVIMEZ: l’Italia si sta mangiando il Sud e le isole: ma perché non ce ne andiamo?

Che noia questi rapporti SVIMEZ, se non fossero semplicemente tragici! Che noia i commenti scontati e la canea retorica sul recupero del Mezzogiorno e sull’incapacità di spesa delle classi dirigenti meridionali! Ma che dice in fondo questo rapporto SVIMEZ? Dice che il Mezzogiorno è in una fase terminale della sua lunga vita, sia come economia, sia come società. I dati sono lì, più tragici ancora che mai. Nascite meno che all’Unità d’Italia, occupati andati indietro di 40 anni, crollo economico in una crisi infinita al confronto della quale la Grecia … va benino! E in questa tragedia la Sicilia detiene la palma del poco invidiabile primato della povertà e della disperazione.
È come se in Sicilia fosse in atto una guerra, di quelle con bombe, devastazioni, stragi. Ma questa guerra è surreale: uccide, strangola tutto, ma è silenziosa. Nessun boato nell’aria e nemmeno sui giornali. Se ne parla giusto oggi, perché c’è questo rapporto. Si dovrebbe mettere al centro dell’agenda politica “nazionale”. E invece da domani i problemi saranno i soliti: le finte promesse di sgravi fiscali del Governo, gli inciuci dei verdiniani, o – per restare in Sicilia – le “grandi manovre al centro”. Capirai… Ma per andare al centro di un’agenda nazionale ci vuole una Nazione, l’Italia, che alla conta dei fatti non c’è, non c’è mai stata.
Ecco, signori, amici siciliani, sardi e italiani meridionali. L’Italia non esiste! Cosa deve succedere ancora perché voi lo capiate finalmente? Al diavolo gli azzurri e la Formula 1! Al diavolo Foscolo, Leopardi e Manzoni! Che ci mettiamo nella pignata? Questi dati certificano niente più niente meno che il fallimento totale dell’unità d’Italia. Un’unità nata con la truffa e finita in tragedia. L’Unione Europea ha soltanto accelerato questo processo facendo venire a galla tutte le contraddizioni di questo falso Paese. L’Europa taglieggia l’Italia, la schiavizza agli ordini del grande capitale e dell’industria tedesca. Il governo italiano ubbidisce supino, ma cerca di salvare quel che può scaricando il peso dei sacrifici sulle regioni più deboli, e, fra queste, soprattutto sulla Sicilia, ormai additata all’odio collettivo nazionale, quasi che la vittima portasse la responsabilità del proprio carnefice.
Non voglio dire cosa penso dei tanti siciliani a Roma. Rischio vilipendi e querele varie. Ognuno ne tragga le proprie conclusioni, quanto meno sulla pochezza, a non voler dire altro, delle nostre classi dirigenti. Andiamo oltre, per carità. Andiamo oltre e guardiamo al futuro, non piangiamoci addosso. Che fare?
Cambiamo apparentemente argomento. Ieri sera, in TV, ho visto due “corifei” del nuovo ordine europeo/mondiale, Prodi e Mieli, che su alcune questiuncule secondarie discettavano sullo 0,1 % di differenza sui punti di vista, mentre erano d’accordo – e come potevano non esserlo? – sul restante 99,9. Che rabbia vederli seduti lì, a pontificare sulle macerie che quelli come loro hanno voluto, causato, e di cui – a sentirli – sono tutto sommato soddisfatti. Che sguardo serafico, di chi ha avuto sin dalla nascita il “culetto al calduccio” e ora, un po’ in imbarazzo, un po’ non sa che fare ma… fa spallucce.
Mieli dice che l’Italia, come l’Europa, ormai è irreversibile, che ci vuoi fare? Al caffè si può parlare di uscire dall’Europa, del fatto che il Regno delle Due Sicilie non era poi così distante dal Lombardo-Veneto (cito parole sue), però messi alle strette “neanche i greci” (sottinteso che ne avrebbero avuto tutto l’interesse) sono voluti uscire dalla trappola. La teoria di Mieli è che… non c’è niente da fare.
