Anche la musica classica nel mirino delle accuse di razzismo

In un clima di grandi incertezze alimentato anche dalla confusione di epoche storiche, di mentalità, di concetti filosofici e morali, nell’ignoranza assoluta della Storia, tra la folla di intelligentoni – sintomatica la genuflessione in mezzo all’aula della Camera di eletti in cerca di pubblicità e in mezzo al terreno di gioco, di geni in mutande e pieni di miliardi – si è scatenato un odio razzista contro i bianchi, ritenuti responsabili di tutte le sventure dell’umanità.

Siamo soliti dire che viviamo in un’epoca formidabile, eppure gli storici, quando un giorno si impegneranno ad interpretarne gli avvenimenti, vi troveranno una cupidigia infinita, un edonismo illimitato ma anche l’ignoranza crassa e la vigliaccheria insigne dei tanti che dovrebbero tutelare le nostre esigenze e rappresentarci. Dopo le numerose campagne contro quei settori sociali che impiegano porzioni maggioritarie di bianchi, oggi tocca alla musica classica.

Troppi bianchi e asiatici nelle manifestazioni di musica classica – si legge su Seattle Magazine e sul New York Times – pochi i rappresentanti della diversità nelle orchestre: è la nuova campagna di quel razzismo “al contrario” che identifica oggi nella musica classica un privilegio esclusivo dell’uomo bianco. Come ogni progressismo che si rispetti, il messaggio arriva ancora direttamente dagli Stati Uniti, dove molti media hanno lanciato l’allarme: la musica classica sarebbe, per definizione, razzista.

Secondo questi soloni la musica classica avrebbe partecipato alla distruzione intrinseca della cultura generale sostituendola con i dettami del suo racconto suprematista bianco. La musica classica occidentale, quindi, non sarebbe più una questione di cultura ma esclusivamente prevaricazione razziale. Una combinazione di tradizioni al servizio della opinione corrente, secondo cui essere bianchi connoterebbe una cultura superiore a tutte le altre il cui scopo principale sarebbe quello di fungere da ancoraggio culturale a favore del mito della supremazia della razza bianca. Con l’aggravante di essere anche agente di quella confusione culturale che avrebbe favorito lo stesso colonialismo occidentale.

Il comparto della musica classica si rivelerebbe esclusivo e soffrirebbe di un razzismo seppure incosciente: musicisti bianchi infatti suonano opere scritte da compositori bianchi per un pubblico di vecchi bianchi. Sarebbe però una forma velata di razzismo, una dimostrazione di gelosia incomprensibile accusare di ogni nefandezza la comunità bianca sulla base della grandezza dei suoi tanti geni in questo campo specifico.

Viene a questo punto anche da chiedersi perché alcuni generi musicali particolarmente identificabili come il jazz, il blues o il reggae non siano stati mai accusati di razzismo anti-bianco. Accusato di reclutamento discriminatorio, il comparto della musica classica rimane artisticamente esclusivo e, seppur marginalizzato in occidente a favore delle mode consumistiche multiculturali, beneficia oggi di un grande successo nei paesi asiatici. Come dire che, nel segno dei tempi, anche la cultura occidentale si delocalizza.

Rimane l’amara constatazione che quando un’eccellenza viene additata sistematicamente come un atto di oppressione, un segnale d’iniquità e viene continuamente fatta oggetto di aggressione, fatalmente la mediocrità e il livellamento verso il basso diventeranno la sola forma di giudizio accettabile in un mondo che si avvia verso la sua inesorabile distruzione societaria. E se, in fin dei conti, riflettendo bene scoprissimo che le elucubrazioni “razzialiste” non fossero esclusivamente questione del tasso della melatonina della nostra pelle, quanto piuttosto una questione di studio, di applicazione e di competenza?

Eugenio Preta