Il nuovo Gattopardo

Facciamo un’ipotesi. Immaginiamo per un attimo che il destino dell’Italia sia oramai segnato. Che effettivamente ci sia un largo consenso internazionale verso la stabilizzazione politica siciliana e del sud Italia, in uno stato unico. Non dico che sia certamente così. Ma almeno immaginiamolo.

Immaginiamo anche che tutti i tentativi di sabotaggio verso la Sicilia siano destinati a fallire e che in definitiva siano solo una bella messinscena volta a radicalizzare lo scontro in modo da farlo sfociare in una specie di separazione consensuale.

In pratica, immaginiamo che su questo non ci sia più niente da discutere. Di che cosa dovremmo occuparci, allora?

Basta leggere un’opera come Il Gattopardo per intravvedere come anche 150 anni fa i più attenti si erano preparati da tempo al nuovo sistema che stava per nascere. Se i Siciliani che già allora lottavano per la loro patria non si fossero fatti sorprendere dalle reali intenzioni dei “liberatori” [*], oggi forse saremmo qui a raccontare altri eventi.

La rivoluzione a cui stiamo assistendo la dobbiamo anche e soprattutto alla determinazione di alcuni nostri conterranei che alla fine della seconda guerra mondiale diedero uno strappo al sistema e riuscirono ad ottenere lo Statuto per il quale ancora oggi combattiamo. Grazie ad essi la Nazione Siciliana è (almeno formalmente) rinata .

Le istanze portate avanti dagli eroi di allora, malgrado l’oppressione del regime, non si sono ammorbidite o diluite. Grazie a quanti si sono adoperati per proteggerle, esse sono arrivate sino a noi ed oggi costituiscono l’arma che sta scardinando quello che ancora rimane di quel “sistema”.

Se oggi fossimo certi di ciò che sta per accadere, ci troveremmo a focalizzare i nostri discorsi sull’ordine che verrà, non più su quello che sta scomparendo.

Molti di noi hanno strategicamente appoggiato l’MPA di Raffaele Lombardo in un momento di svolta delle ultime elezioni europee. Questo appoggio è stato dato più o meno incondizionatamente. Con un risultato in chiaroscuro. Se da un lato è stato aggiunto un altro importante tassello verso l’allontanamento del pericolo berlusconiano, dall’altro le divisioni insite nell’area “Sicilianista” hanno provocato quell’appoggio a macchia di leopardo ed incondizionato ed hanno lasciato che Raffaele Lombardo commettesse un grave errore culturale che potrebbe pregiudicare la sopravvivenza stessa del suo movimento.

L’MPA, in alleanze senza capo ne coda, che nulla hanno portato se non i voti di Nello Musumeci a Catania (non è poco, ma neanche tutto….) ha completamente smarrito quel poco di identitario che ancora riteneva nel momento in cui si decise di cancellare quella Sicilia dal simbolo del movimento.

La mortificazione dell’elemento territoriale è stata tanto grave che al nord Italia ed all’estero neanche i Siciliani ivi residenti hanno voluto votare lo strano cartello. Il risultato delle circoscrizioni estere è vergognoso: in Olanda l’MPA ha preso 17 voti contro i 65 della Lega Nord, in Belgio 173 (contro 232 della Lega Nord), in Germania 456 (Lega Nord 542)

Nel 2006, senza soldi ma con una caratterizzazione identitaria forte, L’Altra Sicilia in Belgio ha superato partiti del calibro dell’UDC ed è stata la quarta forza italiana.
Il risultato complessivo in Europa fu del 2,1%. Quello del “cartello” dell’Autonomia per queste europee, dell’1,51%. Gli strani meccanismi di voto non possono giustificare una tale debàcle. Per i siciliani ed i meridionali all’estero (ed al nord Italia…) quel “cartello” senza identità non era altro che l’ennesimo inciucio italiano.

Questa lacuna identitaria non sembra possa essere colmata dalla nascita del partito del sud sbandierata da Lombardo e Miccichè. Innanzitutto parlare di “partito del sud” quando le forze politiche in campo sono quasi interamente siciliane, è sintomatico proprio del fatto che il futuro stato dovrebbe comprendere i territori degli ex Regni di Sicilia (poi ribattezzati Due Sicilie).

E poi, che vuol dire “sud”? A quale identità si vuole fare riferimento? Ai Borboni? Alle artificiose suddivisioni regionali create dallo stato sabaudo? All’antico regno normanno?

Argomenti che possono sembrare velleitari, ma che ad una più attenta analisi rivelano qualcosa di più significativo. Tale lacuna identitaria non è altro che il prodotto di una mancanza ancora più grave: quella di un progetto. O perlomeno di un progetto “esplicito”.

Cosa si vuole fare di questo “sud”? Cosa si vuole che diventi? Uno stato centralizzato sul modello sabaudo, un’Italia “più piccola”? Una federazione di due o più nazioni? Una monarchia?

La mancanza di progettualità potrebbe essere la tomba di tutte le nostre aspirazioni.

Dall’altro lato, forse il progetto c’è, ma non lo si vuole rivelare. L’unica motivazione che possiamo addurre per questo strano “pudore” è la paura di rimettere in moto improvvisamente la secolare faglia in agguato sotto lo Stretto di Messina.

Al contempo, la lacuna identitaria sta alienando e continuerà ad alienare larghe fasce della società civile.

Una soluzione sarebbe stata quella dei partiti regionali prospettata dall’MPA. Ma ora che la parola d’ordine è semplicemente quella di un “sud” indistinto, tale soluzione sembra essere stata messa da parte da chi l’aveva formulata nel tentativo di non cedere lo scettro del comando all’alleato.

I movimenti sicilianisti hanno contribuito tanto alla conservazione dell’arsenale che ora politici quali Lombardo e Miccichè stanno usando per traghettarci nel nuovo ordine.
Oggi quei movimenti ed i loro rappresentanti, si faranno trovare impreparati come lo furono i Siciliani di 150 anni fa?

Fonte: ilconsiglio.blogspot.com

[*] Che si fecero sorprendere dagli eventi lo dimostra la rinuncia di Ruggero Settimo, al tempo in esilio a Malta dopo il fallimento dei moti del 1848, ad un posto di senatore offertogli dal nuovo stato liberale. Persino Ruggero Settimo capì troppo tardi come stavano realmente le cose.