La vera ragione delle sanzioni previste dall’UE per la Polonia

La Polonia, come tanti Paesi dell’Europa centro-orientale, per intenderci, i Paesi di Visegrad, viene messa all’indice dalla Commissione europea perché, con il suo governo conservatore – giudicato addirittura estremista e populista dalla vulgata europea – resiste ferocemente all’invasione programmata del territorio europeo, attua una seria opposizione alle politiche comunitarie – che vorrebbero privarlo della sovranità propria dello stato nazione – e lotta per mantenere saldi i valori e le tradizioni che le appartengono. Tutti elementi che hanno scatenato p la reazione della Commissione europea (non ci stanchiamo di denunziarne la mancanza di legittimità democratica, considerato che i suoi componenti non sono eletti dai cittadini ma nominati dai governi) che ha fatto già scattare una procedura di infrazione, perché il governo polacco violerebbe la democrazia nel Paese e soprattutto non rispetterebbe “i valori dell’Europa”.

La minaccia dell’Esecutivo è quella di ricorrere all’art 7 del Trattato – a questo punto ci chiediamo quale, dal momento che ne sono stati presentati tanti… – per sanzionare la Polonia. Una mozione di censura che, se votata dai 28 stati del Consiglio europeo, escluderebbe la Polonia dalla partecipazione alla legislatura comunitaria per un periodo da definire, fintantoché il suo governo non avrà dimostrato di aver intrapreso il ritorno nella retta via del dogma unitario.

Le principali violazioni dello stato di diritto e di democrazia rilevate dai tecnocrati di Bruxelles, riguardano principalmente la riforma della magistratura e della Corte Suprema, recentemente varate dal governo polacco. Ma l’ex primo ministro Kaczyński, presidente del PiS, attualmente al governo, insorge e attribuisce, invece, alle scelte economiche operate dal suo governo, il motivo dell’avversione che dimostra l’UE. Kaczyński ricorda che quelle riforme hanno determinato una forte statalizzazione dell’economia, attuata attraverso la lotta a quelle privatizzazioni selvagge che costituiscono effettivamente il panegirico dell’Unione, ma che hanno consentito allo Stato di affrancarsi dal rating stilato dai padroni delle economie europee l’agenzia americana Standard & Poor’s.

La procedura di infrazione oggi richiesta per la Polonia, inserita nell’art 7 del Trattato,ha una sua storia particolare che dimostra l’attitudine di un’istituzione democratica che mette all’indice chi non si allinea al suo dogma, ed è una novità introdotta dal Trattato di Lisbona proprio nell’anno 2000, quando in Austria il partito nazionalista di Jörg Haider, governatore della Carinzia, collaborava con il governo democristiano in carica e aveva raggiunto una forte popolarità.

La storia si ripete oggi anche in Polonia, dove il PiS, un partito conservatore esercita il potere e per questo deve essere sanzionato, come segnale da dare dai democratici europei ai populismi, peggio, alla blasfemia dei nazionalismi risorgenti. A questo punto dovremmo chiederci quali sono i valori attuali dell’Europa e chi sarebbe preposto a farli osservare, vista la situazione di crisi che colpisce tutti i settori della società europea e la mancanza di consenso che riscuotono le politiche europee in tutti gli Stati dell’Unione.

Si rimprovera alla Polonia di voler sottomettere la magistratura al potere politico, senza tener conto del fatto che questo sia avvenuto con un legge votata dal parlamento. Il riferimento va alla recente riforma del sistema di elezione e nomina del consiglio nazionale della magistratura e della Corte suprema e all’abbassamento dell’età di pensionamento dei giudici, misura che ha messo oggi fuori gioco molti vecchi magistrati, descritti come una vera casta.

Quanto allo stato di diritto, in Europa possiamo dire di essere ben serviti se pensiamo agli attentati terroristi che avvengono ormai dovunque, che molte zone delle città europee sono diventate zone in cui la legge non riesce più a farsi rispettare, che non siamo capaci di espellere i clandestini, che in molti paesi pare riaffermarsi come reato il delitto di opinione, che si sopporta il riformarsi di gruppi di pressione costituiti da immigrati e da minoranze che impongono la loro legge. Altro rimprovero alla Polonia sarebbe il controllo che lo Stato pare eserciti sui media. Critica che sembra eccessiva visto che in Europa l’insieme mediatico è prevalentemente in mano a gruppi di potere sponsorizzati dallo stesso governo in carica.

Considerando ogni cosa, si attacca la Polonia perché come molti paesi dell’est europeo – Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Austria, il gruppo di Visegrad- resiste alla legislazione comunitaria che azzera le sovranità nazionali, che impone, ad esempio, la ripartizione obbligata tra i Paesi membri (il sistema delle quote che solo l’italia ha accettato, e sappiamo bene perché) dei flussi migratori e si oppone a tutti gli attacchi contro il modo di vita e i valori dello Stato, tendenze che non possono certo riscuotere il gradimento degli “universalisti” dell’Europa.

Eugenio Preta