La pazienza ha dei limiti… anche per i Siciliani.

Mascalucia (CT), 13 ottobre 2005

Da alcuni giorni in Sicilia si verificano delle misteriose vicende non comprensibili per i siciliani condannati, eternamente, a subire l’arroganza presuntuosa dei dirigenti italiani.

Foto da La Repubblica

E veniamo ai fatti:


Prima vicenda: Un noto magistrato siciliano: di nascita, di formazione individuale e di battesimo, è stato elevato, addirittura!, a capo della Procura nazionale italiana antimafia…siciliana.

Calcolando lo stipendio che costui percepisce e l’organico di quella istituzione statale, dalla quale dipendono fin troppe agenzie provinciali, create apposta contro la Sicilia, c’è da chiederci cosa farebbero tanti impiegati e funzionari se non esistesse il concetto di quella “Mafia siciliana” che si propongono di lottare? Dove prenderebbero tutti quei soldi che percepiscono, senza alcuna pratica attività.

Ma l’osservazione principale è come mai un siciliano, presumibilmente di buona preparazione intellettuale, si presti a certi compiti che hanno, come unico fine, quello di denigrare, umiliare, reclamizzare negativamente, sporcare, insultare, offendere la sua Patria, che da oltre un secolo subisce i comportamenti mafiosi degli altri, con certosina pazienza.

Infatti in Sicilia non esiste e non è mai esistita la Mafia. Nemmeno quella che taluni improvvisatori storici attribuiscono all’epoca della dittatura garibaldina; nemmeno quella era Mafia. Semmai, allora come oggi, si è sempre trattato di terrore dello Stato invasore.

E’ come se quello che oggi chiamano “terrorismo” – con una licenza letteraria degna di minor causa – lo si definisse “mafia internazionale”. Il terrorismo in realtà non esiste: esiste una palese reazione, che si va generalizzando, contro il comportamento ossessivo e nefasto dei vari governi e organi dei poteri che, oltretutto, non ammettono commenti e controlli. Ovverosia, se si vuole: esiste un comportamento terroristico secondario derivato, in contrapposizione ad un comportamento terroristico primario statuale, che si esprime attraverso le ramificazioni istituzionali. Comportamento tipico dei paesi che, senza esserlo, si dicono democratici e invece sono effettive dittature pluraliste e culla di sfruttamenti monopolistici di ogni genere. Vedile le aziende fornitrici di servizi sociali.

Ma torniamo alla Sicilia.

Non può stupire il comportamento del magistrato promosso al vertice della Procura antimafia, per la quale è essenziale presupporre l’esistenza della mafia. Abbiamo sempre osservato che la magistratura, specialmente in Sicilia, che NON è parte dell’Italia, è una specie di legione straniera in Patria, autonoma e aliena da controlli, che opera a modo suo con la copertura, peraltro confusa e confusionaria, di una pletora di leggi che rendono invivibile persino il Diritto alla vita ed ogni altro Diritto naturale. Essa viene retribuita coi soldi del popolo, emette sentenze “nel nome del popolo….italiano”, ma non può essere controllata dal popolo che deve subire, dopo aver pagato, quelle che spesso si configurano come atroci abusi di potere dalle conseguenze crudeli e indicibili…e qualche volta anche perfette. Se questo non è terrorismo!

Ma c’è dell’altro, ancor più grave, che deve indurci a sollecitare le reazioni possibili, nei modi e nei termini civili e persuasivi più dignitosi, affinché il sistema denigratorio e le sopraffazioni abbiano fine.

La seconda osservazione è la seguente: Da alcuni giorni l’apparato mediatico italiano, particolarmente la RAI attraverso la televisione e la radio, trasmette appositi e vasti programmi denigratori, pilotati e frequentati da improvvisati opinionisti tuttologi, puntualmente e letteralmente devastanti per la nostra Isola, che conoscono solo attraverso le cartoline illustrate. Il danno è immenso sotto il profilo morale, sotto quello turistico, e in senso più lato, sotto l’aspetto economico perché, direttamente o indirettamente, tutti subiamo le conseguenze di questo astioso, offensivo, insultante, mortificante comportamento che sembra, in apparenza, solo dialettico, ma invero si trasforma in cospicua dannosità materiale.

Quello che sembra maggiormente strano, agli opinionisti che fino a stamane hanno parlato alla radio, è che in taluni ambienti – si intende italiani, e fors’anche stranieri – avrebbero deciso di costruire un ponte che unisca la Sicilia all’Italia e dal quale, teoricamente, far passare con più velocità quel flusso di civiltà che, finalmente, venisse a risanare i mali della Sicilia, sconfiggendo la Mafia, e, naturalmente, ponendo in serie difficoltà coloro che vivono col pretesto dell’antimafia! La mafia siciliana, in attivo e in passivo, per lo Stato italiano costituisce un cespite economico di grandissima importanza e pertanto irrinunciabile.

A parte il fatto che in un paese appena democratico e civile un’opera di tale imponenza dovrebbe passare attraverso il decisionismo referendario dei siciliani – posto che i referendum italiani fossero ancora credibili come vuole la teoria – quello che stupisce è come mai l’Italia, che non ha i soldi per pagare gli stipendi ai suoi eserciti impiegatizi, si voglia cimentare in una spesa così mostruosa… per amore della Sicilia.

Se è vero che gli atti d’amore non sono più di moda, la domanda che si pone è la seguente: cosa c’è sotto la storiella del ponte?


Cosa dovrà subire ancora la Sicilia e cosa dovranno pagare ancora i siciliani per la gioia, o il fastidio, di sentirsi italiani?


L’affare, indubbiamente pluri-miliardario, a chi interessa e perché?


Oltre ai “proventi” della costruzione (queste costruzioni rendono prima che costare!), a chi spetterà la gestione coi suoi elevati e non perituri pedaggi abusivi?


Anche i pedaggi autostradali sono illegittimi, ma persistono oltre ogni limite di tempo!

Il ponte sullo stretto di Messina sarà pure un’opera mondiale di grande interesse architettonico e sostanziale; degna di ammirazione. Ma nessuno, né l’Italia, nè la Sicilia, abbiamo bisogno dell’ammirazione degli stranieri e, ancor meno, i siciliani, abbiamo bisogno di essere ulteriormente calpestati dalla motorizzazione e dagli scarponi degli italiani che vengono, ci insultano e ripartono.

La conclusione logica delle cose dette è una ed una soltanto: se la Sicilia è un bacino di malaffare e i Siciliani sono soltanto dei mafiosi ignoranti, cretini e spendaccioni;


se il mantenimento dell’isola costa tanto denaro e tanti sacrifici agli italiani, così puri e leali, così sinceri e corretti;


se esiste persino una classe politica siciliana che si sbraccia per servire le segreterie dei partiti italiani per degli immondi commerci;


se è vero che i siciliani non hanno mai chiesto di essere italiani e tuttavia subiscono il terrorismo e la tracotanza imperiosa e sfruttatoria dell’Italia;


perché non vanno via lasciandoci in pace?

La verità è che a conti fatti la Sicilia, in forma spontanea o per via delle immense frodi, rende all’Italia inestimabili ricchezze, tanto da giustificare persino il costo di mille imbrogli, tra i quali anche quello dello Statuto speciale di autonomia.

Le Grandi Opere, in Italia, si possono fare all’infinito; non occorre prediligere il ponte sullo stretto, che sarebbe rovinoso, drammaticamente nefasto, antiestetico e dannoso non solo per la pregevole insularità che caratterizza la Sicilia, ma anche per il futuro dei siciliani che…pertanto, non vogliono il ponte.

Basta così?

VITO VINCI –