L’Italia si deve rassegnare ad essere violentata dalla Germania, e i Meridionali si devono rassegnare ad essere violentati dai Settentrionali. È la vita, il mondo è fatto a scale, c’è chi scende e c’è chi sale. E per i perdenti la storia è finita. Siamo alla fine della storia, bellezze, che ci vuoi fare? Prodi, invece, si smarcava dicendo che no, non era questa l’Europa che lui voleva, che ai suoi tempi l’Italia contava, eccome, ma che poi le cose hanno preso una brutta piega. Sottintendeva (alla Tsipras? ma per favore…) che “un’altra Europa” è possibile. Ma tutti è due erano convinti, convintissimi, che ci vuole più integrazione, più cessione di sovranità. Che la medicina che ci ha fatto male, sarà anche cattiva, ma ne dobbiamo assumere a dosi sempre più forti. Loro, con il “culetto al caldo”. Ma che ne sanno loro? Ma che ne sanno della disperazione di un giovane che ha terminato il proprio percorso di studi e trova tutte le strade chiuse? Che ne sanno loro della disperazione di un imprenditore costretto a chiudere a 50 anni? Che ne sanno loro del pensionato che non si cura perché non ha i soldi per le medicine? Il vero fatto è che a questa gente qua, appartenente alla “razza padrona”, non gliene importa una mazza, cattolici o laici che siano.
Torniamo a noi. L’unione, che sia italiana o europea, fa sempre bene? L’unione è davvero irreversibile? È proprio vero che quando si uniscono le monete non c’è più niente da fare, sennò è peggio di peggio di peggio? Cari lettori, sono falsità. E non perché lo dico io, lo dice la storia. La storia è piena di unioni monetarie e politiche naufragate, di imperi che crollano e che si sfaldano. Di sogni infranti, e di popoli che, armati soltanto dalla loro disperazione, prendono il fucile e cacciano gli invasori. Questo ci dice la storia.
L’unione fa sempre bene? Grande è sempre bello? Perché mai la piccola Olanda avrebbe fatto una rivoluzione mercantile mentre il grande impero zarista o cinese erano rimasti indietro? Sono più felici i Cinesi della grande Cina o della piccola Singapore? Come si spiega l’esistenza e la prosperità di piccoli Stati mediterranei come Malta o Cipro, almeno fino a che non sono entrati nell’Unione Europea? Solo l’ignoranza può salvare l’insalvabile.
Un caro amico mio, dello stesso movimento di cui faccio parte, dice che la Sicilia non può uscire dall’Europa, perché la Sicilia è l’Europa. Sono d’accordo con lui al 100%. Uscire dall’Unione non significa uscire dall’Europa. L’Europa è un fatto storico, culturale, inamovibile, che in Grecia e in Sicilia trova le proprie radici. Ma l’Unione Europea non ce l’ha lasciata il Padreterno, e così l’Italia. Sono queste oggi le nostre catene. Se non vogliamo morire, al di là di tutti i compromessi tattici che si possono adottare nel breve termine, il sogno dev’essere la libertà, la piena indipendenza. Senza se e senza ma.
Se vogliamo spezzare la spirale della povertà in Sicilia (non parlatemi del Sud continentale, almeno per ora, quando eravamo uniti tentarono anche loro per una quarantina d’anni, senza successo, di trattare la Sicilia più o meno come oggi ci tratta l’Italia), dobbiamo rimuovere le sanguisughe che oggi le tolgono ogni energia.
Oggi la Sicilia regala le proprie risorse finanziarie allo Stato italiano. È notizia di oggi che i Comuni del Trapanese, saccheggiati dallo Stato, non riescono ad adempiere alle obbligazioni verso Ryanair, rischiando di perdere una convenzione che ha portato in Sicilia turisti, reddito e occupazione. E di questi esempi ne potremmo fare infiniti.
Oggi la Sicilia fa prendere le proprie decisioni a Roma o a Bruxelles, in maniera sistematicamente contraria ai nostri interessi nazionali, dalle dimensioni della vongola, che dev’essere quella nordica, ai porti che, dipendendo da Roma e non avendo un nostro ministero della marina mercantile, non potranno mai integrarsi bene con quelli del Mediterraneo, e quindi facendo andar persa la propria vocazione territoriale.
Oggi la Sicilia regala all’Italia, all’Europa e alla Nato, la propria posizione geografica, lasciando passare le infrastrutture energetiche, di comunicazione elettronica, consentendo le installazioni militari, senza lucrare un centesimo da questa posizione di monopolio.

