Il diritto all’odio buono e la solidità degli argini alla barbarie

Meta, l’impresa statunitense che controlla i servizi di rete sociale Facebook, Instagram ed altro, riscrive le leggi ed istituisce oggi il diritto all’odio positivo. L’agenzia Reuters ci informa che ai moderatori di 12 Paesi, 11 dei quali di fede cristiana, sono state inviate le relative istruzioni per rendere effettiva l’applicazione di questo nuovo diritto.

D’ora in avanti anche i discorsi che incitano all’odio e persino alla violenza verso gli invasori russi saranno ammessi così come potranno essere tollerate anche le richieste di morte avanzate per Putin e per Lukashenko mentre rimarranno vietate le pubblicazioni che incitano alla morte dei civili o dei prigionieri di guerra russi, quando saranno espresse fuori dal contesto dell’invasione dell’Ucraina.

Di pari passo sono state tolte anche le censure alle pubblicazioni che elogiano le gesta del tristemente noto battaglione d’Azov. L’odio però, sia quello che può insorge in guerra, o in qualunque altro momento è sempre da condannare. E’ un sentimento che distrugge chi lo prova e lo spinge precipitosamente verso la barbarie.

Mark Zuckerberg, presidente e fondatore di Meta, sembra oggi contendere a Lloyd Blankfein, ex padrone di Goldman Sachs, famoso per aver dichiarato di fare le veci di Dio, il compito di incarnare il Dio in terra e di poter decidere tra il bene ed il male.

Nel romanzo “1984” di George Orwell “i due minuti di odio” venivano organizzati da un regime totalitario che utilizzava cinicamente le forme di propaganda decise dal ministero della Verità.

Nelle nostre società contemporanee, diventate estremamente deboli, oggi le stesse imprese commerciali possono stabilire regole e lo fanno preoccupantemente nel silenzio impotente dei governi.

Putin sta oggi sostituendo il cattivo Goldstein del romanzo ma si è trasformato nella vittima sacrificale proposta dalle istituzioni come catarsi collettiva per anticipare e bloccare la dissidenza.

Le reti sociali sono diventate giganteschi apparati per polarizzare l’attenzione e si sono installate per eternizzare la loro opera di convinzione. I loro padroni questo lo sanno ed anzi riescono ad utilizzarle a profitto delle loro ideologie relativiste, transumaniste e liberiste. Considerate semplici veicoli di informazione di massa, le reti sociali sono diventate invece le branchie dell’informazione controllata dal potere a cui il fallimento della presidenza non ha dato a Donald Trump il tempo necessario per poterne avviare il depotenziamento.

Una civiltà muore per la morte dei suoi istinti, diceva Paul Valery alla fine della prima guerra mondiale, una teoria a cui si lega oggi anche Renè Girard, teorico della violenza delle società con il racconto del capro espiatorio che alla fine vede sublimata la sua fine, assolto dei suoi crimini da una folla compiacente. Anche per Putin vale la teoria del capro espiatorio, ma non sembra che la sua fine possa coincidere con quella del protagonista del romanzo di Girard, anzi, la differenza di trattamento che i media gli riservano lascia presagire l’inizio del tutto contro tutti, l’inizio della barbarie.

Non sono riusciti a spaventarci completamente con il Covid e neanche con la stessa guerra in Ucraina e continuiamo a resistere ad un’informazione parziale. Ma siamo ancora sicuri della solidità degli argini che devono contenere la nostra stessa barbarie?

Eugenio Preta