Tensioni nei Balcani sud occidentali

A Sarajevo il clima politico si è surriscaldato da quando i componenti serbi hanno abbandonato la presidenza collegiale dello Stato centrale della Bosnia-Erzegovina.
Effettivamente il Paese soffre ancora delle conseguenze dei vari conflitti regionali che hanno caratterizzato la dissoluzione della ex Jugoslavia nel corso degli anni ‘90 ed oggi è stato riorganizzato in una federazione tra le comunità che compongono la società bosniaca: quella serba, quella croata e quella musulmana. Una convivenza ancora troppo fragile nel Paese, tanto che ancora oggi, per evitare tensioni etniche e scongiurare il pericolo di possibili scontri, deve venire garantita dalla vigilanza di una autorità internazionale.

Il Paese, candidato ad un’adesione difficile all’Ue insieme al gruppo dei Paesi dei Balcani sud occidentali: Montenegro, Macedonia del nord, Kossovo, Albania e Serbia, è già provato dal conflitto etnico e vive una situazione molto difficile anche per le ingerenze straniere che servono solo ad alimentare le mal sopite rivendicazioni tra le comunità.

La Comunità internazionale è distratta e non riesce a comprendere le aspettative socio economiche della regione che sembra oggi sul punto di esplodere nuovamente. Gli stessi media sembrano non voler vedere nessuna analogia tra la situazione bosniaca e quello che avviene in Ucraina, eppure questa situazione esplosiva dovrebbe riportare alla memoria la guerra nell’ex Iugoslavia del ‘92, anche allora teatro dello scontro tra il campo occidentale dominato dagli Stati Uniti e la Russia e dove l’Onu impotente dovette fare ricorso alla Nato per poter intervenire al di fuori dell’alleanza.

Nella prospettiva storica di 30 anni, che potrebbe sembrare molto lunga nella considerazione dei dirigenti internazionali e dei loro media prezzolati, la vicenda dell’Ucraina sembra una replica di quella di Sarajevo. I due Paesi sono molto legati dalla Storia e dalla cultura e il conflitto che scoppia alla periferia dell’Europa politica porta il peggioramento dello stato di incertezza anche nel suo cuore geografico.

Gli accordi di Daytona di 27 anni fa hanno rappresentato lo zenit della miopia politica e delle assurdità della diplomazia: imposti dagli Stati Uniti ed accettati sempre supinamente, come d’abitudine, dai loro subalterni europei, avevano imposto una divisione inaccettabile dei territori e una riorganizzazione politica improponibile, compromettendo – chissà quanto involontariamente – l’effettiva possibilità di una riconciliazione tra le comunità serbe ortodosse, croate cattoliche e bosniache musulmane.

L’opinione pubblica, oggi che la coabitazione forzata sta per esplodere, non riesce a fare la differenza tra Bosniano e bosniaco e non capisce cosa sia successo anche perché media ideologizzati e intellettuali esaltati, in linea di principio, si sono subito schierati contro i serbi, siano essi di Serbia, di Bosnia e di Croazia, parenti stretti dei russi, adducendo semplificazioni troppo affrettate.

Oggi i media si limitano a denunziare il nazionalismo come unica causa del processo di implosione della antica federazione: potrebbe certamente esserne stato la causa, sicuramente non la conseguenza.

Del resto, aver limitato il pericolo jadaista alla sola Bosnia ha significato aver trascurato l’ampiezza del pericolo. In seguito il salafismo si è imposto su questa frattura bosniaca con la complicità degli Stati musulmani del Golfo che investono sempre di più in questa testa di ponte commerciale, politica e religiosa ed hanno trovato il punto debole dell’Unione europea nella discordia esistente tra i mondialisti partigiani dell’immigrazione e gli assertori realisti di un’immigrazione controllata.

Alla fine potremo invertire il corso della storia solo individuando una triplice chiave di lettura che possa servire a correggere la miopia oggi esistente: accettare che c’è effettivamente un nesso tra la guerra in Ucraina e quella che cova sotto traccia in Bosnia; rendersi conto che un Islamismo conquistatore si è infiltrato nel cuore dell’Europa; capire la necessità essenziale di riconquistare una sovranità europea indipendente che ci consenta di sfuggire ad un’alleanza atlantica eccessivamente americano-centrica.

Eugenio Preta