L’Europa invischiata in una guerra che conviene solo agli americani

Da Bruxelles a Washington l’eco delle armi fa seguito alle dichiarazioni di guerra: trasferimenti di armi pesanti, intensificazione della guerra economica attraverso un nuovo pacchetto di sanzioni ma la soluzione militare e la scelta del confronto impediscono qualsiasi possibilità di pace.

Le contraddizioni si succedono: se da una parte americani ed europei spiegano che non vogliono apparire belligeranti, dall’altra non fanno nulla per allontanare il pericolo di una terza guerra mondiale mentre, l’Europa si dice pronta ad inasprire l’embargo sul petrolio russo ma chiede alla Russia di togliere il blocco alle esportazioni di generi alimentari. Anche il linguaggio diplomatico balbetta di fronte alla recrudescenza verbale ed al rifiuto persistente di non voler riconsiderare il possibile risentimento dell’avversario.

Gli europei a questo punto sono caduti in trappola perché gli americani si dimostrano ancora più radicali di Zelensky ed è chiaro che non cerchino la pace ma tentino di ricostruire in Ucraina quella strategia detta della “trappola afghana“ che, con la sconfitta in Afghanistan aveva annunciato la fine dell’URSS ed oggi potrebbe determinare la caduta di Putin.

La demonizzazione di Putin e della Russia, però, allontana ogni possibilità di risoluzione: soffocando economicamente la Russia e proclamando di voler una guerra per ottenere il suo definitivo indebolimento, gli occidentali dimostrano di non offrire alcuna possibilità accettabile di ritiro dell’avversario il quale, convinto di non aver più nulla da perdere, potrebbe gettarsi con tutte le sue forze su quelli che lo minacciano.

Sei mesi dopo il vergognoso abbandono dell’Afghanistan che causò la derisione del mondo intero, per gli americani è il momento del riscatto: l’invasione russa dell’Ucraina attualmente porta loro dei vantaggi innegabili.

Innanzitutto le sanzioni decise precipitosamente dagli europei permetteranno agli americani di vendere all’Europa, a prezzi forti, il loro gas naturale liquefatto, molto più caro di quello russo, inizialmente preferito dai tedeschi che erano riusciti ad ultimare il famoso gasdotto “Nord Stream II”, malgrado le minacce e le sanzioni americane.

Uno scacco per gli USA che oggi, approfittando dell’invasione russa, sono riusciti a vincere le resistenze tedesche grazie anche alla presenza nel governo federale dei Verdi, partito la cui ideologia russofoba è “primato” anche sugli interessi nazionali. A questo punto, però, i tedeschi dovranno affrontare pesanti investimenti per poter essere riforniti di gas americano molto più caro. Anche i paesi europei sembrano essere orientati verso altre fonti di rifornimento energetico, ma già l’Algeria e la Norvegia hanno fatto sapere che non sono nella possibilità di aumentare le loro produzioni e l’Iran e il Venezuela sono sotto sanzioni.

L’America ha deciso e l’Europa obbedisce. Solo la coraggiosa Ungheria resiste mentre, nel ballo delle ipocrisie, la stessa Ucraina continua ad essere rifornita di gas russo. Un‘altra soddisfazione americana è rappresentata dal gigantesco ponte aereo destinato a rifornire di armi l’Ucraina. Una ventata di nuovi affari per l‘industria militare americana: un riarmo generale di molti paesi occidentali che permetterà agli americani di totalizzare un surplus di bilancio.

Terza soddisfazione dello zio Sam: la unanimità creata contro la Russia. Dopo l’attacco dell’Iraq con la scusa del ritrovamento delle armi di sterminio che Saddam non aveva mai avuto, nel 2003 Parigi, Berlino e Mosca avevano fatto un’alleanza per condannare l’invasione americana. Per la vicenda Ucraina Parigi e Berlino si sono allineate agli USA.

Al Pentagono la linea dei falchi sembra essere quella vincente ma anche una strada troppo incerta perché appare poco probabile che le minacce americane possano far recedere Putin la cui popolarità, al momento, non appare affatto indebolita.

La Storia ha dimostrato di mordersi sempre la coda ed oggi il limite tra sostegno e co-belligeranza è diventato molto debole: gli americani farebbero bene a non cantare vittoria troppo presto, come del resto hanno fatto in passato.

Eugenio Preta