Una traduzione popolare della lettera apostolica “Motu Proprio” 

Una delle basi più solide della Chiesa romana, originata a Roma dal martirio di Pietro e Paolo, risiede nel culto della tradizione. Benedetto XVI questo lo sapeva perfettamente e lo aveva tenuto ben presente negli anni del suo pontificato attivo.

Oggi è proprio di questa tradizione che Bergoglio, successore di quello che vedeva come suo nonno (ma che in effetti è solo appena più vecchio di lui) ha voluto liberarsi. In Motu proprio, denominato per colmo di ironia Traditionis custodes, Bergoglio, così aperto ai migranti e così accogliente per gli omosessuali e per i divorziati risposati, si dice preoccupato non dai riti amazzonici, ma dalla lingua tradizionale di madre Chiesa e così intende assestare un duro colpo proprio alle comunità legate all’antico Ordine.

Basta con la misericordia di Benedetto, basta con la tradizione, basta con il latino quindi. Un vero e proprio atto autolesionistico di Francesco: quale minaccia porterebbe alla Chiesa il rito latino se esistono già riti ambrosiani, mazarabici, dominicani e persino zairesi?

Bergoglio così rimette in causa il latino come lingua viva della Chiesa, paradossalmente fingendo di passare sotto silenzio il fatto che le encicliche sono redatte in latino, eccetto le ultime due “Laudato si” e “Motu proprio”, pubblicate, significativamente, in lingua inglese.

I vescovi si allineano, ma la lettera di Bergoglio sembra risvegliare le coscienze tradite che denunciano le derive dogmatiche che minacciano l’unità della Chiesa, indebolita dal Covid persino nell’esercizio delle funzioni liturgiche. Se questa situazione dovesse spingere alcune pecore verso l’uscita dall’ovile non sarebbe certamente un atto di misericordia.

Ma uno scisma sembra oggi poco probabile perché motu proprio, fortunatamente, non corrisponde alla realtà effettiva di questa Chiesa ed anzi il documento potrebbe costituire proprio il fallimento di quel progetto progressista che aleggia da anni in Vaticano. Sono in tanti ormai a credere che la Chiesa cattolica tradizionale sulle note del “cancelliamo il passato” sia giunta alla sua fine, ma forse proprio questa lettera papale potrebbe offrire alla Chiesa cattolica l’occasione di sollevare finalmente la testa fuori dalle acque dell’accettazione troppo passiva.

Eugenio Preta