Lo sport fa politica

Tra paure, confinamento anti-epidemia e grande crisi finanziaria è ricominciato il grande circo del football, il settore più commerciale e di maggior consumo tra tutti gli sport. Il calcio, ormai occupa un posto di rilievo nelle nostre vite, è diventato una componente importante della nostra identità e della nostra civiltà ed a questo titolo che (come tutti gli altri settori dello spazio culturale europeo, il cinema, la musica), viene inondato dai messaggi di importazione anglo-sassone che si abbattono sul mondo continentale, attraverso la pressione mediatica che spesso è apripista ai risvolti legislativi implicitamente suggeriti.

Oggi, in epoca di parità di tutto, anche il calcio si è adattato ad un mercato foriero di redditi e ricavi e si è impegnato a valorizzare i campionati femminili che, in tutti i continenti ormai destano l’interesse dei media e del pubblico. Un mondo che oggi, però, è preda di opportunisti patentati, commentatori e folle di utili idioti – fra questi una parte di politici – che accorrono per assicurare il servizio post-vendita del prodotto e, subliminalmente celebrare la fine del monopolio maschile in quello che è sempre stato lo sport principe, suo terreno d’adozione.

Anche le televisioni, in occasione delle varie cerimonie concepite per la premiazione di palloni e pantofole d’oro, organizzano non-stop infiniti dove il calcio (o lo sport in oggetto, nuoto, moto, automobilismo, sci), viene relegato in subordine dietro messaggi pubblicitari e discorsi sull’attualità del momento che non hanno niente a che vedere con la cerimonia sportiva.

Già quest’estate, l’ondata Black Lives Matter si è abbattuta sul mondo dello sport, già in apnea a causa dell’epidemia Covid e la cancellazione di avvenimenti importanti. Per mesi interi siamo stati invitati a partecipare, lamentarci e subire i minuti di silenzio, prima degli incontri e della celebrazione dei gol, rigorosamente in ginocchio, (in Inghilterra è ormai prassi consolidata da celebrarsi all’inizio di ogni match) e ascoltare le filippiche contro il pessimo Trump di sociologhi tuttologi. Questa isteria mediatica della genuflessione si accompagna spesso alle iniziative istituzionali europee previste per lottare contro l’omofobia, prevedendo persino di sospendere gli incontri in caso di manifestazioni omofobe.

Se i condizionamenti del politicamente corretto hanno trovato zolle fertili nel terreno del football, l’oppio del XXI secolo, è stato soprattutto perché il calcio è un pilastro dello spazio sociale e culturale dei maschi europei e, come succede ai giovani con Netflix, vengono somministrate endovenose di dosi subliminali di ideologie correnti diverse, quali femminismo, egualitarismo, antirazzismo e multiculturalismo.

Così il fruitore ultimo del prodotto è costretto a condividere le nuove crociate transnazionali per non subire le conseguenze del suo allontanamento dalle reti tecnologiche che utilizza, una sua ineluttabile esclusione sociale, sorte promessa a tutti i refrattari ed ai cosiddetti propagatori di odio che rifiutano di annullarsi nelle imposizioni neo-liberiste degli architetti del nuovo mondo globalizzato.

Eugenio Preta