Cosa c’è dietro il pedaggio sulle autostrade siciliane

Il Commissario dello Stato / Governatore coloniale della Sicilia ha posto il veto su quella parte del disegno di legge regionale sulla semplificazione amministrativa che, trasformando il Consorzio Autostrade Siciliane in Ente pubblico regionale, sottrarrebbe per sempre alle mire speculative continentali lo sfruttamento delle autostrade siciliane.

Si dirà “ma quale veto? ha solo impugnato alcune norme da lui ritenute illegittime da un punto di vista costituzionale”, poi c’è la Corte Costituzionale che deciderà con giustizia ed equità…

E invece si tratta di un vero veto. Solo la Regione Siciliana ha la propria legislazione sottoposta a questa censura preventiva da parte di un prefetto che, nelle intenzioni del legislatore statutario, doveva essere una figura di alta garanzia per la Regione e lo Stato, ed invece, nelle norme dis-attuative, si è trasformato in un funzionario del ministero degli interni con un mandato censorio nei confronti della legislazione regionale. Peraltro, con la soppressione illegittima dell’Alta Corte per la Regione Siciliana operata nel 1957, questo funzionario sa benissimo che a Roma troverà un giudice mal costituito e parziale che gli darà sempre ragione (basti fare una statistica delle sentenze e si trova che per la Consulta lo Stato ha ragione contro la Regione siciliana in quasi il 100 % dei casi).

Tanto parziale al punto che i Presidenti della Regione, di norma, di fronte alle impugnative del famigerato “commissario”, si affrettano a promulgare solo le parti non impugnate, dando per perso qualunque ricorso alla Corte Costituzionale ed accettando implicitamente la propria condizione simile a quella dei “protettorati coloniali” in cui le potenze europee nell’Ottocento affiancavano al sultano locale un governatore coloniale che lo bacchettava se e quando usciva dai ristretti margini di autogoverno che gli erano lasciati, questi in genere solo per catalizzare il malcontento dei sudditi.

Nella fattispecie il Commissario “non è d’accordo” sulla trasformazione del Consorzio in Ente pubblico perché ciò violerebbe nientedimeno il principio generale di uguagliana (art.3) di parità di opportunità di accesso agli uffici pubblici (art. 51) e di organizzazione dei pubblici uffici secondo un criterio di buon andamento!(art.97). Secondo questo principio che dovremmo dire dei ministri della Repubblica che sfasciano la scuola pubblica (soprattutto del Meridione) o che lasciano senza acqua e cibo migliaia di clandestini al buon cuore dei siciliani di Lampedusa? No, che c’entra, di queste questioni di merito non si occupa nessuno. La trasformazione del consorzio autostradale invece è sì una questione costituzionale di buon andamento dell’amministrazione pubblica. Tanto importante da sollevare una questione alla Corte costituzionale.

Si tratta, come è palese, di riferimenti assolutamente generici che non trovano alcun riscontro concreto nella Costituzione della Repubblica. Sono evidentemente entrate a gamba tesa del Governo italiano, per l’interposta persona del funzionario/commissario/governatore, all’interno di valutazioni politiche rimesse all’assoluta discrezionalità del Governo e dell’Assemblea siciliani. Per salvare la faccia si cita una sentenza della Corte Costituzionale in cui si dispone che la trasformazione in ente pubblico non deve nascere da errori amministrativi ma da reali esigenze. E quale migliore dimostrazione degli “errori” che la deficitaria e clientelare gestione che il Consorzio aveva con le precedenti gestioni? A cosa vale il risanamento commissariale ormai in atto da alcuni anni? A nulla, ovviamente. Gli errori del passato, avallati se non istigati dal potere centrale quando eravamo supini, ci vengono inchiodati a sangue quando tentiamo di sollevare il capo, anche molto timidamente.

Ma il vero problema è a monte. L’art. 32 dello Statuto disponeva la regionalizzazione di praticamente tutto il demanio statale in Sicilia, fatto salvo quello militare e, residualmente e eccezionalmente, quello che potesse essere di “interesse nazionale”. E’ ovvio che il legislatore statutario in tal modo volesse sottrarre dalla regionalizzazione quei pochi beni i quali, pur essendo ubicati in Sicilia, servissero ad un’utenza nazionale o comunque extraregionale. Si dà il caso che tutto il demanio stradale, per definizione, in Sicilia come in ogni altra isola, serva solo per trasporti e spostamenti interni all’isola e non sia mai di “transito”, a meno che non si faccia un tunnell sotterraneo con la Tunisia. Per definizione tutto il demanio stradale dovrebbe essere regionale, ma, ma…. le solite norme dis-attuative dello Statuto hanno “interpretato” la norma nel senso che se lo Stato decide che una cosa “è importante” allora “se la piglia”, vanificando lo spirito e la lettera del nostro art. 32. Così lo Stato (per mezzo dell’Anas) si è preso tutte le autostrade e le più importanti strade statali siciliane, lasciando alla Regione quelle secondarie, le provinciali, le trazzere e così via…. D’altronde siamo protettorato coloniale, non dimentichiamolo mai.

Così è l’Anas che “graziosamente” ha concesso al Consorzio le autostrade fatte anche con i nostri soldi (quelli del Fondo di Solidarietà Nazionale, quando funzionava), e quindi, ora che su telegramma di Tremonti gliel’ha tolto, l’ente pubblico sarebbe secondo il Commissario privo di oggetto. E il disegno si chiude. Privatizzare per quattro soldi ai soliti amici le autostrade siciliane. Così nei secoli pagheremo ai “polentoni” il pedaggio per usare le nostre strade. E perché non pagare loro anche i “passi carrabili” di casa nostra, a questo punto? Contenti noi…

Massimo Costa