Strasburgo capitale d’Europa contro le manovre del “Grande Reset”

Il semestre di presidenza francese dell’Unione europea riaccende un tema che da anni agita le istituzioni europee: la battaglia tra Strasburgo e Bruxelles per la sede definitiva del Parlamento Europeo.

Un confronto che oggi sembra registrare l’aumento della defiance verso la capitale alsaziana, da più di un anno dimenticata dai deputati europei a causa delle restrizioni pandemiche nonostante i Trattati abbiano stabilito proprio a Strasburgo la sede dell’Assemblea e prescritto le riunioni almeno una volta al mese.
Strasburgo resta quindi un problema irrisolto per le autorità europee con conseguenze che si fanno sentire nelle economie della città e nelle finanze pubbliche della stessa Francia.
Una vera e propria transumanza mensile tra Bruxelles e Strasburgo di migliaia di addetti ai lavori che ha un costo molto alto e a cui la città non può rinunciare facilmente.

Deputati, funzionari, interpreti e giornalisti, la massa degli addetti ai lavori che consente il funzionamento dei lavori di assemblea occupa in media soltanto per 3 giorni uffici, Emiciclo e strutture che, tra l’altro, richiedono frequenti lavori di adeguamento, sempre a carico di tutti i contribuenti europei ma rimangono inoccupati per 317 giorni con un costo complessivo di funzionamento di oltre 114 milioni di euro annuali a carico del Parlamento europeo a cui si devono aggiungere i 5 milioni che occorrono alla Commissione quando i commissari vengono a riferire all’Assemblea ( riunioni che si svolgono e concludono in una sola mattinata) .
Dietro l’offensiva condotta contro Strasburgo, partiti i britannici, da sempre i più feroci oppositori dei lavori parlamentari svolti in suolo francese, oggi si profila l’offensiva sorniona della Commissione esecutiva che cerca da tempo di imporre la sua liturgia al Parlamento, la sola istituzione legittimata dal voto dei popoli.
I vari trattati europei, da Roma e Lisbona infatti hanno effettivamente creato nuovi poteri al Parlamento europeo, primi fra tutti quelli di esprimere il suo gradimento per i commissari candidati dai capi di stato e di governo e quello di poter obbligare la Commissione persino alle dimissioni in conseguenza di una mozione di censura parlamentare.

Al di là di tutte le simbologie ormai superate, il Parlamento europeo rappresenta la voce dei popoli che si esprime attraverso i suoi rappresentanti: voler rimettere in discussione la sua sede istituzionale, che peraltro è stata definita e ribadita a più riprese dai Trattati, lascia immaginare un’articolata operazione del potere tecnocratico che, limitando solo a Bruxelles i lavori parlamentari, intende controllare tutte le attività istituzionali e limitare le possibili ingerenze, in questo caso delle autorità francesi che, al contrario di quelle lussemburghesi che hanno rinunciato ad ospitare la sede dei lavori di Assemblea in cambio dello stabilimento di altre istituzioni, non intendono rinunciare a mantenere a Strasburgo la più importante rappresentanza istituzionale, la sola legittimata dal voto dei popoli europei.

Eugenio Preta