 Oggi la Sicilia lascia che lo Stato italiano, soprattutto per mezzo di una Regione siciliana succube e complice, chiuda le scuole, gli ospedali, le Camere di Commercio e gli uffici giudiziari. Sotto il pretesto dell’Accorpamento, e della Spending Review, lo Stato dominatore priva la Sicilia delle elementari infrastrutture immateriali (non parliamo neanche di strade e ferrovie, porti e aeroporti) necessarie tanto a qualunque tipo di insediamento economico, quanto al vivere civile.
Oggi la Sicilia regala i propri prodotti energetici, che le consentirebbero una piena autosufficienza, in cambio di un pugno di mosche. Oggi la Sicilia subisce normative europee, e fra poco “euro-atlantiche”, che uccidono il prodotto agricolo ed agroalimentare di qualità isolano, che ci fanno mangiare porcherie, come la mozzarella senza latte, o l’olio extravergine d’oliva con l’1 % di olio, o le merendine piene del mortale olio di palma che ammanniamo a noi stessi e ai nostri figli ignari.
Oggi la Sicilia è assaltata da tutti i poveri del mondo, solo perché “porta d’Italia e d’Europa”. Ma l’Italia e l’Europa poi vorrebbero lasciare i reietti in Sicilia, trasformandola in un grande campo di concentramento. Oggi la Sicilia non può ritagliarsi una politica dei redditi, una politica fiscale su misura della propria economia, perché… così si distorce la libera concorrenza. E di libera concorrenza si deve morire.
Oggi la Sicilia non ha banche, né moneta propria: prende a usura dall’esterno il denaro che le serve per le transazioni interne. Ma, se le cose si metteranno male, per le banche, pagheranno i correntisti con i loro soldi. Perché? Ma semplice: “Ce lo chiede l’Europa”!
Ma siamo cittadini italiani ed europei, vuoi mettere? Sì, ma quand’è che l’Italia si ricorda di noi? Solo per farci tagliare servizi e portarsi a casa risorse? Quand’è che abbiamo sentito la voce dell’Europa? Io la ricordo solo per i “diritti delle nuove famiglie”, che a quanto pare chissà perché sono in cima all’agenda. E le “vecchie” famiglie? Di quelle qualcuno si preoccupa in Europa? No, non pervenuto. Devono chiudere, come le aziende private e pubbliche.
Ecco, questa Italia e questa Europa, vogliono soltanto la nostra morte. Queste, non quelle che abbiamo in testa nel nostro privatissimo mondo dei sogni. E noi che facciamo? Diciamo che “non c’è niente da fare”? Che ci vuole “più cessione di sovranità”? Noi abbiamo una scelta sola: uscire dall’Italia e dalla UE. E di corsa. Con le buone, ma anche con le cattive se sarà necessario. Con gli USA parleremo, li tranquillizzeremo. Siamo amici. La nostra Comunità USA, che saluto, è numerosa, solida e ben rappresentata. I nostri legami sono solidi e storici. Se non interferiscono nelle nostre scelte interne, se non ci organizzano “rivoluzioni colorate”, se non vogliono metterci a tutti i costi un’installazione radar che ci fa morire a fuoco lento, possiamo essere anche alleati strategici, ma con pari dignità. Altrimenti, pazienza, il mondo è grande…
Se non capiamo che l’indipendentismo è una cosa seria, allora è meglio stare in silenzio e guardare lo sfacelo. Vogliamo invertire i dati SVIMEZ? Ci  vuole indipendenza, le altre sono solo false flag! Sì, anche la foglia di fico della “lotta alla corruzione/mafia/sprechi”: bah, armi di distrazione di massa per dividerci, ingannarci e perderci. E non solo indipendenza da “salotto”: indipendenza politica, energetica, legislativa, fiscale, finanziaria, monetaria e alimentare. Faranno terrorismo? Mah! Se l’alternativa è questa agonia, non credo che avrà tanta presa. Alla fine vinceremo! I Greci si sono piegati? Codardi!
Noi potremmo anche non farlo. D’altronde, siamo messi peggio di loro, peggio di tutti. La Sicilia è la pietra che, sfilata dalla UE, farà cadere il grande castello di carte euro-massonico.
Massimo Costa