I pericoli dell’apatia politica

Di fronte agli avvenimenti quotidiani che ci riportano l’abbattimento di statue, la contestazione violente delle piazze, la protesta razziale generalizzata, siamo effettivamente sballottati tra il rifiuto del razzismo e la consapevolezza che quando i monumenti vengono smontati, le piazze distrutte  e i valori in cui credevamo vengono violentemente contestati in nome di un obbligato pentimento dell’uomo bianco, non si tratti più di razzismo né di questione sociale .
Non sappiamo perciò se approvare  le manifestazioni contro le ineguaglianze sociali  e razziali o indignarci perché in nome di queste rivendicazioni  si riesce a dipingere l’uomo bianco come un oppressore che deve chiedere scusa semplicemente per il colore della sua pelle.

In una continua campagna promozionale, il progressismo e il multiculturalismo avanzano oggi contro i simboli della nostra tradizione occidentale. Un regime può certamente distruggere una civiltà esistente sterminandone la popolazione oppure sradicandone i suoi simboli condivisi, primi fra tutti, tra l’accettazione o l’indifferenza degli interessati, quelli dei valori in cui ha sempre creduto.

È successo recentemente ad opera dei talebani, con la distruzione dei Budda giganti nella vallata afgana di Bamiyan ma la Storia registra tanti altri episodi: i roghi dei libri ritenuti infetti dai comunisti sovietici, cinesi o khmer Rossi, o dai nazisti nella Notte di Valpurga.

Senza tornare troppo indietro nel tempo, recentemente in Belgio, l’Università di Lovenio la nuova, insieme alla municipalità di Anversa, hanno deciso di togliere il monumento di re Leopoldo II, “colpevole” di aver conquistato il Congo. La Svizzera, dal canto suo, ha promosso un referendum per ripulirsi dalle tracce dello schiavista David De Pury a Neuchatel. Negli USA una statua di Cristoforo Colombo è stata decapitata a Richmond e un’altra fatta sparire a Boston, nel corso delle proteste del Movimento “Black Lives Matter”. Siamo, poi, arrivati al paradosso a proposito del film strappalacrime “Via col vento” ritirato dai cataloghi perché tacciato di razzismo.

In Gran Bretagna, la statua di Winston Churchill è stata vandalizzata a Londra e quella di Cecil Rhodes a Oxford, con l’avallo del sindaco pachistano di Londra Sadiq Khan e del ministro dell’industria del governo conservatore Zahawi, che hanno sostenuto una campagna popolare per togliere ogni riferimento ai simboli della storia passata inglese, mettendo nel collimatore anche sir Francis Drake, il corsaro, e persino l’ammiraglio Orazio Nelson.

Nel Bel Paese, nei giardini di porta Venezia, idioti “antagonisti“ hanno imbrattato con scritte indegne la statua di Indro Montanelli, nessuno però che si sia sognato di toccare statue di re, viali dedicati a regine sabaude o ad aguzzini risorgimentali come Garibaldi o Nino Bixio nella nostra Sicilia dove, qualche anno fa, un sindaco in cerca di gloria che aveva tolto dalla piazza il nome di Garibaldi, era stato denunziato all’autorità giudiziaria e costretto a ripristinare quella lapide del “mito” ormai decaduto, senza orecchie.

L’inizio di una nuova era, titolano gli adepti del regime progressista, impegnati in una rimozione fittizia che non risparmia nemmeno gli omaggi dovuti alla cultura. Senza alcun dubbio seguirà una lunga lista di epurazioni – solo in giro per l’Europa però – Colbert, Celine, Voltaire, Balzac, Moliere, Richelieu, De Gaulle saranno il bersaglio progressista nella sola Francia, per alimentare il rogo dell’uomo bianco sull’altare dell’umanesimo ormai tramontato. Attenzione però, dopo le teste delle statue potrebbero cadere quelle dei recalcitranti a questa dittatura progressista.

A mo’ di monito voglio ricordare uno scritto erroneamente attribuito a Bertolt Brecht, in verità di un prete tedesco Martin Niemoller:
“Prima vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me, ma non c’era rimasto più nessuno a protestare”

Eugenio Preta